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La grande farsa del mandato d’arresto internazionale per Vladimir Putin

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Joe Biden ha detto che il mandato d’arresto internazionale per Vladimir Putin è «giustificato». Peccato che al precedente procuratore de L’Aja, che indagava sui crimini americani in Afghanistan, gli Stati Uniti avessero congelato beni e conti. Non si sa che fine abbia fatto l’inchiesta, ma una legge del 2002 consente a Washington di invadere L’Aja in caso di arresti di americani. Lo dicono i complottisti? No, il Washington Post…

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Com’è ormai universalmente noto, la Corte penale internazionale de L’Aja ha spiccato un mandato d’arresto per Vladimir Putin, accusato di aver deportato migliaia di bambini ucraini in Russia. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza di Mosca, Dmitry Medvedev, facendo inorridire il mondo, ha minacciato di lanciare un missile ipersonico sul tribunale de L’Aja.

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Senza alcun senso della vergogna, Joe Biden ha dichiarato che il mandato contro Putin è «giustificato» in quanto «è chiaro che abbia commesso crimini di guerra». Perché diciamo “senza alcun senso della vergogna”? Lo spieghiamo con quanto scrive il Washington Post:

«Nel giugno 2020, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a Fatou Bensouda. In poche settimane, Bensouda ha scoperto che le banche stavano chiudendo i suoi conti e cancellando le sue carte di credito. Perfino i suoi parenti avevano beni congelati, mentre le banche tentavano di conformarsi alle regole stabilite dal Tesoro degli Stati Uniti. Qual era la presunta trasgressione di Bensouda? Era una terrorista? Violava i diritti umani? Era una funzionaria straniera corrotta? No, era il procuratore capo della Corte Penale Internazionale. E le sono state imposte sanzioni per aver svolto il lavoro per cui era stata nominata».

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Già. L’allora procuratore dell’Aja Bensouda aveva infatti aperto un’indagine sui crimini di guerra commessi dagli americani in Afghanistan. E sia lei che altri funzionari erano stati messi nel mirino da Donald Trump. L’allora segretario di Stato Mike Pompeo definì la Corte de L’Aja «illegale» e «corrotta». Poi arrivò Biden. Penserete forse che abbia rinnegato le sanzioni precedenti. In realtà lo fece solo molto tempo più tardi, mesi dopo che al posto di Bensouda era stato nominato come nuovo procuratore l’avvocato britannico Karim Khan (12 febbraio 2021, entrato in vigore il 16 giugno 2021) contro il quale non fu comminata alcuna sanzione.

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Il motivo? Non si sa. Ma il Washington Post ricorda che dopo la riconquista talebana di Kabul, Khan annunciò che si sarebbe concentrato sui crimini commessi dagli estremisti islamici del gruppo Khorasan in Afghanistan, ovvero sui «rivali» degli americani. E l’inchiesta sugli Usa? Non se n’è saputo più nulla. Ma questo è il meno.

Si dirà infatti che le sanzioni di Trump fossero dovute alle sue consuete esagerazioni. In realtà si trattava di una reazione alla prima inchiesta de L’Aja sugli Stati Uniti, una reazione prevista da una legge del lontano 2002. Gli Stati Uniti, al pari di Russia, Cina, Israele e della stessa Ucraina, non hanno infatti mai riconosciuto la giurisdizione della Corte penale internazionale.

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Ma, diversamente dagli altri, hanno pure previsto cosa fare nel caso suoi soldati, funzionari e politici siano arrestati con l’accusa di crimini di guerra. Si chiama “American Service-Members’ Protection Act” ma è stata ribattezzata “The Hague Invasion Act”, letteralmente “L’invasione de L’Aja”, perché prevede anche una reazione militare contro i giudici e il tribunale penale internazionale. Una legge che è tuttora in vigore e alla quale, ci ricorda ancora il Washington Post, l’amministrazione di Barack Obama «ha apportato pochi cambiamenti politici formali».

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Sicchè la minaccia di Medvedev di lanciare un missile sul tribunale de L’Aja, minaccia che ha fatto inorridire il mondo, altro non è che ciò che gli americani prevederebbero di mettere in atto addirittura per legge da ormai 21 anni. Con quale coraggio dunque Biden approvi l’incriminazione di Putin da parte de L’Aja, non è chiaro. Così come appare ridicola l’esultanza di Volodymyr Zelensky, che ha commentato il mandato d’arresto così: «Una decisione storica».

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Eppure, pur essendo al potere dal 2019, non ha mai ratificato manco lui lo Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Corte penale internazionale che ora esalta. Ma certo, a breve potrebbe farlo: in fondo i giornalisti che raccontavano la guerra da entrambi i fronti sono stati bloccati al confine o è stato loro sospeso l’accredito stampa, così come è accaduto agli italiani Lorenzo Giroffi, Andrea Sceresini e Alfredo Bosco. E sugli eventuali crimini ucraini nel Donbass, narrati per anni dai rapporti di Amnesty, sarà così più facile soprassedere.

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Sicchè, quando l’Ungheria si è smarcata e Gergely Gulyás, capo di gabinetto del premier Viktor Orban, ha fatto sapere che Budapest non arresterà Vladimir Putin, il consigliere presidenziale ucraino Mikhail Podolyak si è addirittura indignato, con un post su Twitter: “La Federazione russa è un paese criminale che si dirige vergognosamente verso il fondo della storia. Ma l’Ungheria ha ripetutamente danneggiato la sua reputazione sostenendo direttamente il cadavere russo, rinnegando anche la sua firma dello Statuto di Roma. Per che cosa?”

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Ma non è finita, perché Zelensky ha perfino annunciato: “Oggi abbiamo ottenuto un risultato per il quale lavoriamo da tempo. È stato firmato un accordo per aprire un ufficio di rappresentanza della Corte penale internazionale in Ucraina. Questo passo consentirà alla giustizia internazionale di diventare ancora più attiva nelle indagini sui crimini di l’esercito russo sul nostro suolo ucraino”. Nientemeno.

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Il mandato contro Putin è comunque una cosa terribilmente seria, anche perché Khan ha annunciato che «non si prescriverà»: il leader del Cremlino rischia di essere arrestato in 123 Paesi del mondo fino a quando campa. Il che significa che ciò potrebbe avvenire se perdesse il potere alle elezioni del 2024 o ad opera di un nemico interno. L’Occidente sembra volerlo così spingere a fare di tutto pur di restare in sella e a provocare l’escalation.

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Non in ultimo la decisione britannica di inviare sul campo munizioni all’uranio impoverito, cosa che, ricorderete, avevamo già dato per certa due mesi fa. Ma come potrebbe ragionare un uomo che si sentisse perduto e con in mano il più grande arsenale nucleare del mondo? I governi dell’Ue fanno finta di niente e hanno abdicato al compito di pensare agli Stati Uniti. Laggiù, in fondo, hanno la mente più fresca: le bombe atomiche non ci arrivano.

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