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Negazionisti, novax, putiniani: la grande farsa della lista di proscrizione

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Siamo arrivati alla lista di proscrizione. Con le persone messe alla berlina come se fossero traditori della patria.

L’escalation è cominciata due anni fa, quando i giornali hanno iniziato a fare da zerbino al governo, bollando prima come “negazionisti” coloro che nutrivano dubbi sulla gestione della pandemia da parte dell’esecutivo (una gestione che ci ha portato ai primissimi posti del mondo per mortalità), poi come “novax” medici ed esperti che mettevano in discussione l’efficienza dei vaccini, tanto validi da doversi inoculare ogni tre mesi.

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Azzerare il dissenso ha funzionato se oggi può impunemente essere presentata una lista di nomi di persone che sono messe alla gogna come “putiniani” per la loro contrarietà alla guerra. La lista è apparsa sul Corriere della Sera: “L’indagine avviata dal Copasir – ha scritto il quotidiano – è entrata nella fase cruciale. Il materiale raccolto dall’intelligence individua i canali usati per la propaganda, ricostruisce i contatti tra gruppi e singoli personaggi e soprattutto la scelta dei momenti in cui la rete, usando più piattaforme sociali insieme — da quelle più conosciute come Telegram, Twitter, Facebook, Tik Tok, Vk, Instagram, a quelle di nicchia come Gab, Parler, Bitchute, ExitNews — fa partire la controinformazione”.

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E ancora: “La rete filo-Putin è ormai una realtà ben radicata in Italia, che allarma gli apparati di sicurezza perché tenta di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo. E lo fa potendo contare su parlamentari e manager, lobbisti e giornalisti”. Nientemeno.

Cominciamo con il dire alcune cose. Il Copasir è il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica e il suo compito è quello di vigilare affinché i servizi segreti si muovano nel rispetto della Costituzione. E non quello di difendere i servizi segreti dalle opinioni dei liberi cittadini. Tantomeno il Copasir fa indagini.

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Punto due: le persone additate nel dossier non sono indagate, non sono accusate di aver preso denari dalla Russia per le loro opinioni, ma scrive il Corriere, tentano “di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo”.

E allora? Da quando in qua in una democrazia uno non può esprimere opinioni contrarie al governo? E ammesso, e non concesso, che qualcuno di loro fosse davvero “putiniano”, dove sarebbe il problema? Hanno messo la legge marziale che vieta la libertà di parola e non ce ne siamo accorti?

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Punto tre: tutto ciò che dicono e fanno queste persone lo dicono e lo fanno alla luce del sole, su canali social e sovente in tv. Uno guarda, ascolta, si fa un’idea. E infatti, incredibile a dirsi, stavolta c’è stata un’ondata di indignazione.

Ma ancora più stupefacente è quanto successo dopo. Il presidente del Copasir, Adolfo Urso, ha infatti smentito l’esistenza della famigerata lista: «L’ho letta sul giornale, io non la conoscevo prima».  E l’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli, sostiene che l’intelligence italiana «non ha mai stilato alcuna lista di politici, giornalisti, opinionisti o commentatori, né ha mai svolto attività di dossieraggio».

Prosegue l’ex capo della polizia e dei servizi segreti, spiegando che si è recentemente riunito un gruppo di lavoro interministeriale dedicato alla «minaccia ibrida alla sicurezza nazionale». Un tavolo «istituito sin dal 2019 presso il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e al quale partecipano le diverse amministrazioni competenti per materia, la cui attività, svolta esclusivamente sulla base di fonti aperte, mira non all’individuazione di singoli soggetti, bensì alla disamina di contenuti riconducibili al fenomeno della disinformazione».

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Ora, escludendo che il Corriere si sia inventato i nomi finiti comunque alla berlina come “putiniani”, giova ricordare che non sono in ogni caso i governi, in una democrazia, a stabilire se una notizia disinformi o se sia vera o falsa, ma i tribunali. Anche se da quando è scoppiata la pandemia nessuno sembra più rammentarlo.

Ma se proprio i servizi volessero prendere appunti sulla propaganda segreta in Italia, potrebbero fare un bel dossier sulla disinformazione e le “minacce ibride alla sicurezza nazionale” leggendo qualche altra “fonte aperta”, come “L’oro da Mosca”, agghiacciante raccolta di documenti sovietici pubblicata da Valerio Riva sulle ingerenze del Pcus sull’Italia.

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E i libri “Il golpe inglese” e “Colonia Italia”, in cui Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino hanno dato conto di come il Regno Unito abbia tentato fin dall’immediato dopoguerra di controllare il mondo della cultura, dei giornali e dell’editoria del nostro Paese.

Non si tratta di opinioni, ma di documenti scoperti ricercando negli archivi di Stato britannici di Kew Gardens, nei pressi di Londra: lettere, cablogrammi, informative e analisi dell’intelligence classificati come top secret. Dentro queste “fonti aperte”, i nostri servizi troveranno nomi di sicuro interesse anche oggi.

Quanto alle ingerenze americane in Italia, concludiamo la lista dei consigli di lettura all’intelligence del Belpaese con l’audizione del generale Nicolò Bozzo, già braccio destro del generale Dalla Chiesa, alla “Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro” del 22 settembre 2015.

Chiamato a parlare dei grandi misteri del dopoguerra italiani, Bozzo raccontò a Gero Grassi: «Sa chi c’era dietro alla P2? La CIA. Fintanto che non affrontate questo problema dei poteri che ha la CIA nei territori europei…» Si vede che non c’è stato tempo. Sarà per la prossima guerra.

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