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Pamela Mastropietro, supplizio infinito. La madre: “Da quattro anni aspetto giustizia”

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Il caso di Pamela Mastropietro, la diciottenne fatta a pezzi, si arricchisce di nuovi colpi di scena: la Cassazione ha confermato il carcere per omicidio a Innocent Oseghale, ma per lo stupro dovrà esserci un nuovo processo che potrebbe far scendere la pena da ergastolo a trent’anni

Disperata la mamma di Pamela, che urla: “Sono 4 anni che aspetto giustizia”

La ricostruzione del caso di Pamela Mastropietro

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MACERATA – Doveva essere la fine di un incubo, il tempo in cui piangere in pace la morte della figlia, Pamela Mastropietro, uccisa e fatta a pezzi il 30 gennaio 2018 a Macerata. Ma sua mamma, Alessandra Verni, si è trovata davanti all’ennesimo colpo di scena in Cassazione: il pusher nigergiano Innocent Oseghale, 32 anni, è stato sì definitivamente ritenuto l’assassino.

Ma non del suo stupro, per il quale è stato ordinato un nuovo processo. E nel caso in cui dovesse cadere l’aggravante della violenza sessuale, la pena potrebbe cambiare drasticamente: da ergastolo a 30 anni. «Sono 4 anni che aspetto giustizia – ha urlato la donna fuori dal tribunale – Ammazzano, violentano, fanno a pezzi e lo Stato italiano non fa nulla».

Difficile darle torto. Si tratta di uno dei delitti più atroci degli ultimi anni, che ha visto vittima una giovanissima con tutta la vita davanti a sè.

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LA STORIA

Tutto cominciò il 29 gennaio, quando Pamela, 18 anni, si allontanò dalla comunità Pars di Corridonia, cui era stata affidata. L’allarme per la fuga fu immediato, dato che aveva lasciato documenti e cellulare in comunità. Venne poi rinvenuta fatta a pezzi in due trolley, abbandonati sul ciglio della strada.

Dalle immagini di sicurezza di Macerata le forze dell’ordine riuscirono a ricostruire i suoi ultimi spostamenti, che dalla zona della farmacia portavano a via Spalato, nella mansarda in cui abitava Innocent Oseghale, un nigeriano inquadrato dai video. Fermato, negò di averla uccisa.

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Niente ergastolo per il 33enne Innocent Oseghale: i giudici lo hanno ritenuto colpevole di omicidio ma non di violenza sessuale, e hanno disposto il secondo rinvio a giudizio.

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Disse che Pamela era in cerca di eroina e lui l’aveva messa in contatto con un connazionale, Lucky Desmond, dato che lui spacciava solo hashish e marijuana. Presto, nell’inchiesta finì un terzo uomo, anch’egli nigeriano, Awelima Lucky. Anche loro respingevano ogni addebito.

E presto uscirono di scena. Oseghale invece andò a processo per omicidio aggravato e violenza sessuale. Lui ammise di aver avuto rapporti, ma consenzienti. Fu però condannato all’ergastolo sia in primo grado che in appello. Il caso di Pamela scosse le coscienze.

Ma non solo, ebbe uno strasico orrendo con il raid razzista di Luca Traini, che ferì sei persone extracomunitarie e fu condannato per tentata strage.

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UN SUPPLIZIO

Ora Alessandra è atterrita dal fatto che l’uomo che le ha fatto a pezzi la figlia possa non scontare il massimo della pena, dopo il processo bis che si terrà a Perugia. «La madre di Pamela è amareggiata, per lei questo è un supplizio» spiega ai cronisti il suo avvocato Marco Valerio Verni «è una sentenza che ci lascia l’amaro in bocca, oggi speravano oggi arrivasse la parola fine. L’annullamento con rinvio a Perugia per l’accusa di violenza sessuale rischia di portare a una riduzione della pena e ciò ci dispiace e amareggia».

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La conferma di un ulteriore, clamoroso risvolto sul caso, la fornisce proprio la difesa del pusher. Spiega infatti all’Ansa l’avvocato Umberto Gramenzi, che con il collega Simone Matraxia difende Innocent Oseghale: «Se a Perugia non verra’ ritenuta sussistente l’aggravante della violenza sessuale, la pena potrebbe scendere a 30 anni.

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I giudici della Cassazione hanno annullato la condanna solo nella parte relativa alla circostanza dell’aggravante della violenza sessuale che dovrà essere di nuovo presa in esame dalla Corte d’Appello di Perugia alla quale sono stati inviati gli atti».

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Alessandra si sfoga con Il Giornale: «Purtroppo sono state archiviate nel tempo molte cose e ora anche questa ultima decisione non dà giustizia a Pamela. Non sono bastate le tante perizie accurate?»

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E c’è anche l’amarezza di non aver potuto scoprire se ci fossero altri responsabili per il delitto della figlia: «La procura di Ancona aveva avviato nuove indagini per cercare i complici, ma non sappiamo nulla su come siano andate a finire. Non solo non pagheranno tutti i colpevoli, ma quello che è stato deciso oggi non mi basta».

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