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Il critico d’arte Alberto Agazzani fu ucciso? Il giallo di Reggio Emilia

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Colpo di scena in un processo per la presunta truffa sul testamento olografo del critico d’arte Alberto Agazzani, morto impiccato nel 2015. Secondo il medico legale quello potrebbe non essere un suicidio.

Il cadavere fu cremato e la perizia emersa in aula è stata fatta solo su alcune fotografie. Ma troppe cose non tornerebbero, secondo chi le ha analizzate

 

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Alberto Agazzani

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REGGIO EMILIA – Era un critico molto noto Alberto Agazzani. Aveva iniziato come critico musicale nel 1986, poi era passato all’arte, facendosi conoscere anche all’estero. La sua vita cambiò improvvisamente una sera di luglio del 2015: mentre era a bordo della sua Vespa sbandò sul cordolo stradale, cadde e picchiò la testa finendo in coma con due ematomi cranici.

Riuscì a uscirne, ma quattro mesi più tardi si impiccò. Dissero che dopo l’incidente fosse diventato più fragile e forse per questo si era ucciso. D’altra parte i gesti estremi raramente trovano spiegazioni logiche. Solo che, in un colpo di scena che ha dell’incredibile, sette anni più tardi arriva direttamente in aula un’ipotesi choc: Alberto potrebbe essere stato ucciso.

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ALBERTO AGAZZANI

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IL TESTAMENTO DI ALBERTO AGAZZANI

In tribunale è infatti in corso il processo a Marco Lusetti, ex vicesindaco di Guastalla, per falso in testamento olografo e truffa. E il testamento è proprio quello del critico d’arte, che avrebbe nominato di proprio pugno il politico come suo erede universale, con opere come libri d’arte, vestiti, scarpe firmate, una pelliccia, stampe, quadri, tele, dipinti di Gianni Ruspaggiari.

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Marco Lusetti

L’atto venne portato dal notaio il giorno dopo la morte di Alberto, avvenuta il 16 dicembre 2015. Ma una perizia grafologica ritenne la firma falsa. Lusetti si difese scrivendo che «già una volta mi hanno descritto come il ‘mostro’ di turno; dopo quell’esperienza conclusasi totalmente a mio favore, accertando la mia completa onestà, nulla può più stupirmi, ed ora come allora, avendo agito nella totale trasparenza e buona fede, ne uscirò a testa alta e senza ombre. Alberto da lassù sta ridendo di questa situazione e ‘maledicendo’ tutti coloro che con il loro agire mettono in dubbio le sue reali volontà».

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LA PERIZIA CHOC

Senonchè, all’udienza in tribunale che lo vede accusato per il presunto raggiro, testimonia Maria Paola Bonasoni, dottoressa specializzata in anatomia patologica, nominata consulente tecnica dal pm Maria Rita Pantani, titolare dell’indagine. E le viene chiesto delle circostanze della morte del critico, rinvenuto in piedi, impiccato a una ringhiera con una cintura di cuoio al collo, a cui era stato attaccato un pezzo di stoffa.

L’anatomopatologa si è dovuta basare soltanto sull’analisi di quattro fotografie «di qualità non ottimale» in quanto il cadavere fu cremato all’epoca e gli abiti restituiti. Ma le sue conclusioni gelano l’aula: «Pur con tutti i limiti degli accertamenti che ho svolto, l’ipotesi più plausibile è che ci sia stata l’azione di terzi». Quindi non un suicidio, ma un omicidio. Possibile?

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Lusetti, personaggio molto conosciuto nel Reggiano, è stato vicesindaco a Guastalla ed è noto anche come pittore.

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ANOMALIE

Pantani nota alcune anomalie in quelle immagini: «Lui è stato trovato impiccato a una ringhiera con una cintura di cuoio, a cui si attaccava un’altra di stoffa che sosteneva il cadavere, trovato in piedi accanto a un pouf: sarebbe salito sopra legandosi e poi lasciandosi andare».

Una cosa che non l’ha convinta, come riporta Il Resto del Carlino che ne trascrive la testimonianza: «Ritengo più probabile la sospensione di un uomo già morto, o quasi morto. Prima sarebbe stato tramortito con farmaci, poi impiccato per simulare il suicidio».

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Ma perché? Soprattutto per il peso del critico e le dimensioni del locale in cui fu trovato: «Dallo scorrimano della ringhiera al pavimento c’erano 2 metri e 5 centimetri di distanza. Agazzani era alto 1,86 e pesava 90-100 chili. La cintura in cuoio era lunga 120 centimetri, chiusa 47. Quella in stoffa ne aggiungeva altri 10. Sommando i 186 centimetri dell’uomo, ai 10 e ai 47, si va ben oltre i 205 tra ringhiera e pavimento. Di solito chi si impicca sceglie altezze maggiori».

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Ma non basta: «Abbiamo rilevato che lo scorrimano in legno era scalfibile anche con un’unghia. Ma nel punto in cui era appoggiata la fibbia stranamente non sono rimasti segni». E ancora: «Sembra che la cintura sia stata chiusa dall’alto, cioè dalla balconata».

Infine, c’è il dettaglio della camicia che indossava: «Era perfettamente stirata, ma aveva molte pieghe verso le ascelle, come se qualcuno avesse sorretto Agazzani da dietro». La prossima udienza a maggio. Ma ora, sulla fine del critico potrebbero partire nuove indagini contro ignoti. Per omicidio.

 

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