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Alessandro Leon Asoli, la mamma non perdona il figlio killer: “L’odio che ho partorito mi ha tolto l’amore”

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Alessandro Leon Asoli avvelenò la madre e il patrigno per testare una sostanza con cui suicidarsi. Ma lei si salvò chiedendo aiuto. Ora, con l’apertura del processo, ha scritto una drammatica lettera aperta

Asoli

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Casalecchio di Reno (Bologna) – Di Alessandro Leon Asoli, il gip Gianluca Petragnani Gelosi, scrisse: “La follia suicida che lo animava si è trasformata in follia omicida”. È una delle storie più atroci degli ultimi anni. Quella di un ragazzo giovanissimo che per suicidarsi senza soffrire testa il veleno sul patrigno e sulla madre, provando a vedere quanto ci metteranno a morire.

Poi, vedendo che lei non perde i sensi, prova a strangolarla urlandone: «Perché non muori?» Succedeva nell’aprile 2021 e almeno questa è il delirante movente che è stato ipotizzato dagli inquirenti per Alessandro, dopo che sui suoi pc sono state trovate tracce di ricerche per togliersi la vita in modo non cruento.

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IL DELITTO DEL GIOVANE ASOLI

In quel mese di aprile Alessandro compra su internet del nitrito di sodio. Il suo commercio è libero, perché è utile nella conservazione dei cibi e contrasta il batterio del botulino nei prodotti a base di carne, pesce o formaggio per contrastare il batterio del botulino.

La dose di sicurezza è però fissata a 22 milligrammi. Il giovane insiste per cucinare lui quella sera a cena con mamma Monica e il patrigno Loreno Grimandi.

Ma nelle pennette al salmone che prepara versa, e non per sbaglio, alcuni grammi di nitrito, tranne che nel suo piatto. Solo che il nitrito di sodio è salato. Loreno finisce nonostante tutto di mangiare, forse anche per cortesia nei confronti del giovane.

La mamma invece abbandona dopo due forchettate: ciò la salverà. Mentre Loreno inizia a star male, Alessandro cerca di tenere sua mamma in un’altra stanza.

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Il racconto della donna è scioccante: «Mi abbracciava, mi diceva resta qui, mi sembrava strano da lui questo atteggiamento così tanto affettuoso. E quando gli ho detto che sarei andata a vedere come stava Loreno di là, allora è scattato. Mi è saltato al collo, tentando di soffocarmi, urlando “Come è che non muori nemmeno col veleno?”»

Ma la mamma si divincola e riesce ad urlare ai vicini: «Aiutateci, chiamate i carabinieri: mio figlio ci ha avvelenato, ha ucciso mio marito».

Alessandro scappa, ma lo prendono subito. Era in cura per alcuni disturbi psicologici. I suoi genitori si sono separati nel 2013. Il padre, dopo l’omicidio si era detto disponibile ad ospitarlo a casa se lo avessero mandato ai domiciliari.

L’avvocato Gabriele Giuffredi, legale di parte civile, ha detto che Monica Marchioni, la mamma scampata alla furia del figlio «è terrorizzata dall’idea di rivedere suo figlio. Lui pentito? Con noi mai, nemmeno una lettera. Mai, inoltre, ha ritrattato le accuse che rivolse alla madre di essere sua complice, cosa che il pubblico ministero ha sempre ritenuto inattendibili». Già. S’inventò pure questo dopo aver tentato di ucciderla.

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LA LETTERA

Ora il Resto del Carlino rende pubblica una drammatica lettera aperta di due pagine di Monica, in cui la donna mai cita il figlio e dove il marito è chiamato affettuosamente Lollo: “Mi chiamo Monica Marchioni, sono una persona come tante e una donna come tante che ha visto il suo mondo e i suoi sogni svanire in un attimo senza alcuna ragione. La violenza e il male sono entrati nella mia vita, diventata improvvisamente cronaca nera. Ciò che quella notte è successo nella nostra vita solo Lollo e io possiamo saperlo. E voglio gridarlo, anche per lui. C’è stato tolto tutto. Il nostro futuro, l’amore, i sogni, la vita. Tutti quotidianamente ci sentiamo estranei e immuni alla cattiveria, senza macchia e senza peccato e crediamo di non meritare il male. Finché un giorno bussa il buio…”

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Non sa darsi una spiegazione dell’accaduto perché “hai dato tutto perché la tua famiglia crescesse felice, bella e luminosa quasi come una gara con la vita, quasi per dirti ‘ce l’hai fatta e questa è la ricompensa’”. E ancora, si dice: “guardalo sbocciare, crescere e un giorno dal tuo orgoglio forse nasceranno altre gioie”.

Poi, ecco il male, che non riesce a comprendere come le sia capitato addosso per toglierle tutto: “Mio marito è con me, Lollo è mio marito, non uno di passaggio. Era alto 1.65 e si prendeva in giro al mio fianco, mi chiamava stangona. Che ridere io che non sono più di 1.69. Ma eravamo così, scherzavamo, cantavamo, ci facevamo video stupidi come giovani baldanzosi. Eravamo felicissimi”.

Sui social postavano video e foto della loro felicità, di un amore “maturo, forte e indistruttibile anche sotto qualsiasi tempesta. Mai ci saremmo lasciati”. Finchè un giorno “ha bussato l’accidia, stretta per mano all’odio e me l’hanno portato via”.

Un odio “che io ho messo al mondo, ho dispensato amore a lui, ho costruito i binari per la sua vita perché fosse felice per sempre e il mio orgoglio è cresciuto… L’ho cresciuto dando tutta me stessa, con amore, perché abbia sani esempi di armonia, come in tutte le famiglie normali. C’è stato tolto tutto, la nostra vita non tornerà più. Io sono morta quella notte insieme a mio marito, al mio amore grande, perché lui sa che non ho più nulla dentro da quella maledetta sera… Perché questo, e solo questo, è l’abisso nel quale sono stata gettata… Addio Lollo, mio amore grande”. Si tornerà in aula, per il processo, nei prossimi giorni.

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