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L’incredibile storia del massacro sulla nave Zong

La storia della nave Zong, salpata nel 1781 con un carico di 442 schiavi e decisa a portare a termine il suo viaggio nonostante i problemi a bordo: ecco quale orrenda decisione prese per salvare i conti economici…

 

Questa storia parte da un quadro.
Un quadro angoscioso che un artista  ha cercato di dipingere.
Un dramma.
Cerchiamo di immaginarcelo. 

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È una tela  grande, non abbastanza da riempire una parete, ma comunque di dimensioni notevoli.
Soprattutto è un dipinto violento, di quelli che colpiscono gli occhi.
C’è una fascia rossa che parte dall’angolo sinistro, in alto, e taglia il quadro quasi a metà, sfumando in un giallo luminoso: un tramonto forte come un’esplosione. Il tramonto su di un mare in tempesta, plumbeo, arricciato di onde nere increspate da una schiuma che non è bianca ma verdastra.  In fondo, tra il tramonto e il mare,  c’è una nave. Si intravedono gli alberi nudi come stecchi e la prua è una sagoma d’ossa di legno, evanescente come un fantasma.

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Si capisce che viene sbattuta di qua e di là da quelle onde  con schizzi di schiuma verde che sembrano lingue di fuoco, un fuoco d’acqua altrettanto devastante di uno vero.
Davanti, in primo piano, perse tra quei canyon di onde, ci sono dei naufraghi.  Si capisce che annaspano in mezzo ai pesci, in balia dei gabbiani che se li mangiano. Infatti il mare è rossastro e nero di sangue, e c’è una gamba che spunta dall’acqua verde con una  catena legata alla caviglia.

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“The Slave Ship”, “La nave negriera”, così si intitola il quadro. Il pittore inglese William Turner che lo ha dipinto nel 1841 racconta un avvenimento di cinquant’anni prima che lo ha talmente colpito  da fargli frustare la tela con quei colori drammatici. Racconta il massacro della Zong.

 

C’è una nave che, partita dall’Africa, passa per i Caraibi e arriva in America.  Trasporta trasporta corpi ammassati in condizioni disumane.
È la Zong, nave mercantile di medie dimensioni appartenente ad una società privata inglese che commercia in schiavi. Una nave negriera.

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Il 18 agosto 1781 salpa dal Ghana col suo carico di neri acquistati in Africa, 442 persone tra uomini, donne e bambini. Destinazione Caraibi e la Giamaica, dove gli schiavi dovranno essere venduti ai padroni delle piantagioni di zucchero.
Un grosso carico, del valore di circa 36 sterline a schiavo, per un totale  di circa 15.912 sterline, salvo imprevisti. Ecco, gli imprevisti.

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Al comando della Zong c’è il capitano Luke Collingwood, che però non è un vero marinaio, ma un medico di bordo. Utilissimo quando si tratta di scegliere chi comprare per non prendere fregature acquistando “merce avariata”, ovvero esseri umani malati, feriti e troppo deboli.
Quello è il suo vero incarico.
Con lui c’è un primo ufficiale un po’ più esperto, poi 17 marinai inglesi e olandesi male assortiti, e un passeggero civile, Robert Strauss, un ex Capitano destituito perché alcolizzato. 

La Zong si rifornisce di viveri e acqua e parte inoltrandosi nell’Oceano Atlantico in direzione della Giamaica.
Arrivo stimato: tre mesi, tre mesi e mezzo, salvo imprevisti.

Gli imprevisti, appunto.
Infatti, si verifica un disguido di rotta e né il capitano Collingwood che si è ammalato e comunque non capisce niente di navigazione, né il primo ufficiale che se ne intende un po’ di più ma ha litigato con tutti ed è stato destituito, né l’ex capitano alcolizzato riescono a rimediare.

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La Zong sfiora la Giamaica credendo che sia un’altra isola e si allontana di 500 km prima di accorgersene. Si trova in mezzo al mare con le scorte d’acqua e di viveri che forse bastano forse no, mezza ciurma ammalata per il clima, il viaggio e la cattiva qualità del cibo.

 

Il carico, cioè gli schiavi, gli esseri umani comprati in Africa, non stanno certo meglio, perché la Zong ne trasporta più del doppio della capienza.
Come se non bastasse, c’è un tifone che sta arrivando. A qualcuno, non si sa bene se al primo ufficiale o al Capitano, viene un’idea.

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Su questa storia bisogna ragionare in termini commerciali. È da un centinaio di anni, più o meno dalla metà del 600, che il commercio degli schiavi è diventato una parte importante dell’economia europea. Lo schiavismo esisteva fin dal tempo dei romani, e anche da prima.  Anche dopo ha continuato ad esistere, nell’Europa medievale e con la Serenissima Repubblica di Venezia, che asserviva mori e slavi, e con gli arabi.
Ma era un fatto marginale.
Anche quando l’Europa scopre l’Africa, agli inizi del 500, la tratta si mantiene a livelli contenuti.

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Poi, viene scoperta  l’America e le potenze coloniali capiscono che per sfruttarla appieno ci vogliono braccia, tante braccia. Ne abbisognano le miniere d’oro del Sudamerica, le coltivazioni di cotone e di tabacco e soprattutto di canna da zucchero del Centro e Nord America. Ci sarebbero gli indios, ma muoiono subito a causa delle malattie importate dagli europei.  Ecco allora che la soluzione diventano gli africani.
Cominciano gli spagnoli e i portoghesi, seguiti da tutti gli altri: inglesi, francesi, olandesi, perfino i danesi. Le navi si muovono da Liverpool in Inghilterra, dalla Francia, dai porti spagnoli o portoghesi. Partono carichi di merci che venderanno in Africa in cambio di schiavi. Poi vanno in America a venderli in cambio dei prodotti che si coltivano laggiù, e tornano in Europa a commerciarli.
Sono un sacco di soldi che fondano i patrimoni pubblici e privati e stanno alla base dello sviluppo di molte grandi economie europee.  

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Un enorme business. Uomini, donne e bambini presi in Africa e portati via con le navi, in parte rapiti sulle coste e all’interno, la maggior parte venduti ai sovrani locali in cambio di merci.
Dodici milioni di persone, di cui più di due milioni morti nell’attraversamento dell’Atlantico, una mortalità superiore al 12%.
E sulla Zong, su quella nave in mezzo al mare governata da incompetenti, male organizzata, piena di schiavi, malati, col tifone che arriva, prendono una decisione disumana. Alleggeriscono il “carico”. 

 

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Si inchinano ad una logica che ragiona in termini puramente commerciali.
Cominciano con donne e bambini, i più deboli: 54 esseri umani.
Li portano nella cabina della nave affinché gli altri non li vedano e li buttano a mare dagli oblò, legati insieme con le catene.
Vanno a fondo subito e spariscono nel Mar dei Caraibi.
Non basta.
Un paio di giorni dopo ne buttano fuori bordo altri 42, tutti uomini, appesantiti dalle catene, e poi altri 36.
Una decina, visto che non hanno scampo, si gettano in mare da soli.
In tutto sono 142 persone. 

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Il ragionamento è semplice.
Quelli della Zong hanno calcolato un altro mese per arrivare in Giamaica: gli schiavi si ammaleranno e moriranno durante il viaggio o, peggio ancora, a terra saranno invendibili.
Dal momento che il “carico” è assicurato per 30 sterline a schiavo, si possono limitare le perdite, ed anzi magari guadagnarci, perché se gli schiavi muoiono per forza maggiore durante il viaggio: l’assicurazione paga.

Quando alla fine di dicembre del 1781 la nave Zong arriva finalmente in Giamaica, scarica nel porto di Black River i 208 schiavi rimasti.  Immediatamente venduti, vengono spediti nei campi di canna zucchero. I signori della nave mercantile di Liverpool vanno a batter cassa all’assicurazione, ma hanno una brutta sorpresa.
Gli assicuratori non vogliono pagare.
Si va così in giudizio, non per omicidio, non per aver buttato in mare centinaia di persone, un massacro vero e proprio, ma per aver violato le clausole assicurative.

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Il primo processo dà ragione ai proprietari della nave: hanno sacrificato parte del carico per salvare tutto il resto e vanno risarciti.
Gli assicuratori ricorrono in appello e a loro si aggiungono i rappresentanti di un movimento antischiavisti, manna in quel momento per gli assicuratori, cui fa comodo dimostrare che quelli della Zong hanno ammazzato persone innocenti per un tornaconto economico.
Alla fine la Corte attribuisce la responsabilità a quelli della Zong. Ma per omicidio non viene processato nessuno.
La sentenza a favore degli assicuratori aveva fatto un piccolo passo avanti, ma solo per ragioni commerciali.
Il giudice che la emette, William Murray, conte di Mansfield, ha una nipote di colore nata da uno dei rari matrimoni misti.
Poi arrivano altre leggi e finalmente nel 1807 la Gran Bretagna abolisce il commercio degli schiavi e nel 1833 la schiavitù in generale. Piano piano, gli altri Paesi si adeguano.

Il massacro della Zong non è il primo né l’ultimo capitato durante gli anni d’oro della tratta degli schiavi.
Anche se sul momento non suscita più di tanto clamore nell’opinione pubblica inglese, viene utilizzato dai movimenti anti schiavisti come un vero e proprio pugno nello stomaco per smuovere le coscienze.
Come quella di William Turner, che dopo tanti anni  legge un libro sull’argomento e ne resta così colpito da dipingere quel quadro, a sua volta un pugno nello stomaco.
Il dipinto di Turner con i suoi colori drammatici viene esposto nel 1840 durante la prima conferenza internazionale contro la schiavitù, finendo per essere poi conservato presso il Museum of Fine Arts di Boston.

Paola Mizar Paini

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Paola Mizar Paini

La biografia di una persona, proprio per sua natura può essere meno fedele alla realtà e presentarsi dunque più o meno romanzata e, perciò sono in dubbio se raccontare di una vita ricca e avventurosa o limitarmi a raccontare qualche dettaglio insignificante, come ad esempio il fatto che a Marcignago, il 28 novembre, (l’anno nemmeno sotto tortura) quando nacqui, non emisi nemmeno un vagito… forse per non disturbare visto che la mia mamma fece molta fatica a partorirmi. Respiravo così piano, ma così piano che la levatrice (a quei tempi si partoriva in casa) pensò fossi morta. Ma morta morta! Così mi misero in un angolo del letto, avvolta in un lenzuolino e per un po' si dimenticarono di me. Come si accorsero dell’errore? Ebbene, ci sarebbe un proseguo, ma quella è un’altra storia. Mi definisco una vecchia ragazza perché non ho mai smesso di scoprire cose nuove, soprattutto su me stessa. Sono mamma di tre figli: due maschi e una femmina e ho tre nipoti. Vivo ad Alagna, in provincia di Pavia e lavoro come assistente al traffico per Milanoserravalle. E questo è tutto quello che riguarda la mia interessantissima vita privata. Sono da sempre lettrice per bisogno, e scrittrice…per caso grazie all’incontro fortuito con Carlo Frilli, il mio editore, che non smetterò mai di ringraziare per aver creduto in me come autrice. Con la casa Editrice F.lli Frilli Editori ho pubblicato nel 2017 il noir: Angeli Innocenti. Nel 2018 il noir: La Casa delle ombre, premiato con la “menzione speciale” al premio nazionale “La Provincia in Giallo”. Nel 2018 un’antologia di racconti dal titolo: Dieci storie a mezzanotte. Nel 2020 ho scritto a quattro mani, con l’autore Pieremilio Castoldi, il thriller: Emily.Cronache dal passato, e molti dei miei racconti sono stati inseriti in varie antologie. Mi appassiona tutto ciò che è misterioso, adottando nuovi punti di vista su fatti che accadono intorno a noi a cui non riusciamo a trovare una spiegazione. Tengo a precisare che sono concreta e obbiettiva, ma una cosa non esclude l’altra. Amo molto visitare luoghi abbandonati, i cosidetti “paesi fantasma” e adoro le leggende perché contengono spesso l’origine di una vicenda, o più spesso la separazione tra fantasia, un rifugio indispensabile e perfetto per sopravvivere, e realtà, minacciosa e intrusiva. Miti, leggende, fiabe. Come poter sopravvivere senza esse?

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