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Pietro Maso è libero. Il suo paese vorrebbe dimenticare. Ma non può.

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pietro maso

 

Su wikipedia il nome di Pietro Maso, che appariva alla voce “personalità” di pagina di Montecchia di Crosara, era scomparso dieci giorni fa. Ma nelle scorse ore è tornato a campeggiare. E così accade in molti altri paesi, costretti a legare il proprio ricordo a quello di protagonisti di terribili fatti di sangue.

 

pietro maso oggiÈ uscito dopo ventidue anni di prigione, Pietro Maso. E il suo paese, Montecchia di Crosara, avrebbe solo voglia di dimenticare. «Pietro Maso non è più un cittadino di Montecchia di Crosara» dichiarava ai cronisti una decina di giorni fa il sindaco Edoardo Pallaro, limitandosi a sottolineare che la residenza dell’uomo che il 15 aprile avrebbe lasciato per sempre la prigione, come per ogni altro detenuto «passa dove viene scontata la pena». Lì non vivono più suoi parenti, le sorelle si sono trasferite, la casa è stata venduta. «A nome dalla cittadinanza – chiosava laconicamente il sindaco – posso tuttavia affermare che il paese ha voltato pagina, in tutti i sensi. Si va avanti con fiducia e serenità». Ma non è facile. Su Wikipedia, l’enciclopedia libera online, qualche giorno dopo le dichiarazioni del sindaco, era sparito il nome di Maso, che era stato indicato alla voce “personalità” della città, in qualità di “criminale”, a fianco del compositore di musica sacra Terenzio Zardini e al pittore Dionisio Brevio.

I quotidiani veneti riportavano la rabbia della gente che vedevano il luogo dei loro natali affiancato perennemente ad una delle stragi più terribili del dopoguerra. Scrissero che qualcuno voleva pure, in maniera improbabile, che Maso pagasse i danni d’immagine alla comunità con i proventi del suo imminente libro, Il male ero io, scritto con Raffaella Regoli per Mondadori e in uscita in contemporanea con l’addio al carcere. Invece, l’operazione reset non ha funzionato: il tempo all’enciclopedia online di riorganizzarsi e il nome di Maso è tornato a campeggiare su Wikipedia, sulla pagina di Montecchia di Crosara. D’altra parte, per chiunque abbia quarant’anni, è impossibile non associare il ricordo del massacro al paese. Era il 17 aprile 1991, e Maso uccise nella villetta di famiglia il padre Antonio e la madre Rosa Tessari, finendola a sprangate nell’atrio di casa, dopo che altri suoi amici l’avevano colpita con un bloccasterzo e soffocata con un sacchetto di nylon. Terminato il lavoro, ribaltarono i cassetti e simularono una rapina finita male. Quindi, per crearsi un alibi, andarono in discoteca e al rientro Maso chiamò i carabinieri. Non durò molto. Crollò due giorni più tardi. Lo aveva fatto per impossessarsi dell’eredità. Il caso divampò come il delitto della provincia benestante e generazionale, dove la noia fa da collante alla voglia di denaro facile e di “bella vita”.

Ricevette lettere di spasimanti, divenne fulcro di argomenti sociologici, libri e film, come “I pavoni”. E ogni volta, il nome che risuonava era quello del suo paese. Ma in questo momento non è l’unico centro del Veneto a cercare di far staccare il proprio vessillo da vicende legate al sangue. Specie sulla Rete, che è in pratica una finestra sul mondo intero. felice manieroSempre su wikipedia, a Campolongo Maggiore, tra le personalità spicca Felice Maniero, l’ex capo della mala del Brenta, cosa che ha fatto infuriare il sindaco locale, ma invano: il nome è ancora lì, ogni volta che qualcuno vuol sapere notizie sulla città. Questo vale soprattutto per i centri più piccoli. Se Vercelli, ad esempio, oggi non viene immediatamente accostato all’ormai datata storia di Doretta Graneris, perché il luogo è ampio e noto al grande pubblico per diverse altre cose, lo stesso non si può dire per comuni che non tutti inquadrano senza una vicenda particolare. Non c’è bisogno di dire cosa sia successo a Novi Ligure per associare il nome a Erika e Omar. E difficilmente al Sud avrebbero saputo dire dove si trovasse esattamente Cogne, prima del delitto di Samuele Lorenzi per il quale è stata condannata la madre, Annamaria Franzoni. Località come Avetrana sono ancorate, nell’immaginario collettivo alla morte violenta di Sarah Scazzi. franzoni

Agli inizi dello scorso anno il sindaco Marco De Marco, ben sapendo che questo collegamento non sarà mai dimenticato, decise che il Comune avrebbe chiesto di costituirsi parte civile nel processo a Cosima Serrano e Sabrina Misseri, scrivendo nell’atto: «Avetrana  si è guadagnata la triste fama di cittadina quasi omertosa, simbolo di un profondo sud, vittima ancora oggi di troppi luoghi comuni». Anche perché, come in famigerati precedenti, il paese era stato meta del turismo macabro. A Terrazzo, nel veronese, ancora qualcuno scuote la testa ricordando quando, nel luglio del ’99 si diffuse la voce che il casolare del serial killer Gianfranco Stevanin sarebbe potuto diventare un pub. «Mi pare assurdo, al peggio non c’è mai limite». Così commentò a caldo uno dei suoi avvocati, Cesare Dal Maso. Anche lì volevano dimenticare, ovviamente. Perché lì, dal 1989 al 1994 Stevanin, fanatico del sesso estremo e del feticismo, uccise e smembrò sei donne, sparpagliandone i resti cercati per due anni dai trattori. Fortunatamente non è andata così. stevaninIl casolare è stato abbattuto e al suo posto sorge oggi una villetta di un imprenditore edile, che, quando l’acquistò, non nascose la sua preoccupazione per ciò che sarebbe potuto emergere ancora dal terreno.

Ma naturalmente questo non vale solo per l’Italia. Anzi. Ci sono storie che hanno martoriato per sempre la memoria di enormi città. Come Marcinelle, Belgio. Oltre 800mila abitanti fu ricordata nel mondo per il disastro del 1956, un’esplosione nella miniera di carbone che provocò 262 morti su 274 lavoratori, un disastro cui sfuggì in maniera rocambolesca il futuro attore Tiberio Murgia.marcinelle Passati esattamente quarant’anni, quando finalmente la memoria su quei fatti stava affievolendosi, la città fu sommersa dal caso del mostro di Marcinelle, il mostro pedofilo Marc Dutroux, il primo clamoroso caso del genere, con un’eco mediatica incredibile e tuttora con diversi punti oscuri a caratterizzarlo. Uno che sequestrò e violentò sei bambine, uccise due ragazzine e lasciò morire Melissa Russo e Julie Lejeune, entrambe di otto anni, nella sua cantina di casa.

Impossibile dimenticare. Ma probabilmente la grande città più devastata da un episodio di nera, tanto da cambiarne letteralmente il ricordo nell’immaginario collettivo dell’intero pianeta è Milwaukee, quasi due milioni di abitanti nel Wisconsin, Stati Uniti.fonzie Per decenni fu resa nota al pubblico internazionale dal telefilm culto Happy Days. Le avventure spensierate e divertenti della famiglia Cunningham e dell’intramontabile Fonzie la facevano sembrare un paese delle fiabe. Andò così fino al 1991, quando si scoprì che nel frigorifero della cucina tale Jeffrey Dahmer nascondeva i resti delle vittime che uccideva, smembrava, fotografava e poi mangiava. Milwaukee diventò la città del mostro. dahmerCondannato a 999 anni di galera per aver ucciso 17 persone tra il ’78 e il ‘91, Dahmer fu ucciso nel ’94 in cella da un detenuto che si sentiva illuminato da Dio. Ventuno anni dopo, il suo nome è ancora immediatamente associato all’immensa città. Più di ogni attività produttiva, più di Happy Days. Come se il Male fosse un’impronta indelebile.

 

Manuel Montero

 

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