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Racconto dell’ Epifania: “UN OSPITE VULCANICO”, apocrifo sherlockolmiano di Ambrose Scott

Il rapporto tra Sherlock Holmes e suo fratello Mycroft è un aspetto minore ma molto interessante nella saga del detective di Baker Street. Ambrose Scott, appassionato cultore holmesiano, fornisce un tassello inedito di questo risvolto famigliare della biografia di Holmes, importante soprattutto per far luce sulle origini profonde del suo metodo investigativo. Ma forse, alla fine, l’argomento invece di chiarirsi si complica… (R.C)

 

UN OSPITE VULCANICO

di Ambrose Scott ( **)  con la collaborazione di Rino Casazza

Se talvolta ho esitato nel raccontare le vicende del mio coinquilino, era perché queste presentavano elementi non solo insoliti ma anche controversi.

L’investigatore di Baker Street ha sempre avuto un  approccio originale che agli occhi dei profani poteva suscitare perplessità o risultare addirittura  contraddittorio.

Spesso egli, giunto alla soluzione di un caso, si prendeva la responsabilità di “assolvere” il colpevole, evitando che una condanna potesse segnarne negativamente la vita.

Durante le feste natalizie del 1885, come ricorderete, Il mio coinquilino scoprì l’autore di un furto molto ben congegnato. Il ladro, mr. James Ryde, era riuscito a rubare con l’inganno un gioiello di grande valore nella stanza d’albergo di una donna molto facoltosa. Holmes salvaguardò la sua persona senza denunciarlo per evitare di renderlo agli occhi di tutti un volgare farabutto proprio mentre sua moglie stava per dare alla luce un figlio.

Qualche settimana dopo quell’episodio, per la precisione nel pomeriggio del giorno successivo all’’Epifania, si verificò un’altra vicenda interessante, che mi accingo a raccontare.  

Mentre ero intento a sistemare i miei appunti,  Holmes, più taciturno del solito, era seduto a terra a ritagliare dai giornali le notizie sui fatti di cronaca che lo avevano colpito, con le quali aggiornava un archivio ormai foltissimo. 

Talvolta poteva sembrare  freddo e distaccato, ma chi lo conosceva bene – al tempo essenzialmente io e la signora Hudson, non avendo egli, a quanto era dato conoscere  altre frequentazioni assidue –  sapeva che il mio amico, oltre a possedere una mente  straordinaria, era una persona sensibile, con grande attenzione verso gli altri.

A un certo punto Holmes si alzò in piedi stiracchiandosi, e sedette al tavolo per prendere una tazza di cioccolata calda,  il cui solo odore dava il buonumore.

In quel mentre sentimmo bussare alla porta. Pensammo entrambi che dovesse trattarsi di un cliente, così Holmes, che era in disordine, si alzò per andare a rendersi più presentabile. 

Toccò a me andare ad aprire.

Il visitatore era un uomo dalla corporatura massiccia e lo sguardo fiero. Aveva occhi grigi accesi, la bocca minuta, i capelli lunghi ma ben acconciati. Reggeva un bastone con puntale e manico in ottone, in cui un artiglio d’aquila chiudeva un globo che ricordava la nostra amata Terra. 

Pur non avendolo mai visto prima, mi suggeriva un che di familiare. 

Dopo essersi guardato intorno,  l’uomo incominciò a parlare a raffica con voce baritonale: «Lei deve essere il dottor John H. Watson! Mi hanno parlato di lei… So che dopo l’esperienza in Afganistan si è trasferito a Londra per esercitare la professione medica. Purtroppo i postumi di alcune ferite riportate in guerra le procurano ancora grattacapi. No, dottore: non sono un indovino, solo un attento osservatore. La postura rigida che tiene nel sedere indica che non ha ancora raggiunto la disinvoltura di chi è completamente guarito. Stia attento a non mettere il piede in fallo, mi raccomando! Le strade londinesi sono insidiose, e per di più i vetturini non prestano troppa attenzione ai passanti. So di uno che, scivolato sulla buccia di un frutto, è stato investito da un fiacre. Perdonate le divagazioni, in verità sono venuto per consultarmi col suo coinquilino. Non vedo Sherlock qui con lei, ma presumo che sia a dare una rassettata al suo aspetto ancora trasandato. Gli avanzi su uno dei due piatti che stanno sul tavolo mi dicono che deve essersi allontanato di fretta…» 

Quell’uomo voleva scimmiottare l’abilità deduttiva del mio coinquilino. Più che provar fastidio per quel modo di fare, ero sorpreso che si riferisse al mio amico col nome di battesimo, una confidenza che Holmes concedeva a ben pochi.

Naturalmente mi venne da pensare che fosse suo fratello, che a quel tempo non conoscevo ancora, ma non potevo esserne sicuro.   

Con invadenza lo sconosciuto si diresse verso il divano, lasciandovisi pesantemente cadere seduto. 

Per sistemarsi il fiore all’occhiello della giacca, andato fuori posto, posò a terra il volantino che teneva in mano. Riguardava uno spettacolo teatrale che si era tenuto al Teatro alla Scala di Milano.

Dall’altra parte della casa incominciò a provenire il fischiettio del mio amico. Notai che  riproduceva un motivo particolarmente allegro che aveva ascoltato  tempo prima al concerto di un interprete straniero, quando si occupava della morte di due uomini di fede mormona, la prima inchiesta che, abbagliato dalla perspicacia di Holmes, ho trasferito sulla carta. 

Il visitatore non se ne curò. «Mi può chiamare Hawk Marino.» riprese « Non è il mio vero nome ma uno degli alias che uso quando non è opportuno farmi conoscere… Sa com’è, spesso e volentieri devo operare sotto copertura, anche all’estero… Di recente» divagò ancora « sono stato in Russia, per esempio. Si chiederà cosa pensa mia moglie di questi continui impegni e viaggi. Mi ritengo fortunato ad essere scapolo, mio caro!» concluse con una rozza battuta.

La conversazione fu interrotta dall’ingresso del  mio amico.

Guardando il nuovo arrivato con stupore mescolato a una certa diffidenza, Holmes disse : «Qual buon vento vecchio mio ? Lavori ancora come assistente capo presso quell’ ufficio governativo?»

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«Tutto nella norma grazie, non posso lamentarmi. Il lavoro nobilita l’uomo, no?» rispose l’altro imperturbabile, mettendosi comodo, e proseguì nel suo fitto eloquio infarcendolo di riferimenti a me oscuri «E tu? Da un po’ sei rimasto isolato. Non ci vediamo da una decina d’anni, quando ci fu il funerale di una certa persona… Il mondo era in attesa di un cambiamento radicale, che in parte c’è stato… Ho provato a contattarti, non è stato facile, Sono passato, senza successo, al tuo precedente indirizzo a Londra. Mi hanno detto che da qualche tempo quella casa non è più vuota, l’ hai voluta subaffittare ad altri. Un errore. I due nuovi inquilini  non mi piacciono per nulla, ma se a te sta bene così non metto becco. Caro il mio Sherlock!  Ti trovo proprio bene. Un momento!» aggiunse di colpo, indicando la finestra «Quella donna che si vede in strada con l’aria di aver fatto frettolosamente visita a qualcuno… Che vestito curioso! Sembra troppo largo, come se non fosse suo…secondo me c’è qualcosa di sospetto»

Holmes guardò brevemente oltre i vetri. «E’ una giovane cameriera.» commentò acido  «La padrona le avrà regalato un vecchio abito. Non tutte le persone strane sono equivoche, vero Watson?»

«Può darsi.» replicò l’altro «Ma è sempre meglio diffidare…»

«Questo è vero. Ma la diffidenza va ben indirizzata.» disse Holmes «Piuttosto, dato che oggi sei così loquace, perché non mi parli di te? Hai voluto fondare un club tutto tuo, ma spero che i soci si limitino a chiacchierare tra di loro a ruota libera, senza lanciarsi in scommesse sensazionali. Non vorrei che si ripetesse quanto accaduto con il buon Phileas Fogg e il suo giro intorno al globo…» 

La conversazione tra il mio amico e il singolare ospite mi confondeva. Era evidente  che la conoscenza tra i due era solida e sperimentata. Altrimenti non si spiegava quel modo di discutere alla pari, in un duello dialettico sottile. 

«Lasciamo perdere questo argomento» disse l’ospite «Sono qui per altro.»

Prima di proseguire, estrasse da una tasca interna della giacca una scatoletta di metallo, l’aprì e con noncuranza ne prese una minuscola quantità di tabacco da fiuto, che posò sul palmo per inalarla con gusto.

Io lo stavo a guardare incuriosito e un po’ sorpreso. Holmes, evidentemente abituato a quella scena, attese con un sorriso che terminasse l’operazione.

 «Ho un problema da sottoporti, Sherlock» riprese l’altro. «Non è un giochino investigativo di quelli che ti divertono tanto, ma una questione seria. Forse non conosci Tebaldo Marchetti, in arte Tebaldo Checchi, un apprezzato attore italiano. Conosci invece di sicuro sua moglie, la più grande attrice vivente. Sto parlando di Eleonora Duse.»

«Ah! Quant’è vero Iddio, un’interprete drammatica di grande temperamento!»

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«Già. E una donna forte anche nella vita, con la fama di essere poco socievole. Ma questo non ci interessa, d’altro canto nessuna attrice ha un carattere facile. Diciamo che è una caratteristica di tutte le artiste. Non ti chiedo nemmeno se conosci Norma Neruda, eccelsa virtuosa del violino, strumento che tu ti diletti a suonare.»

Holmes lanciò al suo interlocutore un’occhiata di sorpresa mista a sospetto.  «Mi chiedo se è una coincidenza oppure mi stai prendendo ti gioco di me. Prima di venire in questa stanza stavo appunto…»

«..fischiettando un pezzo per violino che rappresenta uno dei cavalli di battaglia della Neruda? Coincidenza, coincidenza Sherlock» ribatté mister Marino, con aria sorniona. «Felice, voglio sperare. Tornando a bomba, le signore Duse e Neruda stanno per diventare vicine di casa, prendendo entrambe residenza nella  storica cittadina di Asolo, in Veneto. Per la verità, la Duse ci è nata, e vi ritorna per nostalgia a fine carriera, mente la Neruda, dopo la seconda vedovanza, ha deciso di accettare il munifico regalo  di sua altezza il Principe di Galles, erede al trono, che le ha donato lo splendido Palazzo Beltramini, nel centro di Asolo. Vi si ritirerà assieme al figlio, valente alpinista, ben contento di unirsi alla madre visto che colà ci troviamo ai piedi delle vette dolomitiche.»

«Notizia interessante per chi ama il “gossip”, ma io lo rifuggo»

«A meno che non serva alla tua attività investigativa. Stammi a sentire. La signora Neruda sostiene di aver scelto Asolo anche  per l’opportunità di conoscere la signora Duse.  Non ci sarebbe niente di male, senonché la contiguità tra due donne così famose, con importanti amicizie nell’ambito della politica e della nobiltà, suggerisce un motivo più serio.»

«Credo di aver capito. Entrambe sarebbero “agenti segreti”. Spero al servizio di Sua Maestà!»

«Molto ben dedotto, Sherlock. Ma era evidente che, per il mio lavoro, io sapessi qualcosa al riguardo. Non sarei venuto qui a parlartene, sennò.»

«Non per svalutare il genere femminile, ma credo che lo spionaggio rientri tra i molti mestieri inadatti alle donne. Forse può diventare spia, per eccezione, una donna, ma due, per di più appartenenti entrambe al mondo artistico, mi pare assai improbabile»

«Sai bene che condivido con te le riserve sulle capacità muliebri in molti campi, ma si da’ il caso che le donne rappresentino  un continente sconosciuto per noi uomini, cosicché non si può  stabilire a priori cosa siano, o meno, in grado di fare. Converrai, ad esempio, che andare sulla luna, realmente intendo e non sulle ali della fantasia registica di Melies, sia un’impresa ai limiti dell’impossibile ma, appunto, ai limiti, non completamente… Per cui se un giorno si riuscirà a raggiungere il satellite terrestre, chi può escludere che potremmo addirittura avere una donna a capo del governo di Sua Maestà?»

Non nego che a questo punto mi venne da sperare che il destino ci risparmiasse una simile prova, pericolosissima per la scarsa dimestichezza delle donne con gli affari politici oltre che per la loro  fragilità emotiva. Certamente anche Holmes riteneva un azzardo elevare una donna alla massima carica politica.  Era peraltro evidente che mister Marino aveva formulato il suo poco benaugurante pronostico per provocazione, visto che i discorsi che mi aveva fatto prima che Holmes si unisse a noi indicavano una misoginia persino più marcata di quella del mio amico.

Questi, comunque, glissò. 

«Vogliamo venire al sodo “mister Marino”?» chiese, sottolineando le due ultime parole in tono ironico.

Inutile dire il mio stupore nel constatare che  Holmes aveva azzeccato il nome, anzi il “pseudo” nome del nostro ospite. Come c’era riuscito, visto che finora questi si era presentato solo a me, dichiarando di usare uno dei molti suoi “nom de plume”?

Mister Marino, invece, non batté ciglio.  Non si capiva se per non dare ad Holmes la soddisfazione di aver scoperto le sue finte generalità, o perché non era affatto difficile scoprirle per chi, come il mio amico, conosceva bene quel singolare ospite. 

«Volentieri. Fonti bene informate, su cui come puoi comprendere non posso dirti di più, indicano che questo imminente incontro tra le due artiste di fama internazionale coinvolge un poco raccomandabile personaggio nostro concittadino. Immagino tu conosca, Sherlock, Charles Augustus Milverton.»

«Caspita!» esclamò Holmes, accigliandosi.

Dell’individuo appena nominato, Holmes mi aveva più volte parlato in termini che giustificavano la sua reazione preoccupata.

Milverton, di origini portoghesi, era un mercante d’arte e agente letterario molto ben introdotto nella borghesia londinese. Nel tempo era diventato sempre più ricco, non solo per il successo professionale, dovuto a qualcosa in più che la naturale spregiudicatezza richiesta a un uomo di affari, ma soprattutto  per il ricorso alla pratica del ricatto. Egli, insomma, grazie alla sua rete di relazioni di alto livello, riusciva a intercettare informazioni delicate che potevano nuocere a personaggi importanti, disposti a pagare per ottenere il suo silenzio. Particolarmente spregevole la sua tendenza a sfruttare segreti imbarazzanti che, macchiando la reputazione di nubendi o sposi, potevano mandare all’aria nozze o matrimoni. In questi casi a farne le spese era la parte più debole, ovvero fidanzate o mogli.

Holmes nutriva un profondo disprezzo per Milverton, che considerava al livello dei più turpi criminali incontrati nella sua carriera, e non vedeva l’ora di poterlo in qualche modo incastrare mettendo fine ai suoi loschi intrallazzi.

Ricordo bene quanto il mio coinquilino s’era indignato alla notizia che il noto pittore e poeta Federico Michelangelo Brunetti aveva ottenuto il permesso per riaprire la tomba dell’amata moglie, l’ex modella Elizabeth Merril, pittrice e scrittrice anch’essa,  per recuperare un quaderno di poesie dedicatele dal primo marito, chiuso nella bara insieme a lei. Scopo della macabra operazione era riunire in un unico testo le poesie d’amore di entrambi i coniugi, per farne una pubblicazione di successo. Ebbene: risultava evidente che a istigare l’esumazione era stato proprio l’agente di Brunetti, Charles Milverton, il quale non aveva esitato a rilasciare dichiarazioni fasulle, a scopo pubblicitario, sullo straordinario stato di conservazione del cadavere della Merril.

«Credo tu abbia capito, Sherlock, cosa si paventa. Mister Milverton è sospettato di aver raccolto notizie in grado di compromettere la Duse o la Neruda, o addirittura l’una e l’altra, avendo entrambe avuto una vita privata molto movimentata, con più  matrimoni e relazioni.»

Holmes annuiva. «Certo. Il pericolo è evidente. Quel farabutto di Milverton potrebbe non limitarsi a estorcere denaro alle due artiste, ma addirittura esser tentato di vendere quanto ha scoperto a qualche potenza straniera, interessata a far saltare la collaborazione tra Duse e Neruda.»

«Già. E c’è la possibilità, ancor più perniciosa, che una delle due sia convinta, sotto ricatto, a fare il doppio gioco» chiosò mister Marino.

«Puoi star certo» concluse Holmes « che moltiplicherò i miei sforzi per tenere d’occhio quel viscido ceffo di Milverton. L’ho da tempo nel mirino per fargli pagare le sue malefatte. È furbo ed abile ma non può sperare di sfuggirmi.»

«Fantastico!» esclamai « Non vedo l’ora di poter raccontare questa nuova avventura. Vado a prendere subito il quaderno degli appunti. Dovreste essere così gentili da aiutarmi a fissare gli elementi essenziali della vicenda emersi nella vostra conversazione.» 

Mi ero già alzato per andare in camera mia ma Holmes mi bloccò.

«Temo non abbiate capito, Watson. Questa volta l’incarico affidatomi è coperto dal segreto di stato. Vero, mister Marino?»

«Esattamente, Sherlock. Ma non vorrei deludere il nostro medico letterato oltre il necessario. Prendere appunti non è precluso, a patto di mantenere la massima riservatezza. Visto che sono un estimatore della prosa di Watson, non mi spiacerebbe se, in un giorno non troppo lontano, egli potesse regalarci un brillante resoconto di questo caso.» 

 

P.S. Qualcuno si chiederà perché non ho ancora raccontato come si concluse l’incarico che il mio amico quel giorno si impegnò a svolgere su sollecitazione del misterioso Hawk Marino. 

I maligni potrebbero pensare che Holmes abbia disatteso la promessa fatta a quel singolare personaggio. Naturalmente non è così: tutto si può dire di Holmes, meno che non mantenesse la parola.

L’avventura innescata dall’incontro di quel 6 gennaio in Backer Street con Marino si è svolta eccome. E’ stata davvero notevole, complessa e rischiosa, e il genio investigativo del mio amico vi ha rifulso particolarmente.

Se mantengo ancora il riserbo è perché non sono riuscito a sciogliere un dubbio, complice anche la reticenza di Holmes.

Chi si nascondeva sotto le mentite spoglie di Marino? Tutto sembrerebbe indicare che si trattava di Mycroft Holmes, camuffato con l’abilità nel travestimento che contraddistingueva entrambi i fratelli. 

Io però continuo a sospettare che dietro Marino potesse celarsi qualcun altro, nella fattispecie il detective Martin Hewitt, immortalato dal suo biografo Arthur Morrison, che scrive per la mia stessa casa editrice.

Se devo dirla tutta, potrebbe addirittura darsi che Hawk Marino, Mycroft Holmes e Martin Hewitt siano a stessa persona…

Basta, ho detto fin troppo, rischiando di rovinarvi la lettura del resoconto sul caso di Eleonora Duse e Norma Neruda, se e quando mi deciderò a dare alle stampe una delle più straordinarie avventure di Sherlock Holmes.

( **) Ambrose Scott è il “nom de plume” di un estimatore delle storie con protagonista Sherlock Holmes. Alcuni decenni, fa durante un lungo viaggio nel Regno Unito, conobbe  il Dottor Patrick Watson, discendente del più famoso biografo delle avventure del noto investigatore di Baker Street. Pazientemente ha tradotto molti scritti inediti, che poi condivide con quanti hanno la stessa passione. Vorrebbe raccoglierli in un libro, da dedicare a coloro che lo hanno sempre sostenuto le iniziative che ha promosso in molte località.

N.B. L’immagine in evidenza di questo post è di Emippo di deviantart.com

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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