Arbusti alti come siepi, vetri rotti, colonne spezzate e facce spaventate dipinte sui massi: un panorama surreale quello di Consonno, ma assolutamente aderente a una incredibile storia degli anni 60, la stagione del boom economico, quando il denaro e la vanità sembravano non avere ostacoli
Sopra il comune di Olginate, a quasi 700 metri di quota , sta la frazione di Consonno, un piccolo borgo dirimpetto alle creste affilate del Resegone, con una vista mozzafiato sul lago di Garlate.
Negli anni del “miracolo italiano” fu ribattezzato Paese dei balocchi o Las Vegas della Brianza.
Brianza genuina, bella da togliere il fiato, verde di castagni e ricca di sedano e porro.
Proprio di questo vivevano le 60 famiglie che lì abitavano finché nel 1962, grazie al ricco Conte Mario Bagno, si spalancò la possibilità di vivere un sogno.
Di quel sogno oggi rimane tutta la desolazione che solo il fascino distopico di un futuro impossibile può lasciare.
Consonno, il paese dei balocchi infranti, è uno dei tanti paesi fantasma che popolano la nostra bella Italia.
Eppure, da questi ruderi ancora emergono gli strati di umanità che hanno attraversato un luogo ancora in grado di conservare il suo fascino decadente.
La storia si può dividere in due parti.
La prima inizia quando il Conte Mario Bagno, ricco imprenditore classe 900, che comanda a bacchetta le mondine e giù in Sardegna costruisce autostrade senza badare né alle spese né al rispetto della natura, mette gli occhi sul piccolo borgo. Appena lo vede, pensa: «E’ perfetto! Lo farò diventare un parco divertimenti.»
Compra tutto, di quel paese agricolo mezzo montano, circondato dalle Prealpi lecchesi a un tiro di schioppo da Lecco e Milano. Per 22.500.000 lire acquista le case, i 170 ettari di terreno e la chiesetta del 1400 col cimitero.
Consonno viene rasa al suolo con le ruspe, nonostante ancora ci vivano gli abitanti, e gli animali nelle stalle.
I residenti si trovano accampati nelle baracche dei cantieri del Conte Mario Bagno.
Giù le case, su una strada nuova di collegamento con Olginate e dimezzata con la dinamite la collina di fronte al Resegone: voleva che si vedesse il panorama.
Alle vecchie case vengono sostituiti i nuovi palazzi, sfingi egizie, cannoni, pagode, di tutto un po’.
Consonno prende la forma di una irresistibile, onirica Rimini brianzola.
L’impresa costruiva, ma la collina franava e il Conte Mario Bagno dovette ridimensionare i suoi sogni di bambino ingordo. Arrivarono le prime denunce, e la ribellione dalla natura sventrata si accanì contro il paese dei balocchi.
L’opera delle ruspe aveva mutato l’equilibrio idrogeologico della zona e nel novembre del 1966 le continue piogge favorirono lo slittamento verso valle di ingenti quantità di fango e pietrisco. Un nuovo movimento franoso invase la strada che congiungeva le frazioni di Santa Maria e Albegno.
Ma nemmeno questo, e nuove denunce, bastarono a fermare il Conte Bagno.
Poi, la seconda parte.
Distruzione e desolazione fatta di scritte sui muri scrostati, graffiti sacri e profani di chi, infine, ha occupato questa città fantasma dagli edifici arabeggianti, memoria di un tempo gaudente.
Ora sono rimasti i rottami. Solo rottami.
Per godersi il luogo bisogna salire fino alla torre moresca.
Lì, la vista su ciò che rimane è perfetta, ci sono i resti di quella che fu una galleria di negozi che traboccavano di giochi.
Consonno era una favola, il Conte costruiva e disfaceva: «Qui ci vuole il campo da tennis, là il minigolf. Qui ci metto il circuito delle automobiline»
Al termine dei lavori si salveranno solo la chiesa di San Maurizio con l’attigua casa del cappellano, ed il cimitero, in cima a un poggio a nord di Consonno.
Nel 95 il Conte Mario si spense senza rimpianti né sensi di colpa, lasciando un paese in rovina. La strada è chiusa alle auto con una sbarra e le pareti pericolanti sono transennate con la plastica.
Si incontrano ancora cartelli arrugginiti: “A Consonno è sempre festa”, “Qui tutto è meraviglioso”, “A Consonno il cielo è più azzurro”.
Del castello progettato restano solo piloni di cemento e il cantiere arrugginito e solitario, a futura memoria di una smodata mania di grandezza.
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Rino Casazza intervista Paola Mizar Paini
Rino Casazza intervista, per Fronte del Blog, Paola Mizar Paini, scrittrice pavese di storie poliziesche (“Angeli Innocenti” e “La casa delle ombre”, Frilli Editore; “Emily, storie dal passato”) calate in atmosfere inquietanti di stampo gotico. Paola ci svela i misteri soprannaturali e le leggende legati ad una presunta “casa maledetta”, delle sue parti, Villa Cerri, su cui si sono molto dilungati anche i giornali. Di questi angosciosi segreti Paola sarebbe stata anche direttamente testimone. Niente di più facile, visto che la sua stessa nascita – come racconta – è avvenuta in circostanze che sconfinano nell’esoterico…
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