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La Francia a ferro e fuoco. Ma no, non chiedeteci di essere tutti francesi

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La Francia è nel caos. Tutto è cominciato con l’omicidio del 17enne di origine nordafricana Nahel, ucciso a Nanterre da un colpo di pistola sparato a bruciapelo dal brigadiere Florian M., dopo essere stato fermato perchè guidava senza patente.

Le proteste hanno devastato Parigi, Marsiglia, Lione, con negozi saccheggiati, banche distrutte, danni superiori al miliardo. Secondo il ministro italiano dei Trasporti Matteo Salvini, il caos in Francia «è il risultato di anni di errori e follie ideologiche in tema di immigrazione, soprattutto islamica, di permissivismo giudiziario, di banlieue in mano alla criminalità, di tolleranza verso comportamenti inaccettabili. Scene e scenari intollerabili in un Paese occidentale, nel cuore della società europea».

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Ma Salvini non ci è andato nemmeno vicino: l’ideologia che il ministro illustra sulle politiche di immigrazione e sul permissivismo giudiziario, condivisibile o meno che sia, è applicabile alla situazione italiana. La Francia è quella che i clandestini ce li rispedisce al confine, blindando le sue terre con i gendarmi. E la storia dei loro migranti è molto più datata e ben diversa dalla nostra.

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Perchè la Francia dei valori di libertà, uguaglianza e fraternità che tanto studiamo a scuola, quella che applica la dottrina Mitterrand a terroristi assassini italiani in nome di un garantismo che si fatica a comprendere, il Paese che addirittura arresta l’allenatore del Psg Cristophe Galtier per presunte frasi discriminatorie ai danni dei calciatori, ecco questa faccia della Francia ultrademocratica vale solo per l’Europa e l’Occidente.

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Così come la pagliacciata di fingersi progressisti nello “riscrivere” i romanzi di Agatha Christie, togliendo i termini “potenzialmente offensivi” ovvero razzisti. La Francia è infatti, insieme alla Gran Bretagna, uno degli ultimi Stati neocoloniali. I nostri sono migranti, i loro, per la gran parte, ex coloni le cui terre sono state e sono tuttora sfruttate dai transalpini. Il povero Nahel era algerino, come buona parte degli immigrati del Paese, giunta lì negli anni ’60 quando in Algeria – e poi un po’ ovunque nel Continente Nero – c’era la Legione Straniera e una guerra in cui la Francia si opponeva agli indipendentisti del Fronte di Liberazione Nazionale.

Nel 2018 Italia Oggi ricordava le 14 ex colonie africane da cui l’Eliseo esigeva ancora il monopolio di oro, uranio, petrolio, gas, cacao, caffè, imponendo il franco coloniale e pretendendo impunemente il 50% delle riserve monetarie, per un totale di 500 miliardi di euro l’anno: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. Ce ne fosse uno, di presidente francese, che abbia provato a cambiare le cose.

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Perchè, appunto, il gioco degli ultrademocratici va bene solo in Occidente. Come dimenticare, ad esempio, le recenti e ridicole affermazioni di Stephane Séjourné, presidente di Renaissance, il partito di Emmanuel Macron: «Giorgia Meloni fa molta demagogia dinnanzi all’immigrazione clandestina: la sua politica è ingiusta, inumana e inefficace». Nientemeno. Peccato sia stato Nicolas Sarkozy a sferrare l’attacco, il 19 marzo 2011, alla Libia di Gheddafi, dando il colpo definitivo alla destabilizzazione dell’area e origine al nuovo avvento degli immigrati in fuga verso l’Italia.

E solo nei prossimi mesi potremo finalmente sapere se Sarkozy lo fece unicamente per coprire i 50 milioni di euro con cui il leader di Tripoli avrebbe finanziato le sue elezioni presidenziali nel 2007: a maggio 2023, a 12 anni da quell’episodio tragico, è stato infatti rinviato a giudizio per corruzione. Il governo di Parigi, ora, contro le rivolte di immigrati lasciati a vivere in periferie mutatesi in ghetti, molla il politicamente corretto ed evoca il pugno duro, pronto a mandare in galera per due anni pure i genitori dei minorenni che protestano.

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L’estrema destra ha organizzato una raccolta fondi per il poliziotto che ha ucciso Nahel, raccogliendo più di un milione e mezzo di euro, quasi dieci volte quanto ottenuto per la famiglia della vittima. Una cosa che indigna soprattutto per il motto che ha accompagnato il tam tam sui social: «Questa è casa nostra». Ci vuole un bel coraggio a dire una fesseria del genere. E una vera faccia di bronzo per aspettarsi solidarietà.

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