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Simone Pianetti, la vera storia del giustiziere di Bergamo

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La vera storia di Simone Pianetti – un criminale che nessuno riuscì mai a catturare e che a Bergamo è diventato una leggenda – viene raccontata al giallista Rino Casazza da un suo discendente

Stanco delle vessazioni subite in paese da parte delle istituzioni, Pianetti da imprenditore divenne assassino: si vendicò uccidendoli uno a uno prima di darsi per sempre alla macchia. Venendo da molti visto come un eroe. O meglio, come un giustiziere

simone pianetti

BERGAMO- Simone Pianetti è protagonista di una delle vicende più sensazionali della cronaca nera italiana. Malgrado siano trascorsi ormai 110 anni, se ne conserva ancora un vivo ricordo non solo nella Val Brembana, dove si consumò, ma in tutta la provincia di Bergamo. Al tempo, nell’estate del 1914, essa occupò a lungo le pagine di tutti i giornali, locali e nazionali, togliendo spazio alle notizie sull’imminente scoppio della prima guerra mondiale.

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Denis Pianetti, bergamasco, manager in un’azienda di prodotti per la bellezza, è stato indotto ad approfondire la vicenda non solo dall’interesse per la storia locale, di cui è appassionato studioso, ma anche, come si può intuire, dal cognome. Frutto della sua puntigliosa ricerca, condotta raccogliendo una gran mole di documenti e di testimonianze, è il libro “Cronaca di una vendetta. La vera storia di Simone Pianetti”.

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simone pianetti

Lei non è solo omonimo del personaggio di cui racconta la storia, vero?

Proprio così. Simone Pianetti era fratello del mio bisnonno. Preciso subito che il legame famigliare non mi ha portato a parlare di questa figura con condiscendenza, facendo leva sul fatto che è diventata, nell’immaginario popolare, una sorta di eroe riparatore dei torti alla “Robin Hood”. Ho voluto ricostruirne l’epopea con scrupolo di verità, senza intenti di riabilitazione. Non ho mai perso di vista che si tratta di un pluriomicida da condannare senza appello.

Chi era Simone Pianetti?

Nacque nel 1858 a Camerata Cormello, nel cuore della val Brembana. Di famiglia benestante, ricevette un’istruzione di livello più elevato rispetto alla media del posto. Questo, unito all’aspetto avvenente, ne facevano uno dei migliori partiti locali. Cacciatore leggendario, con una bravura eccezionale nell’uso del fucile, caratterialmente era il tipico valligiano bergamasco, risoluto e caparbio, anche se con un’apertura mentale e uno spirito d’iniziativa molto superiori ai compaesani. Infatti negli ultimi anni dell’800, fattosi liquidare l’eredità dal padre, emigrò negli Stati Uniti in cerca di fortuna.

simone pianetti

Cosa fece in America?

Purtroppo mancano fonti certe. Estremamente suggestivo, ma dubbio, è quel che scrive di lui il criminologo inglese Harry Ashton-Wolfe. Costui narra il modo deciso, con ricorso alla violenza, con cui Pianetti avrebbe combattuto a New York, a fianco della polizia, la famigerata Mano Nera. Pianetti dopo una decina d’anni rientra al paese natale, dando prova di aver messo la testa a posto. Si sposa con una giovane di buona famiglia, da cui avrà numerosi figli e, facendo tesoro di quanto visto e imparato nell’esperienza oltreoceano, apre un locanda, adibita anche ad albergo, che all’inizio ha molto successo. Purtroppo ha l’idea, brillante ma pessima in quel contesto, di allestire nell’esercizio una sala da ballo, subito frequentatissima. In ossequio alla messa all’indice, da parte della Chiesa bergamasca, del ballo promiscuo, considerato immorale, il parroco del paese lancia dal pulpito anatemi contro l’iniziativa. Pianetti deve chiudere il locale perché tutti lo disertano anche per le attività non peccaminose.

E poi?

Pianetti non si scoraggia. Si trasferisce nel vicino paese di San Giovanni Bianco e realizza un’altra idea imprenditoriale all’avanguardia: impianta lì il primo mulino elettrico della Val Brembana. Anche questa attività parte bene ma finisce male, travolta dalle ingiuste dicerie sulla pericolosità per la salute della farina prodotta in quel nuovo modo. Il mulino è boicottato e Pianetti ridotto sul lastrico. Siamo arrivati alla primavera del 1914 e la malattia mal curata del figlio di Pianetti, che rischia la morte, è la goccia che fa traboccare il vaso. Il 14 luglio Pianetti si alza di buon’ora, bacia la sua bambina più piccola ed esce armato del suo fucile da caccia, in cerca di una decina di persone, considerate, non a torto, responsabili della sua rovina.

simone pianetti

Riesce a raggiungerne sette, tra cui il parroco, il segretario comunale e il medico condotto, trucidandole con devastanti cartucce a pallettoni. Da questo momento Pianetti entra nel mito come uno dei più imprendibili fuggiaschi della storia italiana e probabilmente mondiale. Trova riparo tra gli impervi dirupi della Val Brembana che conosceva come nessun altro da cacciatore, senza che si riesca a catturarlo nonostante lo spiegamento di forze per l’enorme impressione suscitata dalle sue gesta omicide. Pianetti riesce nell’impresa grazie al fisico resistente e ad altri due fattori: l’aiuto che gli offrono mandriani e carbonai d’alta montagna, forse per timore o forse per solidarietà verso un perseguitato da molte ingiustizie, e l’avvento della guerra, che distoglie l’apparato pubblico dal continuare la ricerca.

Quindi che fine ha fatto Pianetti?

Dopo un ultimo incontro col figlio, tollerato dalle forze dell’ordine nella speranza che il fuggiasco si convincesse ad arrendersi, ma invano, se ne perdono del tutto le tracce. Potrebbe essere morto precipitando in un remoto crepaccio. Più probabilmente è riuscito a raggiungere la Svizzera, o addirittura a tornare in incognito a Bergamo. Qualche amico o simpatizzante per l’aura di ribelle solitario che reagisce ai soprusi che non ha mai smesso di circondarlo, potrebbe averlo aiutato a trasferirsi sotto falso nome in un luogo sicuro in Italia o all’estero, per esempio in Sudamerica. Adesso ovviamente non è più in vita, ma dal punto di vista giudiziario continua ad essere un latitante condannato in contumacia e quindi in attesa di un vero processo.

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