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Wanna Marchi: “Non morirò neanche dopo morta, rimarrò nella storia”

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Wanna Marchi, è online una serie dedicata alla regina delle televendite. Dagli anni d’oro al carcere, dalla “guerra al lardo” al mago Do Nascimento

Nove anni e mezzo scontati tra prigione e domiciliari. La figlia Stefania Nobile: “Guadagnavamo 12- 15 miliardi di lire al mese”. Pentimenti? Nessuno

wanna marchi

MILANO- Il 2 settembre Wanna Marchi ha compiuto 80 anni, festeggiati in tono minore per la scomparsa del compagno con cui ha convissuto per 35 anni. Su Wikipedia viene definita “personaggio televisivo e truffatrice italiana”.

E non c’è italiano nato nel secolo scorso che non sappia chi sia: Vanna Marchi, meglio nota come Wanna Marchi, è stata la regina delle televendite. Anche se da lei non compravi esattamente prodotti. Alghe dimagranti, numeri da giocarsi al lotto, fortuna: ti compravi un’illusione. O meglio, per la giustizia italiana, a un certo punto di compravi una truffa, costate parecchio denaro alle vittime.

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E a lei e alla figlia Stefania Nobile nove anni e mezzo tra prigione e domiciliari. Ora che Netflix dedica alla coppia la serie documentario “Wanna”, le due si dividono tra l’Italia e l’Albania. Non si sono pentite di nulla. E anzi, nel trailer, Wanna dice spudoratamente: «Perché i coglioni vanno inculati cazzo!».

Più o meno quanto anni fa sostenne Stefania a La Zanzara, su Radio24: «Noi criminali? La differenza tra le Vanne Marchi, come ci chiamano, e i criminali di oggi è che noi chiedevamo i soldi e ce li davano. Adesso invece se li prendono e basta. Eravamo meglio noi. E se io ti chiedo i soldi e tu me li dai, il coglione sei tu».

LA STORIA DI WANNA MARCHI

Nell’immaginario collettivo restano le grida della teleimbonitrice, la “guerra al lardo” con le alghe dimagranti, lo scioglipancia e gli insulti alla spettatrice per spronarla all’acquisto (“Oh, lardosa!”), i numeri fortunati regalati per diventare milionari al Lotto, gli amuleti e il rito del sale, la grande svolta esoterica con il mago Do Nascimento.

Dice Stefania che guadagnavano 12-15 miliardi di lire al mese. Fino ai servizi televisivi di Striscia la Notizia nel 2001 che fecero crollare il castello di carta, le denunce, l’arresto, il carcere.

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Vanna e la figlia si raccontano al Corriere della Sera. Mamma dice che «io non muoio mai. Non morirò neanche dopo morta, rimarrò nella storia. Che poi scrivano bene o male poco importa, l’importante è farsi ricordare».

Racconta che da piccola voleva fare il medico, ma che in casa non c’erano soldi. Per questo prese un diploma da estetista che le consentisse di indossare comunque un camice bianco anche quando, nelle camere mortuarie «truccavo i morti per dar da mangiare ai miei figli, Stefania e Maurizio. La mia vita è sempre stata improntata al bisogno di soldi».

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Tutto iniziò in un garage affittato come negozio a Ozzano dell’Emilia. Un giorno un ragazzino propose a Vanna un contratto per vendere in tv, lei firmò, ma sostiene di non essersi accorta di aver firmato per una cifra enorme per la fine degli anni 70, ovvero 6 milioni contro le 600 mila lire che credeva di aver speso. Risultati zero.

Non vendette nulla dei suoi cosmetici né a Telecentro di Bologna, né in una tv locale di Padova: «Alla terza puntata mi presento senza prodotti, mi faccio dare il microfono e comincio a raccontare la mia storia. Dico addio al pubblico, nelle mie condizioni economiche non mi era più possibile proseguire. Mentre parlo inizia un viavai di gente del centralino. Mi urlavano: “Vai avanti, vai avanti”. Allora racconto che mio marito era un disgraziato, che mi lasciava senza una lira e mi riempiva di botte. Parlo per quaranta minuti. Lasciato il microfono, tremavo come una foglia, ma erano arrivati duemilatrecento ordini. Da lì il salto a Rete A, il grande canale delle televendite».

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Stefania ricorda l’incontro con Do Nascimento «cameriere di De Carré, finto marchese del giro di Berlusconi e Dell’Utri. Il mago l’abbiamo conosciuto a casa sua: era da poco arrivato dal Brasile e De Carré, volendo lanciarlo in tv, ci chiese di affiancarlo, dato che non parlava bene l’italiano. Ci offrì cento milioni di lire al mese».

Chiamavano in tanti, per questioni di corna e, assicurano, tanti amanti dei preti. Giurano che le testimonianze contro di loro furono esagerate. Addirittura «una farsa» per Vanna. E per la figlia: «La gente arrivava tutta truccata e ben vestita, dopo le interviste rilasciate a destra e a manca, e di colpo, varcata la porta del tribunale, diventata moribonda. Si struccavano, svenivano per finta. Questo non l’avete visto: tutta questione di montaggio, taglia e cuci, orchestrato dall’alto».

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Ad un certo punto in carcere le divisero e per Stefania «volevano ci suicidassimo». Ora, dice «grazie a Raffaele Sollecito ho preso contatti con Nessuno tocchi Caino. Ora io e mia madre siamo volontarie al carcere di Opera». Un desiderio di Vanna è quello di andare via dall’Italia. Quello della figlia è di rivedere la madre in televisione. E voi, cosa preferireste?

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