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Liliana Resinovich: il metodo Sherlock Holmes potrebbe davvero risolvere il caso?

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Liliana Resinovich, al momento il caso offre informazioni attendibili soltanto sulle perizie necroscopiche, piuttosto complesse, svolte sul cadavere.

Il risultato finale è l’incertezza sulle cause della morte della sessantaquattenne pensionata triestina. Alla luce della medicina legale non si sa se si è trattato di omicidio, suicidio o malore di origine naturale. 

Come evidenziato dall’investigatore e criminologo forense Carmelo Lavorino in questa intervista per Fronte del Blog  per far luce sul caso tutto è rimesso alle indagini più propriamente investigative.

Queste hanno comportato diversi e variegati accertamenti, anche oggettivi (per esempio sui cellulari di parenti, amici e conoscenti della vittima e sui filmati delle telecamere di sorveglianza che avrebbero ripreso Liliana poco prima della sua morte) ma la magistratura e la polizia giudiziaria inquirenti stanno mantenendo un sostanziale riserbo per cui, in assenza di  conoscenze complete sul quadro probatorio, c’è spazio solo per ipotesi approssimative.

Una situazione in cui continua a rimanere utile ricorrere alla logica deduttiva, di cui era alfiere il celebre investigatore letterario Sherlock Holmes

liliana resinovich
Da Cronaca Vera

Un post di luglio su questo blog sulle indagini inerenti Liliana Resinovich aveva suscitato un vivace interesse, tanto che qualcuno addirittura l’aveva ripreso pedissequamente in un video, dimenticando di citare la fonte.

In esso proponevo un “divertissement” serio, ovvero applicare al “giallo Resinovich” il metodo di ragionamento che ha reso famoso il più conosciuto detective letterario, Sherlock Holmes, permettendogli di trarre conclusioni valide anche in presenza di elementi di giudizio  scarsi e incerti.

Riprendo la spiegazione data allora sulle caratteristiche del “metodo Holmes”.

COME RAGIONA SHERLOCK HOLMES


L’investigatore letterario londinese, nonostante la convinzione diffusa che ricorra  al metodo c.d. deduttivo, in realtà non si affida propriamente a deduzioni ma ad abduzioni.
Una deduzione consiste nel risalire da fatti noti a un fatto sconosciuto.
Lo schema è quello che si ricava dall’esempio seguente.
Tizio è un uomo, gli uomini sono mortali, dunque Tizio  è mortale.
Come potete vedere ci sono due fatti sperimentalmente evidenti da cui  consegue uno futuro – la morte di Tizio – non ancora accaduto.
Un’abduzione è qualcosa di diverso.

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L’esempio che segue evidenzia la differenza.
Caio è nato in Europa, gli europei hanno la pelle bianca, Caio ha la pelle bianca.
Balza agli occhi che la conclusione non è, come nel caso della mortalità di Tizio, certa, ma solo possibile , sia pure con un alto livello di probabilità, poiché possono darsi, in un numero minoritario di casi, cittadini europei figli di genitori africani.

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C’è un modo per elevare il grado di certezza di una abduzione avvicinandolo a quella di una deduzione: trovare altre abduzioni convergenti. Rimarrà sempre possibilità di  errore, ma sarà, evidentemente, marginale.
Quando Holmes si esibisce nel suo pezzo forte, ovvero la scoperta del mestiere di un cliente che si presenta per la prima volta nel suo ufficio di Baker Street, fa esattamente questo.

Osservando con attenzione il suo aspetto , ricava un dettaglio che rimanda, abduttivamente, a una certa professione.
L’investigatore non si ferma a questo, ricercando e trovando altri dettagli confermativi.
Alla fine il mestiere sconosciuto risulterà scoperto in modo convincente, tanto da rendere scontata  la conferma da parte dell’interessato.

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SHERLOCK HOLMES, AUGUSTE DUPIN E LA VERITA’ SULLO SQUARTATORE:  ebook cartaceo

Le ipotesi che svolgevo nel citato post di luglio erano basate su quanto in quella fase dell’inchiesta si sapeva sulle condizioni del corpo della vittima. Nel frattempo, la stampa ha dato ampio risalto agli esiti di una “superperizia” disposta dalla Magistratura, di cui abbiamo parlato in questo post.

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Tale ulteriore e più approfondito accertamento medico legale, oltre ad aver confermato che la causa specifica della morte di Liliana rientra in un ventaglio di possibilità che contemplano l’azione di un assassino, l’autolesionismo suicida ed anche un infausto fattore patologico , ha fornito alcune indicazioni che cambiano il contesto in cui è avvenuto il decesso della donna.

Vediamo di riassumere, aggiornandolo, il quadro della vicenda.

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Da Cronaca Vera

I FATTI SULLA MORTE DI LILIANA RESINOVICH

Liliana Resinovich, sessantatreenne di Trieste convivente col marito Sebastiano Visintin, ha fatto perdere le sue tracce lo scorso 14 dicembre 2021.
Le indagini svolte dagli inquirenti hanno appurato che quella mattina Liliana era sola in casa in quanto il consorte – secondo quanto da lui riferito -era  uscito di buon’ora per una commissione, e poi come suo solito aveva fatto un lungo giro in bicicletta nei dintorni, riprendendo  il paesaggio con una telecamera.

Secondo il tabulato telefonico alle 8.22 la donna ha fatto l’ultima telefonata ad un amico, Claudio Sterpin, vecchia conoscenza ritrovata con un cui anni prima c’era stato un flirt. Si era accordata con lui- questo sostiene l’uomo – per incontrarsi alle 10 a casa sua, dopo essersi recata per motivi imprecisati presso un negozio della Wind nei paraggi, dove però nessuno dei commessi  l’ha mai vista.

Secondo la testimonianza di una negoziante e filmati di telecamere di servizio -tuttavia non disponibili al pubblico – Liliana è uscita di casa  tra le 8,15 e le 8,30.
Da questo momento in poi, non si sa più nulla di lei.

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I rapporti tra moglie e marito erano all’apparenza nella norma, anche se  sono emersi indizi – ad esempio le ricerche in rete di Liliana sulle modalità legali per un divorzio – che potrebbero far pensare a una crisi tra i due.

Per quanto riguarda Claudio Sterpin, Sebastiano Visintin sostiene di ignorare che tra lui e la moglie ci fosse la confidenza assidua attestata dall’inusuale numerosità dei messaggi e contatti telefonici tra di loro. In uno di questi la donna rivolge all’amico l’appellativo AM che potrebbe significare, in codice, “amore mio”.

Sterpin ha rivelato, senza poterlo provare, che tra lui e Liliana era sorto un rapporto sentimentale avviato a sfociare in una unione stabile.

liliana resinovich
Liliana ricompare cadavere il 5 gennaio 2022, nel boschetto dell’ex Ospedale Psichiatrico di San Giovanni di Trieste, frequentato luogo di passaggio almeno di giorno. Il corpo, con indosso i vestiti con cui la donna era uscita,   è avvolto dentro due sacchi della pattumiera. Altrettanti sacchetti di plastica trasparente circondano la testa.

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Non vengono ritrovati nella borsetta – vuota -gli oggetti personali,  in particolare i suoi due cellulari, che normalmente una persona si porta dietro quando si allontana da casa anche per un breve periodo.

L’esame autoptico inizialmente attribuisce  il decesso a uno  “scompenso cardiaco acuto”, causa di morte naturale di solito dovuta all’aggravarsi di una preesistente condizione patologica – nel caso in questione non documentata-   che può anche essere improvvisa. Non ci sono segni di violenza sul cadavere e gli esami tossicologici svolti non hanno trovato nel corpo della vittima tracce di sostanze in grado di procurare la fatale crisi cardiaca.

Una più accurata valutazione medico-legale ritiene possibile, ed anzi fortemente probabile, che Liliana sia morta per asfissia meccanica. Nonostante, infatti, i sacchetti che avvolgevano la sua testa non fossero strettamente legati intorno al collo, permettendo così l’afflusso di ossigeno, l’effetto di risucchio dell’inspirazione può aver incollato sulle labbra il tessuto in polietilene del sacchetto creando un letale vuoto d’aria.  L’asfissia può aver provocato, come effetto collaterale, lo scompenso cardiaco, oppure questo aver immediatamente preceduto il soffocamento.

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liliana resinovich

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Da Cronaca Vera

Non ci sono segni di violenza sul cadavere e gli esami tossicologici svolti non hanno trovato nel corpo della vittima tracce di sostanze in grado di procurare una  crisi cardiaca.

Liliana Resinovich, tutti gli enigmi del caso – SPECIALE

In un primo momento l’esame dei fenomeni cadaverici suggerisce che l’epoca della morte potrebbe risalire proprio al 14 dicembre, o comunque ai giorni successivi. Una rivalutazione successiva fa emergere che  il decesso è verosimilmente avvenuto in epoca molto ravvicinata al ritrovamento.  Sui sacchetti che avvolgono il cadavere vengono ritrovate impronte di DNA diverso da quello della vittima, ma non apparterrebbero a Visintin e Sterpin, né ad altre persone coinvolte nell’indagine.

liliana resinovich
Da Cronaca Vera

LE “ABDUZIONI”

Nel precedente post sottolineavo come le sostanze chimiche conosciute (ad esempio gli estratti dai fiori della digitale) in grado di provocare uno scompenso cardiaco mortale lascino tracce evidenti nel corpo del defunto anche dopo quasi un mese dal decesso, come sembrava  avvenuto nel caso di Liliana Resinovich.

Pur non potendosi escludere che  o la Resinovich, nell’ipotesi di un suicidio o il suo a assassino in quella di un omicidio, , avessero scoperto , da soli o con l’aiuto di un esperto ricercatore in farmacologia,  un composto che provoca uno “scompenso cardiaco” mortale senza lasciare residui, tale eventualità era estremamente improbabile.

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L’attribuzione della morte di Liliana ad asfissia meccanica la fa definitivamente accantonare.
Vanno rivisti  gli scenari che si potevano ragionevolmente ipotizzare  quando era ancora in piedi l’ipotesi dello scompenso cardiaco come causa primaria di morte . Erano due, e li riassumo in breve:

1. Liliana si reca da sola nel boschetto dell’ex Ospedale Psichiatrico di San Giovanni per soffocarsi calandosi sulla testa dei sacchetti di plastica. Per uno scherzo del destino, tuttavia, mentre stava portando a termine il suo proposito, un fatale  malore cardiaco la anticipa.

2. Liliana subisce l’attacco cardiaco in un imprecisato, diverso  luogo, ed a trasferirne il corpo  nel parco di dell’ospedale è  qualcun altro, presente al malore o accortosene subito dopo. Costui invece di dare l’allarme per l’improvvisa disgrazia, come sarebbe stato normale, si adopera a non far sapere dove Liliana è deceduta all’improvviso.

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Riguardo alla soluzione 1, quella del suicidio, rimangono ed anzi si rafforzano le obiezioni. La modalità scelta da Liliana per togliersi la vita – avvolgersi  in sacchi della spazzatura prima di soffocarsi – presuppone una profonda sfiducia in se stessa, tanto da volersi paragonare all’immondizia.

Tuttavia nella vita della donna mancano del tutto i segni, ed anche i motivi, di un tale catastrofico sconforto. Perché mai, inoltre, Liliana avrebbe dovuto far precedere il suicidio da un periodo di sparizione volontaria ( altro è difficile pensare) di oltre un mese, durante il quale nessuno sa dove si sia nascosa e cosa abbia fatto?

Una decisiva controprova si avrà dagli esiti – ancora ufficialmente non noti – dell’esame di tutto l’armamentario, invero bizzarro, usato dalla suicida, sacchetti di plastica e sacchi della spazzatura, e che deve recare tracce ( impronte digitali e genetiche) compatibili col loro uso da parte della sola  Liliana.

La soluzione 2, quella di un “necroforo” del cadavere che vuole restare anonimo,  diventa assai problematica. Innanzitutto, si deve stabilire come e perché costui potesse essere a conoscenza del luogo dove Liliana è rimasta nascosa così a lungo. Poiché Liliana era libera di procurarsi i sacchetti di plastica e infilarseli sulla testa, se ne deve dedurre che il “necroforo” non esercitasse costrizione su di lei.

Perché mai allora costui, una volta scoperto il suicidio, per non comparire nella vicenda si è preso la complicata briga di trasferire il cadavere al boschetto dell’ex Ospedale San Giovanni e comporlo nel modo in cui è stato trovato? Non avrebbe potuto raggiungere più efficacemente lo scopo di rimanere sconosciuto, per esempio, facendo sparire il corpo della povera Liliana in una foiba, nascondigli naturali di cadaveri di cui è ricco quel territorio?

liliana resinovich
Da Cronaca Vera

La possibilità concreta di un’asfissia meccanica mortale porta alla ribalta la terza ipotesi, quella di un omicidio. Finora la morte per scompenso cardiaco tendeva a escluderlo, pur potendosi supporre, come molti facevano, che qualcuno l’avesse provocato, involontariamente ma colposamente, spaventando la vittima, nel corso di un litigio, con accese minacce.

Ora si può  pensare, sulla base dei dati disponibili, che un individuo ancora senza nome, non necessariamente da ricercarsi tra coloro che finora hanno attirato i sospetti, frequentasse il luogo anch’esso sconosciuto in cui Liliana ha trascorso l’ultimo mese di vita. Impossibile determinare, senza approfondimenti investigativi specifici, riservati agli inquirenti, come e perché ciò sia avvenuto.

Indeterminabile anche il modo con cui Liliana e questo conosciuto condividevano lo stesso spazio. La donna era prigioniera? Volontariamente aveva colto l’opportunità di nascondersi? Una cosa è certa: quando a un certo punto il soggetto sconosciuto decide di ucciderla soffocandola coi sacchetti di plastica, Liliana, come dimostra l’assenza di segni di difesa sul suo cadavere, non si ribella. Carmelo Lavorino, nell’intervista citata, avanza l’ipotesi che il soffocamento di Liliana sia avvenuto quando lei  era fortemente debilitata dal malore cardiaco.

L’assassino, insomma, si sarebbe limitato a darle la spinta definitiva verso la morte. Di nuovo, in questa soluzione del caso, rimane incomprensibile perché poi l’omicida avrebbe trasportato e composto in quel modo il corpo senza vita di Liliana nel luogo del ritrovamento. Ma va da sé che il responsabile di un delitto con tali caratteristiche non potrebbe che essere una persona mentalmente disturbata.

Rino Casazza 

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

ommenti

  1. Articolo interessante. Tuttavia contiene qualche inesattezza:
    1. Sterpin dice che durante la telefonata delle 8,22 (orario confermato) Liliana era ancora a casa: afferma di averlo dedotto dall’assenza di rumori di sottofondo. Quindi è uscita di casa non fra la 8,15 e le 8,30, ma sicuramente dopo le 8,22 (sempre che sia davvero uscita: testimonianze e telecamere ad oggi forniscono unicamente la possibilità, ma non la certezza, che la persona vista fosse lei).
    2. Non ci sono certezze neppure su come fosse vestita Liliana quella mattina: l’ultimo a vederla è stato il marito, e ha affermato che quando lui è uscito Liliana era ancora in pigiama. Quindi – in base a quanto oggi è noto – potrebbe non essere mai uscita di casa, ed essere stata uccisa in pigiama e rivestita dall’assassino.
    3. Non è vero che non ci sono segni di violenza sul cadavere: pare al contrario che ci siano dei (piccoli ma significativi) segni di violenza (sangue in una narice, un ematoma sul viso, segni da afferramento sulle braccia).

    1. Buongiorno.
      Ho cercato di basarmi su quanto si sa in maniera sufficientemente attendibile. Per esempio, sui segni di violenza non tutto è chiaro, anche se il fratello della vittima sostiene siano stati rilevati nella perizia. La verità è che senza accesso alle carte dell’inchiesta è difficile avere punti fermi

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