
Mentre politici e giornali continuano a farsi la guerra sull’accoglienza dei migranti, gli italiani si sono stufati: secondo il secondo Rapporto Cida-Censis, oltre la metà dei connazionali sogna ormai un futuro all’estero per i propri figli. Saremo noi i nuovi migranti, come lo furono i nostri nonni verso le Americhe e l’Australia, armati di valigia di cartone e voglia di riscatto.
I dati sono impietosi: la classe media, che rappresenta i due terzi della popolazione, teme il declassamento alla fascia più povera; il 45% ha già tagliato i consumi; 8 persone su 10 ritengono che il welfare non risponda ai bisogni reali; il 70% chiede meno tasse sui redditi lordi; l’80% denuncia «un grave squilibrio tra ciò che si versa e ciò che si riceve in termini di servizi pubblici». Il Paese tiene ancora solo grazie ai pensionati: il 41% aiuta economicamente figli e nipoti. E il 66% ha finanziato o finanzierà almeno una spesa straordinaria. Non è difficile immaginare che anche quando questo ultimo ammortizzatore sociale straordinario verrà meno per ragioni anagrafiche, sarà il caos.
Di chi è la colpa? Per Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, nientemeno che degli italiani. Scrive infatti sul Corriere della Sera quella che definisce una verità scomoda, ovvero: «Il 60% – degli italiani – non paga tasse, un 24% versa quelle appena sufficienti per pagarsi i servizi di base. Così tutto il carico fiscale è sulle spalle del 17% della popolazione che dichiara redditi da 35 mila euro lordi l’anno in su». Facile.
In realtà si parla evidentemente di dichiarazione dei redditi: perchè su 38 milioni di italiani in età lavorativa, la metà è costituita da dipendenti i cui stipendi sono tassati alla fonte, ovvero dal datore di lavoro (e lo stesso discorso vale per i pensionati). Altri cinque milioni sono gli autonomi. E le tasse sono costretti a pagarle anche loro (pena pignoramenti immediati da parte della Riscossione senza nemmeno passare più dal giudice). Solo che non ce la fanno più: come riporta Milano Finanza, la pressione fiscale ha raggiunto il 50,6%. E non è un caso che gli italiani indebitati con il fisco abbiano superato quota 22 milioni.
D’altra parte sono proprio gli studi di Itinerari Previdenziali a rivelare come su 41,5 milioni di italiani che fanno la dichiarazione fiscale Irpef, oltre il 40% percepisca un reddito sulle persone fisiche inferiore a 15mila euro: o si dimostra che sono evasori, o bisogna prendere atto che soldi non ce ne sono più.
Non è però un mistero che i salari reali siano inferiori a quelli del 1990 e che, rispetto ad allora, l’esercito di partite iva sorto dagli anni 90 non goda di alcuna tutela, nè malattia, nè ferie. E cioè la realtà è che prendiamo sempre meno e lo Stato pretende sempre di più. Continuando, peraltro, ad appesantire la zavorra: entro fine 2025 la spesa pubblica supererà il 54% del Pil, una follia pura. Secondo Brambilla, poi, non è un bene che sulle bollette care intervenga lo Stato. Ma, fermo restando che l’impennata verticale degli aumenti non è minimamente coperta dai bonus, che peraltro vanno solo a fasce deboli, in Italia hanno chiuso decine di migliaia di aziende proprio per l’improvviso aumento dei costi energetici, calmierati invece in Francia e Germania aggirando l’ostacolo degli aiuti di Stato.
Allo stesso modo, per l’ex sottosegretario al Ministero del Welfare l’assegno unico per i figli costituisce «una paghetta di Stato» e l’Isee viene presentato «per avere servizi gratis o a sconto». Invece l’Isee rappresenta l’unico sistema con cui lo Stato può fotografare una reale situazione economica familiare (pur avendo, per essere chiari, già tutti i parametri da solo) per definire un intervento, specie d’aiuto per i figli: e se sull’Isee si mente si va nel penale.
Se poi lo presentano quasi 30 milioni di italiani, non vuol dire che il Paese sia furbo, ma che è al collasso. Sicchè, scaricare sugli italiani vampirizzati dal fisco e devastati dalle politiche sul lavoro le colpe di una classe dirigente incapace e demenziale, appare semplicemente ridicolo.
Ecco perchè, se prima si vedeva come un incubo l’emigrazione degli amati figli, oggi oltre la metà degli italiani la vede come un sogno.