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Ecco come l’Agenzia della Riscossione potrebbe far cadere il governo Meloni

Alla direzione dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia della Riscossione siede saldamente l’avvocato Ernesto Maria Ruffini. Figlio del politico Attilio, nipote del cardinale Ernesto Ruffini e fratello minore del giornalista Paolo, fu nominato al vertice delle Agenzie nel 2017 dal Governo a trazione Pd di Paolo Gentiloni. E, dopo una breve parentesi in cui venne sostituito dal generale della Finanza Antonino Maggiore, è tornato sulla plancia di comando nel 2020, grazie al governo giallorosso di Giuseppe Conte, su proposta di Roberto Gualtieri (l’attuale sindaco di Roma, sotto la cui guida la Capitale è diventata una discarica a cielo aperto).

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Forti dubbi sulle sue competenze, e su quelle dei giornalisti che accolsero senza batter ciglio le sue osservazioni, le abbiamo avute nel giugno 2022, quando Ruffini ebbe a dire: «Sono 19 milioni le persone che hanno debiti con il fisco. Le abbiamo individuate, ma a chi conviene metterle tutte in cella?» Ora, ovviamente un conto è avere debiti con il fisco, un altro è l’evasione fiscale, reato ben preciso che prevede il carcere e che passa attraverso il vaglio dei tribunali e non certo per il giudizio dell’erario. Che non lo sappia un avvocato, pronto ad assimilare le due cose e ipotizzando la prigione per i debiti, è già di per sè ridicolo. Ma che non lo sappia chi, oltre che avvocato, è al vertice della Riscossione, risulta sconcertante.

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A luglio il ministro Matteo Salvini, a fronte della devastazione prodotta dalle politiche per arginare il Covid e dalla guerra in Ucraina, propose una definitiva pace fiscale, in segno di amicizia con i cittadini. Ma Ruffini è forse la persona meno adatta per una pace, dato che mise subito in chiaro le cose: «Gli amici ce li scegliamo, non me li può dare la legge, gli amici stanno altrove. Il Fisco non può essere amico, al massimo un corretto interlocutore». Ecco, proprio sul «corretto interlocutore», però, le cose non sembrano stare così. Stando ad un’inchiesta di Felice Manti pubblicata su Il Giornale, da giorni nelle caselle postali degli italiani sarebbe giunta una raffica di pignoramenti sui conti correnti e di preavvisi di fermo amministrativo sui veicoli addirittura per debiti risalenti al 2005, che dovrebbero essere condonati da un pezzo.

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E dall’Aci fanno sapere che sono già 3 milioni i veicoli sottoposti a ganasce fiscali. Al quotidiano l’avvocato Claudio Defilippi, massimo esperto in materia tributaria, spiega: «L’ex Equitalia oggi Riscossione lo fa spesso, non cancella definitivamente le cartelle dal 2000 al 2015 oggetto di condono. E a volte chiede intimazione anche di crediti oggetto di rottamazione». Documentati sono anche i casi di chi si è visto addebitare nella rottamazione quater cartelle già pagate con la ter e per quanto ne sappiamo sono partiti una valanga di ricorsi contro quella che doveva essere una pace fiscale.

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Proprio questo mese Defilippi ha ottenuto una prima sentenza al tribunale di Milano, dove il giudice ha sospeso il pagamento di una rottamazione quater ritenendo 18 rate troppo poche per far fronte ad un debito da 1,3 milioni di euro: «La magistratura – ci dice Defilippi – sta supplendo alla politica, anche interpretando nel modo giusto l’articolo 53 della Costituzione, secondo il quale le tasse devono essere pagate in base alla capacità contributiva». Però pare che nemmeno i tribunali costituiscano più un ostacolo per il Fisco: una sua assistita, dopo aver vinto la causa contro la Riscossione per cartelle già prescritte e condonate dal 2004 al 2007, non solo non si è vista pagare le spese legali dal Fisco – spese stabilite per ordine del giudice – ma le è giunta una diffida a pagare entro 5 giorni un’altra cartella da 17 mila euro inerente l’anno 2005, anch’esso prescritto e condonato. Roba da Far West.

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Come sia possibile tale infinita sequela di errori quando tutti i controlli e i pagamenti sono digitali, noi non riusciamo a capirlo. Però sappiamo quali saranno le conseguenze: da una parte, dalla rottamazione quater lo Stato incasserà pochissimo, impigliato nelle cause e nei ricorsi. Dall’altra milioni e milioni di italiani si troveranno alle prese con ganasce fiscali, diffide, intimazioni e conti correnti e stipendi pignorati.

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E con chi se la prenderanno? Non certo con Ruffini, conosciuto solo dagli addetti ai lavori. Ma con il governo Meloni, sentendosi presi in giro dall’ennesima promessa elettorale non mantenuta. A beneficiare del crollo di consensi dell’esecutivo sarà così proprio quella parte politica, Pd e M5S, che mise al vertice dell’Agenzia delle Entrate e a quella della Riscossione l’avvocato Ruffini. Costoro fingeranno che i clamorosi errori del Fisco non siano mai esistiti e diranno in coro che le rottamazioni in Italia sono un flop e non funzionano, dando la colpa al vizio nostrano dell’evasione fiscale. Scommettiamo?

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