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Italia, il Paese della malasanità

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Dal caso della piccola Nicole all’incredibile tragedia di Giovanna Fatello. E ancora tumori scambiati per fratture, cartelle cliniche cambiate. Ve lo ricordate Duilio Poggiolini? Andrà a processo il 27 aprile per la vicenda del sangue infetto. Dopo vent’anni dall’inchiesta

 malasanità

L’ultimo caso arriva da Catania. Ed è quello della piccola Nicole, la bimba nata in una clinica privata con una crisi respiratoria e trasferita d’urgenza all’ospedale di Ragusa perché nel capoluogo etneo non c’erano posti disponibili. È morta così, con il Presidente della Repubblica che si dice incredulo. Il ministro Lorenzin che vuol commissariare e l’assessore alla sanità siciliana Lucia Borsellino che intende dimettersi.

 

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Ed è passata solo una settimana dai risvolti di un’altra inchiesta sulla malasanità, per un episodio avvenuto un anno fa, stavolta a Roma. Una storia dove il chirurgo non sapeva quale orecchio operare: la piccola, già anestetizzata, morì in sala operatoria nella clinica Villa Mafalda di Roma. Sono gli inquietanti retroscena di una vicenda assurda, devastanti se si pensa che la vittima fu una bambina di appena dieci anni, Giovanna Fatello, entrata in sala operatoria per una banale operazione al timpano e deceduta il 29 marzo 2014.

 Se è già impossibile accettare la morte del proprio bimbo a causa di un errore medico, provate a mettervi nei panni dei genitori di Giovanna quando hanno letto i verbali di interrogatorio dei medici indagati. Perché, al di là delle perizie che inevitabilmente saranno l’oggetto dello scontro in aula, sono proprio i loro racconti, resi noti da Repubblica, a mettere i brividi. Dice l’anestesista Pierfrancesco Dauri agli inquirenti che il chirurgo Giuseppe Magliulo, una volta anestetizzata la bimba, non sapeva che orecchio operare: «era incerto, mi chiese di andare a chiedere informazioni ai genitori della paziente, che però non trovai». E lui uscì. È accusato di non aver prestato attenzione ai parametri vitali della paziente. Federico Santilli, suo aiuto e a sua volta indagato, spiega invece: «Il saturimetro di tanto in tanto non captava bene il segnale».

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E in effetti l’ingegnere consulente della Procura ha rilevato che il saturimetro, il giorno prima dell’operazione, ebbe una perdita nel tubo. Quanto al chirurgo, quando il cuore della bimba si stava fermando e passò in rianimazione, si sentì male: «Meglio svenire da un’altra parte che farlo lì. Mi si sono seccate le labbra, mi sono spogliato e sono dovuto andare a bere perché non riuscivo a emettere parola».

Ora, anche commentare risulta difficile. Gli indagati sono otto, ma la parte civile si è opposta ad altre due posizioni per le quali è stata chiesta l’archiviazione. Ha detto l’avvocato dei genitori, Francesca Florio: «Allo stato delle indagini — ha detto a Repubblica — non può escludersi una responsabilità dell’intera équipe». Perché ci sono errori ed errori. Ma al di là delle colpe, il ricordo dei protagonisti di ciò che accadde quel giorno lascia davvero senza parole.

 

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Su un altro caso di presunta malasanità indaga intanto la Procura di Roma, ed è quello sulla morte di Domenico Natale, ventenne di Caserta, che sarebbe stato curato per una frattura al ginocchio: invece aveva un tumore.

Un calvario cominciato il 4 maggio 2013, quando un ortopedico aveva letto le sue radiografie e ordinato un ricovero ad una clinica romana per l’operazione. Il mese successivo vennero scoperte le metastasi e, portato all’ospedale Regina Elena, ai medici non era rimasto altro da fare che amputare una gamba al ragazzo. L’ipotesi da verificare è se, con una diagnosi precoce e senza l’intervento, Domenico si sarebbe potuto salvare. Ha dichiarato il padre al Corriere della Sera: «Ho nascosto a mio figlio fin all’ultimo che sarebbe morto perché volevo vederlo sperare. Nonostante l’amputazione, ha combattuto ogni giorno per una vita migliore. I suoi quattro fratelli l’hanno sostenuto durante tutta la terapia». 

 

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 chirurgia

Per un’altra vicenda di presunta malasanità, a gennaio sono stati revocati gli ultimi arresti domiciliari, quelli di Nicola Marraudino, primario dell’ospedale San Carlo di Potenza. Un altro medico indagato per omicidio colposo può tornare ad esercitare e al terzo, Michele Cavone, cardiochirurgo, è stato revocato ancor prima l’obbligo di firma. Proprio questo mese saranno giudicati in abbreviato per la morte di Elisa Presta, 71 anni, deceduta durante un intervento per la sostituzione della valvola aortica il 28 maggio 2013. Quando il fatto accadde, dissero ai famigliari che il fatto era avvenuto per complicazioni post operatorie.

 Fu un esposto anonimo, nove mesi dopo, a riaprire il caso e a far formulare le accuse di omicidio colposo e falso. Venne diffuso l’audio del dottor Michele Cavone, mentre questi diceva ad un altro medico che lo sta registrando: «Io ho un cruccio, ho lasciato ammazzare deliberatamente una persona. Se avessi coraggio dovrei andare ad autodenunciarmi». Il ministero inviò gli ispettori. Pare che una manovra errata avrebbe provocato la rottura della vena cava della signora Elisa. E Cavone ricostruiva così all’interlocutore il ragionamento fattogli a quel punto dal primario: «Gli faccio l’intervento e poi diciamo che è morta per una complicanza».

 

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 Gli scandali sono tanti. Ma non sempre, quando un episodio di malasanità è acclarato, è colpa dei dottori: nella vicenda delle valvole cardiache difettose inserite all’ospedale torinese delle Molinette di Torino e a Padova, ad esempio, emerse che la responsabilità era solo dell’azienda produttrice brasiliana, la Tri technologies. In un altro caso, in cui vennero coinvolti centinaia di medici di famiglia accusati di aver emesso false prescrizioni sanitarie dietro compenso, prescrivendo costosi e inutili esami clinici da fare nelle cliniche convenzionate del professor Giuseppe Poggi Longostrevi, l’eco si spense con le sentenze: solo 19 i condannati, 123 i prescritti, 12 patteggiamenti e 12 assoluzioni.

 

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Duilio Poggiolini
Duilio Poggiolini

 Ma certo il caso più grave è probabilmente quello del sangue infetto, che si trascina da decenni: l’Associazione Politrasfusi ha calcolato che tra il 1985 e il 2008 furono 2605 le vittime di trasfusioni con sangue infetto e 66mila le richieste di risarcimento dei pazienti. Negli anni ’80 e ’90 l’assenza di controlli portò infatti al contagio con hiv e epatite C moltissime persone. Il Comitato vittime sangue infetto nel 2013 disse che 7000 persone erano ancora in attesa di un risarcimento. Un decreto del Governo Monti prevedeva la prescrizione per la quasi totalità dei casi. Per decenni il caso si è trascinato di tribunale in tribunale. Dopo diversi rinvii a giudizio di amministratori di case farmaceutiche, il 27 aprile, finalmente, inizierà il processo anche per l’ex direttore del Servizio farmaceutico nazionale, Duilio Poggiolini. Deve rispondere di somministrazione di sangue infetto o emoderivati. In attesa di giustizia, molta gente è morta. L’unica loro colpa era essersi recata in ospedale per farsi curare.

 Manuel Montero 

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