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William Giorgio Vizzardelli, i demoni e la mente folle del serial killer adolescente

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Nuovi retroscena su William Giorgio Vizzardelli, passato alle cronache come il Mostro di Sarzana, il serial killer più giovane della storia.

Cronaca Vera si è occupata spesso del suo incredibile caso. E ora il giallista Rino Casazza intervista l’autrice di un saggio sull’assassino.

Vanessa Isoppo, criminologa e psicoterapeuta, ne svela la personalità e le motivazioni profonde che lo spinsero ad uccidere: la videointervista su Fronte del Blog

 

SARZANA – William Giorgio Vizzardelli è meglio conosciuto come “Mostro di Sarzana”, o “il killer ragazzino”. Nato nel 1922, tra l’inizio del 1937 e la fine del 1939, quindi dai 15 ai 17 anni, uccise con spietata freddezza cinque persone.

Fu il più giovane ergastolano d’Italia. Fino a oggi la sua personalità e le motivazioni profonde che lo spinsero al delitto sono rimaste in ombra. Essendo reo confesso, al processo tenutosi nel 1940, questi aspetti non vennero approfonditamente trattati, almeno così si pensava prima di quanto stiamo per rivelare.

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Vanessa Isoppo, psicoterapeuta e criminologa, originaria della città in cui si svolse l’epopea criminale di Vizzardelli, nel suo recente saggio “G. W. Vizzardelli. Analisi psico-criminologica di un serial killer adolescente”, Gammaró Edizioni, contribuisce a fare luce su questo sfuggente pluriomicida basandosi sulla significativa documentazione da lei riscoperta.

Ci puoi spiegare di cosa si tratta?

Agli atti del processo c’è la perizia di due psichiatri. In apparenza sembrerebbe essere servita, come di consueto, a stabilire la capacità di intendere e di volere dell’imputato minorenne; invece è stata un’analisi che, per la prima volta in Italia, ne ha approfondito il vissuto, analizzando il contesto famigliare, scolastico e sociale in cui Vizzardelli crebbe e sviluppò la sua devianza criminale.

Quali le conclusioni?

Vizzardelli viene descritto come gravemente anaffettivo, il che si accorda con la definizione che ne diedero i giudici che lo condannarono, di “delinquente per tendenza”. In pratica per lui far del male alle altre persone, nel caso le considerasse un ostacolo, non era fonte di remore e neppure di rimorso. Al tempo non c’erano gli strumenti medico-diagnostici per inquadrare questa disfunzionalità di comportamento, ma rientra nel quadro di quello che oggi viene classificato come “disturbo borderline di personalità”: una distorsione della psiche che si accompagna spesso ad alcolismo e traumi infantili.

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Proprio come per Vizzardelli, che da bambino, quando abitava a Senigallia, oltre ad aver subito un forte trauma causato da un terremoto, si trovò a vivere l’infanzia in una famiglia disfunzionale, con la madre poco accuditiva a causa di una forte depressione e un padre violento. Inoltre era uso bere liquori che distillava artigianalmente. Aggiungo che questo disturbo di personalità appare come il più diffuso tra le figure di serial killer conosciute.

Non a caso nella biografia di Vizzardelli si trovano i segnali tipici della triade di Macdonald, riscontrati nell’infanzia, che caratterizzano gli assassini seriali: crudeltà verso gli animali (si divertiva a torturare orribilmente cani, gatti e altri animali di campagna); piromania (era affascinato dall’arco voltaico che riusciva a creare nella cantina di casa); enuresi notturna (da piccolo nel sonno non controllava la minzione). Ma c’è dell’altro.

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Vizzardelli
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Cioè?

Uno dei due psichiatri che firmarono la perizia processuale, il professor Aldo Fanchini, dieci anni dopo, mosso da curiosità scientifica, sottopose Vizzardelli a nuova perizia per verificare se il passaggio dall’adolescenza all’età adulta avesse determinato in lui un cambiamento, e quale, rispetto alla diagnosi del 1940. In appendice al mio saggio riporto molte delle risposte scritte fornite da Vizzardelli ai quesiti mirati di Franchini, oltre a parecchie lettere del condannato ai famigliari che il professore acquisì per il suo studio.

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Ebbene, il risultato fu che l’insensibilità affettiva del condannato si era significativamente attenuata, avvicinandolo alla normalità. Vizzardelli, del resto, nonostante la durezza delle regole carcerarie, specie dopo che i compagni di detenzione lo avevano trascinato in un tentativo di fuga poi sventato dalle guardie carcerarie, mantenne sempre un comportamento composto dedicandosi con profitto allo studio della letteratura e della lingua inglese. Il carcere, insomma, sembrava sorprendentemente aver avuto un’influenza positiva sulla sua crescita… Questo aiuta a spiegare la tragica conclusione della vita di questo “strano” criminale che si suicidò nel 1973 non, come si pensa, dopo aver ottenuto la grazia, che gli fu sempre negata come definitivamente chiarisco nel libro, ma il giorno stesso della scadenza dei termini dei 5 anni di libertà condizionale che gli fu riconosciuta nel 1968.

Vizzardelli

In che senso?

Credo che Vizzardelli fosse consapevole che tornando a una vita normale il demone che albergava dentro di sé, frutto del citato disturbo di personalità, mai riconosciuto e curato, ammesso che fosse possibile, lo avrebbe, prima o poi, spinto di nuovo a uccidere. E questo era inaccettabile per la parte buona di sé che la disciplina detentiva e l’amore per la cultura avevano fatto emergere.

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Conferma questa interpretazione la particolarità del suicidio, avvenuto nel bagno di casa, in cui la brutale violenza contro sé stesso – usò un paio di forbici per recidersi la vena carotidea – si accompagna a precauzioni per non dare disturbo alla sorella che lo ospitava, facendo in modo che il sangue , colando dentro il water, sporcasse il meno possibile e soprattutto non toccasse le calzature della parente, che si premurò di spostare e sistemare con cura lontano dal luogo del tragico gesto.

vizzardelli

Rino Casazza per Cronaca Vera

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