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Piero Chiambretti, la lettera commovente su chi l’ha salvato dal coronavirus: “Angeli che hanno condiviso il nostro dramma”

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Piero Chiambretti, che si era ammalato di coronavirus e che ha perso la madre per la stessa malattia, ricorda: “La mattina successiva la morte di mia mamma, io miracolosamente ho cominciato a stare bene (grazie Felicita), tanto da essere dimesso dopo una settimana e due tamponi negativi”

 

 

Piero Chiambretti, scampato al coronavirus, ma che per la stessa malattia ha perso la madre Felicita, scrive una lettera commovente in cui ricorda medici e infermieri che lo hanno salvato. E di cui dice: “Erano angeli che hanno condiviso il nostro dramma”.

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IL RICOVERO – Lui e Felicita furono ricoverati insieme per polmonite all’ospedale Mauriziano di Torino. Erano i tempi bui in cui il morbo sembrava non lasciare scampo. Il conduttore televisivo, in una lettera a Repubblica, ricorda: “Un giorno che non potrò mai dimenticare. Il pronto soccorso, i suoi rumori, la confusione di medici e malati, le barelle, le mascherine, sensazioni di qualcosa che avevo visto alla televisione, ma che dal vivo erano un’altra cosa: più definite, più realistiche e tangibili… Passare dall’interessarsi degli sviluppi del virus, ad esserne colpito, cambia la prospettiva in modo netto”.

IL REPARTO – Il reparto Covid era allestito all’interno dello stesso pronto soccorso: “Lo smarrimento iniziale di tutti era l’incertezza. Gli occhi di quelli che arrivavano ad ogni ora, come in un ospedale militare da campo, erano spalancati, terrorizzati, in cerca di qualche segnale di conforto. E da subito quel segnale arrivò da un gruppo di infermieri e medici che, bardati al punto di non riconoscerli e scambiarli, si fecero partecipi del nostro dramma”.

GLI ANGELI – E lui non esita a definirli angeli. Scrive infatti: “La cosa che subito mi colpì di questi angeli fu l’età: tutti giovanissimi con una energia che trasmettevano ogni volta che li chiamavi, sempre sorridenti e rassicuranti, anche laddove le condizioni di salute non erano buone. Non avevano ricette per una pronta guarigione, non avevano la pillola magica che fa tornare tutti a casa, ma la loro efficienza mischiata alla grande umanità erano una medicina molto più forte delle medicine sperimentali che somministravano. Sempre presenti, il giorno come la notte, sempre vestiti dalla testa ai piedi con le maschere protettive che lasciavano evidenti segni in faccia”.

PASSIONE PER IL LAVORO – Tutti erano accomunati dalla passione per il lavoro: “Si percepiva dai dettagli. Uno sguardo, una carezza, una stretta alla mano quando il morale scendeva come i valori sul monitor. Col passare dei giorni questi esempi di una Italia meravigliosa sono diventati familiari: ci chiamavamo per nome e la sensazione che ho avvertito nitidamente è che spesso si sostituissero ai famigliari che molti non avrebbero visto mai più. Io li ricordo tutti con affetto per come ci hanno seguito, tanto che molti di loro li abbiamo sentiti ancora dopo essere stati dimessi”.

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COME SONO GUARITO – Ricorda come abbiano tentato di tutto per salvare la madre e gli abbiano dato un sostegno psicologico nelle ore più dure: “Dentro quelle stanze eravamo tutti uguali con un obiettivo comune: salvare la pelle”. E ritiene, forse, che a dare una spinta decisiva alla sua guarigione sia stata anche la mamma, morta il giorno prima: “La mattina successiva la morte di mia mamma, io miracolosamente ho cominciato a stare bene (grazie Felicita), tanto da essere dimesso dopo una settimana e due tamponi negativi. Era un lunedì pomeriggio, quando impreparato a lasciare l’ospedale sono tornato a casa in taxi in pigiama, considerato che portato via d’urgenza quindici giorni prima a sirene spiegate, non avevo neppure una borsa. Ricordo la soddisfazione negli occhi degli infermieri e dei medici nel consegnarmi una cartella clinica dall’happy end quasi come fosse guarito uno di loro”.

DOBBIAMO IMPARARE TANTO – E ora Piero riflette sulla morte di tanti operatori sanitari, che hanno dato la vita per gli altri: “Oggi che sono a casa e leggo che 160 tra medici, infermieri e personale sanitario, hanno perso la vita per salvare quelle altrui che in molti casi neanche conoscevano, mi si stringe il cuore e penso come il nostro Paese ha in queste persone degli esempi da cui imparare tanto”.

Da Oggi.it

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