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Zelensky, le proteste “anonime” contro Israele. E i conigli di Stato

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nel ringraziare Giorgia Meloni per come si affanna a stare dalla sua parte, ha anche ammonito il nostro Paese: «Ci sono molti pro-Putin in Italia e prima di tutto dovreste cancellare loro i visti. Anche questa è un’arma». E assicura che il suo governo sta «preparando una lista, ma non solo riguardo all’Italia, sui propagandisti russi. È una lunga lista e vogliamo presentarla alla Commissione europea, al Parlamento europeo, ai leader dell’Ue e degli Stati Uniti».

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Come si permetta questo signore di fare serenamente liste di italiani a lui non graditi chiedendo pure che siano puniti, non lo sappiamo. Ma reazioni politiche indignate ad un proclama del genere, che evoca tempi molto bui, non ne abbiamo viste. L’Ue e l’Italia vogliono con forza questo «sincero democratico» nell’Unione Europea e tacciono senza alcuna vergogna sulle liste di proscrizione che propina sui nostri connazionali. D’altra parte tacquero pure quando fu impedito a cronisti italiani non in linea, da Lorenzo Giroffi a Giorgio Bianchi, da Andrea Sceresini ad Alfredo Bosco, di restare a Kiev.

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Eppure Lorsignori dovrebbero sapere che Zelensky non fa più il comico e le liste le stila sul serio: all’inizio della guerra mise fuori legge l’opposizione e stilò un registro dei «traditori» che comprendeva politici, giudici, avvocati, membri delle forze dell’ordine e giornalisti che non sposavano la sua linea. In ultimo, promulgò una legge che consentiva di confiscare tutti i beni di coloro che erano filorussi.

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Tant’è, i conigli di Stato si devono essere dimenticati che la nostra è una Repubblica. Ma mica soltanto con l’Ucraina: nella guerra tra Mosca e Kiev, in due anni, sono morti 10 mila civili, tra cui 575 minori. Stando alle stime, sono invece 15 mila i soldati ucraini uccisi. A Gaza, dall’inizio del conflitto, quattro mesi fa, i morti sono stati circa 30 mila, dei quali 12500 bambini e 8 mila donne: i numeri sono talmente non paragonabili che è difficile dare una definizione diversa della parola «massacro».

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E se a Kiev venivano mandati indietro i giornalisti non graditi, a Gaza i giornalisti, qualsiasi giornalista occidentale, non viene nemmeno fatto entrare dall’esercito israeliano, cosa mai successa prima. E quelli che sono sul posto vengono sistematicamente ammazzati, come mai in nessun altro conflitto è avvenuto: secondo Amnesty sono almeno 103 i cronisti uccisi. E indefinito il numero di quelli feriti e dispersi. Gli altri, corrispondenti locali delle testate più autorevoli del pianeta, ovvero Reuters, Ap, Cnn e New York Times sono stati messi sotto accusa sostenendo che sapessero dell’attacco del 7 ottobre: col silenzio complice dei grandi media e gli occhi chiusi dei politici europei, Benjamin Netanyahu si plasma così la storia come vuole, facendoci vedere della guerra ciò che più gli conviene o lo aggrada.

Nel frattempo si assiste a scene surreali: a novembre 400 dirigenti dell’amministrazione Biden appartenenti a 40 agenzie governative hanno contestato alla Casa Bianca il sostegno indiscriminato a Israele. Altri mille dipendenti del Dipartimento di Stato, compresi elementi dell’FBI, hanno approvato un documento con le medesime istanze firmato dall’Usaid, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale. Ma lo hanno fatto tutti, cosa davvero incredibile solo a pensarlo, proteggendosi nell’anonimato per «la nostra sicurezza personale e il rischio di perdere potenzialmente il nostro lavoro».

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La stessa cosa è avvenuta ora, con la lettera firmata da oltre 900 tra diplomatici e funzionari americani ed europei, che accusa Gerusalemme di «gravi violazioni del diritto internazionale» nell’invasione di Gaza: «C’è il rischio di rendersi complici di una delle più gravi catastrofi umanitarie del secolo» tanto da evocare scenari di «pulizia etnica e genocidio». Solo che anche qui, nella lettera tutti chiedono di restare anonimi. Come l’anonimato lo chiede un funzionario italiano dell’Ue che parla al Corriere della Sera: «Noi siamo proprio indignati, vediamo i danni sulla nostra reputazione e sulla nostra credibilità. Come possiamo parlare di diritti umani dopo tutto questo, specialmente nei Paesi dove c’è vicinanza con la causa palestinese, oppure di violazioni dei russi in Ucraina?» Ma quasi tutti i firmatari non vogliono esporsi poichè hanno paura di ripercussioni sul posto di lavoro e non solo.

È mai possibile? È questa l’Europa Unita che avevano promesso? Quella del dissenso vietato pena l’emarginazione e la perdita di dignità? Quella delle liste di proscrizione promulgate addirittura da Paesi esteri? Come la vogliamo chiamare: fascismo 2.0 o Unione delle Repubbliche Socialiste Europee? Perchè democrazia è il termine meno adatto.

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