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IL DELITTO DI AVETRANA, il primo capitolo del libro che scagiona mamma e figlia – ESCLUSIVO

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In esclusiva su Fronte del Blog il primo capitolo del libro IL DELITTO DI AVETRANA, del giallista Rino Casazza, che qui racconta in prima persona la sua lunga inchiesta sul caso, nata dalle interviste sul nostro canale Youtube

il delitto di avetrana

di Rino Casazza

Nel recente libro IL DELITTO DI AVETRANA – Perché Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono innocenti” (GUARDA) ho cercato di spiegare che cosa non torna nella sentenza di condanna che ha mandato all’ergastolo per  omicidio volontario la cugina e la zia della giovane Sarah Scazzi, scomparsa il 26 agosto del 2010 e ritrovata cadavere, uccisa per strangolamento, un mese e mezzo dopo.

 

Il libro IL DELITTO DI AVETRANA su DAGOSPIA

Innanzitutto appaiono evidenti le distorsioni prodotte dall’eccesso di interesse mediatico per questo caso, in cui la visione deformata dei fatti e la malevolenza colpevolista della gente del luogo ha finito per contagiare l’opinione pubblica generale.
Per quanto riguarda l’indagine e il processo, come in altri casi giudiziari, si riscontra un uso non corretto della logica nell’interpretazione dei fatti rilevanti.

il delitto di avetrana
Da Cronaca Vera

La lettera di Valentina Misseri, nel libro IL DELITTO DI AVETRANA, pubblicata da IL GIORNALE

Da buon conoscitore della logica investigativa, enunciata in modo chiaro e approfondito nella letteratura poliziesca, a cominciare dai grandi classici di questo filone letterario – le storie di Auguste Dupin e Sherlock Holmes -, so che il maggior problema, in un’inchiesta criminale, è trarre deduzioni sufficientemente attendibili, nella consapevolezza che in vicende umane complesse come omicidi e delitti ci si trova, nella stragrande maggioranza dei casi, in presenza di prove e indizi indiretti, da cui non si possono trarre conseguenze uniche e incontrovertibili, ma solo probabili.
Il rischio di sbagliare se non si soppesano con attenzione tutti gli elementi, verificando se convergano in un’unica direzione, è alto.

il delitto di avetrana
Da Cronaca Vera

Franco Coppi, lo sfogo nel libro IL DELITTO DI AVETRANA: “Ad Avetrana due malcapitate”. Caso riaperto? LIBERO

Nel delitto di Avetrana, a fronte di una soluzione lineare, con elevata probabilità di essere vera – a uccidere la povera Sarah è stato lo zio Michele Misseri in un raptus di violenza seguito ad avances sessuali rifiutate- si è optato per una più contorta e scarsamente verosimile come un delitto commesso dalla zia Cosima Serrano e dalla cugina Sabrina Misseri per vendetta ispirata dalla gelosia.
Sono sulla stessa lunghezza d’onda, nel giudicare la vicenda, la giornalista RAI più esperta ed apprezzata in cronaca giudiziaria, Roberta Petrelluzzi,, e i giornalisti, scrittori e documentaristi  Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli, autori della più puntuale ed esaustiva ricostruzione del caso nel film documentario Il delitto di Avetrana.

Il grande abbaglio, controinchiesta sulla strage di Erba (versione aggiornata) – GUARDA

il delitto di avetrana
Da Cronaca Vera

Di seguito, il capitolo iniziale del libro.

PREMESSA AL LIBRO “IL DELITTO DI AVETRANA”

Poiché scrivo polizieschi, e prima ancora mi piace leggerli, sono attratto dai “gialli” della cronaca nera, a cui mi accosto cercandovi lo stesso rigore che deve caratterizzare un buon giallo letterario.
Nel seguirne le indagini mi attendo che vengano rispettati alcuni imprescindibili “must”, derivanti dalla logica e dall’esperienza, validi per qualsiasi delitto misterioso, inventato o veramente accaduto che sia.

 

il delitto di avetrana
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Come un lettore, sfogliata l’ultima pagina di un romanzo poliziesco, deve poter constatare che lo sviluppo della storia è coerente, senza aspetti dubbi o addirittura contraddittori, altrimenti avrebbe tutte le ragioni per sentirsi defraudato, così l’uomo della strada che si accosta a un giallo di cronaca nera ha il diritto di trovarsi di fronte a un iter investigativo e processuale lineare e rigoroso.
È un’illusione, com’è ovvio.
Come esistono romanzi gialli scadenti, allo stesso modo esistono inchieste della cronaca nera che lasciano a desiderare.

IL DELITTO DI AVETRANA
Cosima Serrano e Sabrina Misseri, dall’album di famiglia


Questo tuttavia non mi induce ad ammorbidire l’atteggiamento critico, così confesso che sono più d’uno i casi criminali famosi che, secondo la mia “lente di giallista”, le forze dell’ordine e i tribunali hanno ricostruito in modo insoddisfacente.

Due esempi su tutti, tra le inchieste più conosciute: il caso della “Strage di Erba”, e quello del “Mostro di Firenze”.
Riguardo al “giallo di Avetrana”, invece, ho sempre avuto l’impressione che l’inchiesta si fosse chiusa in un modo se non irreprensibile, perlomeno equo.
Questo prima di imbattermi nel film documentario “Il delitto di Avetrana” di Cristiano Barbarossa & Fulvio Benelli, all’interno del loro format “Tutta la Verità”, disponibile su Discovery+, al quale intendo riferirmi come fonte informativa privilegiata.
Ma andiamo per ordine.

Michele Misseri, la disperata lettera nel libro IL DELITTO DI AVETRANA: “Sono io il vero colpevole” – da OGGI

Tutti sanno che, secondo la sentenza definitiva di Cassazione, i colpevoli del delitto di Avetrana sono Cosima Serrano e Sabrina Misseri, zia e cugina della vittima, Sarah Scazzi, uscita dalla sua abitazione un giorno di agosto del 2010 per andare a casa degli zii e lì uccisa.
In realtà esiste un’altra persona con un ruolo equivoco, Michele Misseri, marito e padre delle due condannate. La sentenza lo considera complice nell’occultamento del cadavere ma, stando alle sue dichiarazioni, proclamate a gran voce al processo e confermate a tutt’oggi, egli sarebbe l’unico assassino della nipote, da lui aggredita in uno scatto di follia.

Tuttavia, non ha mantenuto sempre questa posizione. Inizialmente, si è accusato del delitto facendo ritrovare il corpo della vittima, poi ha proposto una serie sconcertante di verità alternative: non avrebbe ucciso la nipote, ma si sarebbe addossato la responsabilità della sua morte per coprire la figlia, vera responsabile; avrebbe commesso l’omicidio in complicità con quest’ultima, lasciandosi sfuggire tragicamente la mano nell’ intento di “darle una lezione”; la nipote sarebbe morta per un caso sfortunato mentre giocava con la cugina, e lui si sarebbe adoperato per nascondere la disgrazia occultando il cadavere.

Il delitto di Avetrana. Ecco perché Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono innocenti – GUARDA

Come avrete notato, in queste differenti versioni, la moglie, Cosima Serrano, poi considerata complice dell’omicidio, non compare mai. Nelle confessioni più volte corrette di Michele Misseri rimane un’unica prova inequivocabile della sua partecipazione all’omicidio: conosceva il nascondiglio, un pozzo situato in un terreno di sua proprietà, in cui è stato trovato il cadavere della nipote, morta per strangolamento.

Anticipiamo fin d’ora che in tutto il caso di Avetrana, oltre a quella appena indicata, esiste solo un’altra prova di colpevolezza in senso proprio (giudiziariamente, la conoscenza certa di un fatto): la deposizione di un testimone che avrebbe visto le due condannate in circostanze che dimostrano la loro responsabilità nella scomparsa della vittima.

Non deve sorprendere che qualcuno possa finire in galera senza un consistente numero di prove di colpevolezza in senso proprio: il nostro ordinamento penale prevede la possibilità di condannare anche sulla base di indizi, in linguaggio tecnico-giuridico “presunzioni”. Le “presunzioni” sono ragionamenti logici, che portano a ricavare da determinati fatti di cui si ha certezza, indirettamente, ma in modo chiaro e univoco, i fatti decisivi per la condanna.
Anche se non so se Tizio ha ucciso Caio, qualora l’assassinio di Caio sia avvenuto mentre i due erano soli a bordo di un’ imbarcazione in alto mare, “si presume” che l’omicida sia Tizio.

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Franco Coppi, il dramma segreto nella prefazione al libro IL DELITTO DI AVETRANA: “Stavo per mollare tutto” – LIBERO

Vista l’intuitiva difficoltà di reperire certezze dirette sulla responsabilità di un reato – quali sarebbero immagini o testimonianze oculari del delitto – il ricorso alle presunzioni è l’unico modo per non regalare un’ingiusta impunità ai criminali.
Comunque, al di là di queste considerazioni, nel caso di Avetrana la quasi totalità dell’opinione pubblica, me compreso prima di conoscere il lavoro di Barbarossa e Benelli, tende a non avere dubbi, tanto che non si registra la solita divisione tra “colpevolisti” e “innocentisti”.
D’accordo: Michele Misseri è un testimone inattendibile per la sua facilità a cambiare versione.
D’accordo: a parte la testimonianza di cui si è detto, e su cui dovremo ritornare, non sapremo probabilmente mai come veramente si sono consumate la sparizione e poi la morte di Sarah Scazzi.

Delitto di Avetrana, la criminologa Roberta Sacchi: “Sabrina e Cosima sono innocenti” – VIDEO

Esiste tuttavia un punto fermo, origine della prevalente tetragona posizione “colpevolista” del pubblico: comunque la si voglia mettere, Sarah Scazzi ha trovato la morte recandosi nell’abitazione degli zii, e quindi la responsabilità va attribuita alla famiglia di questi, un’accolita di ipocriti che hanno soppresso una parente in giovane età e poi hanno tentato di nasconderlo.
Si tratta di un’attribuzione di responsabilità sommaria, di natura oggettivo-ambientale, contraria al sacrosanto principio della responsabilità penale personale, e perciò non può essere sostenuta apertamente.
Ma, inutile nasconderselo, “tutti” l’hanno condivisa e continuano a farlo.

il delitto di avetrana
Da Cronaca Vera

A creare questo diffuso pregiudizio, ha contribuito certamente “l’effetto contraccolpo” prodotto dallo svolgersi della storia nel mese e mezzo scarso trascorso tra il momento della sparizione e il ritrovamento del corpo della ragazzina.
Ricordate il caso di Alfredino Rampi a Vermicino nel 1981?
La vicenda di quel bimbo in pericolo mortale e quella della povera Sarah Scazzi hanno in comune l’esposizione mediatica.
Tutta Italia ha preso a cuore le sorti di entrambi.

L’auspicio, universalmente condiviso con intensa partecipazione emotiva, che il piccolo Alfredino risalisse sano e salvo alla luce del sole dal fondo del pozzo in cui era precipitato era uguale a quello che l’adolescente Scazzi ricomparisse viva e vegeta. Quando il lieto fine è mancato, ne è seguita una delusione così cocente da risultare quasi inaccettabile.
Ricordate lo speleologo che tentò di raggiungere Alfredino nelle viscere della terra?
Quando la sua missione di soccorso fallì, rimase lacerato dal senso di colpa malgrado non avesse nulla da rimproverarsi.

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Nel delitto di Avetrana, l’opinione pubblica non è riuscita a perdonare a Sabrina Misseri l’impegno con cui si era spesa, seguita giorno per giorno dai mass media, per cercare di ritrovare la cuginetta inspiegabilmente svanita nel nulla.

Ci eravamo sentiti tutti al fianco di questa “cugina esemplare”, incarnazione della speranza che una ragazzina, allontanatasi da casa in una “fuitina” adolescenziale o forse, Dio non volesse!, rapita da malintenzionati, riabbracciasse i famigliari che le volevano così bene. Quando è emersa la terribile ben diversa verità, Sabrina Misseri è diventata il capro espiatorio prima ancora che il padre la chiamasse in causa, anzi addirittura prima che questi rivelasse il proprio ruolo diretto nella vicenda. Com’era possibile che Sabrina non si fosse accorta che il genitore aveva commesso l’orrendo misfatto, o  quantomeno non avesse sospettato di lui?

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Non si era, per caso, costruita con cinica spregiudicatezza un’immagine di indefessa promotrice delle ricerche di Sarah?
Non solo: l’evidenza che la famiglia Misseri era, come spesso nel sud Italia, a conduzione matriarcale, ha finito per coinvolgere in un alone di complicità o, nel migliore dei casi, di omertà, anche la figura della madre di Sabrina, Cosima, donna ombrosa e riservata dal forte carattere. Poteva la capofamiglia effettiva non sapere nulla dell’orrore accaduto in casa sua? Di più: era credibile che quell’orrore non avesse la sua copertura, o addirittura il suo preventivo beneplacito?
In una sorta di villaggio allargato, l’Italia intera si è trovata in sintonia con la vox populi della cittadina pugliese, orientatasi verso l’ipotesi di un delitto di gruppo ben prima che prendesse forma negli sviluppi dell’inchiesta.

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Emblematica a tal riguardo la dichiarazione dell’unico membro della famiglia Misseri scampato al maglio della legge, Valentina Misseri, sorella di Sabrina: «Per fortuna quando è avvenuto il delitto mi trovavo a distanza di centinaia di chilometri, altrimenti anche io sarei finita sotto accusa». E forse qualcuno pensa che la donna in qualche modo sia colpevole, non potendo non conoscere il tremendo segreto famigliare…Vediamo di tratteggiare i requisiti essenziali di un’inchiesta corretta, d’invenzione o reale.
Riguardano il colpevole e l’atto criminale.
Il colpevole deve possedere:
la possibilità materiale di commettere il delitto;
– un movente.

Riguardo al primo aspetto, che rimanda al capitolo importantissimo degli alibi, c’è poco da dire. Basta richiamare il caso di Valentina Misseri, citato poco sopra: se qualcuno era certamente in un luogo troppo distante da quello del delitto per raggiungerlo in tempo, non può essere colpevole.
Il secondo aspetto è un po’ più scivoloso, per la possibilità, non scartabile a priori, di un raptus omicida immotivato. L’uomo non è un essere completamente razionale e, in taluni casi, può commettere un reato di violenza perché si accende in lui una scintilla di follia.
È evidente che il ricorso a questa spiegazione limite può essere accettabile se e solo se esiste una solida certezza che il crimine è da attribuirsi al colpevole individuato. Abbiamo però visto come questa certezza, potendo di rado basarsi su prove dirette (immagini e testimonianze oculari), è largamente rimessa a presunzioni.
Tra queste, soltanto quelle che si fondano sul ritrovamento di impronte digitali hanno un grado elevato di affidabilità.

Le impronte digitali non possono mentire: se c’è la mia impronta digitale sul luogo del delitto, e non sarei dovuto trovarmi lì, la presunzione della mia colpevolezza diventa immediatamente fortissima.
Solo io posso rilasciare una mia impronta digitale. L’ipotesi che qualcuno mi abbia costretto a farlo deve ritenersi teorica e comunque da dimostrare specificamente.
Non includo tra le presunzioni attendibili, perlomeno non allo stesso livello di quelle derivanti da impronte digitali, quelle fondate su altre tracce riconducibili al sospettato trovate sulla scena criminis. Non mi riferisco soltanto a parti del suo vestiario od oggetti a lui appartenenti, di cui ovviamente va esclusa una presenza sul luogo del delitto casuale o provocata per depistaggio, ma anche alle stesse impronte genetiche.
Riguardo a queste sono ormai numerosi i casi di errore giudiziario dovuti sia a rilevazione metodologicamente scorretta della traccia, sia a trasferimenti della stessa nello spazio per il fenomeno conosciuto come “DNA” da contatto.
Le impronte digitali non possono muoversi, quelle genetiche, oramai è acclarato, sì, anche inavvertitamente.

Questo discorso serve a introdurre il tema delle caratteristiche dell’atto criminale, decisivo in un quadro di sole presunzioni sulla colpevolezza del sospettato.
Se si accusa qualcuno di un delitto, bisogna dimostrare come lo ha commesso.
La relativa ricostruzione deve essere non solo possibile – ci mancherebbe che si attribuisse al sospettato, ad esempio, un’uccisione con la forza del pensiero – ma anche plausibile, intendendosi con questo che le circostanze del modus agendi devono reggere alla prova della normale logica.
Può sembrare superfluo specificarlo, se non fosse che spesso la responsabilità di un imputato è apparsa dubbia proprio per la scarsa congruenza dell’azione criminosa attribuitagli.

Due esempi su tutti: la strage di Erba, e il delitto di Yara Gambirasio.
Nel primo caso i due condannati, Olindo Romano e Rosa Bazzi, persone di mezz’età con capacità intellettuali modestissime e scarsa cultura, oltre che con abilità atletiche limitate, potrebbero aver commesso l’omicidio di quattro vicini di casa, più il gravissimo ferimento di un altro, solo riuscendo nell’impresa inverosimile di fuggire saltando giù da un terrazzo ai piani alti di un palazzo, e poi di cancellare le copiose tracce dei delitti, rimaste inevitabilmente loro addosso, rendendole invisibili ad un sopralluogo a tappeto di polizia scientifica.

sabrina misseri
Una giovanissima Sabrina Misseri

Per quanto riguarda il secondo caso, nessuno ha potuto spiegare in maniera convincente come abbia potuto il condannato, Massimo Bossetti, far salire sul suo furgone di lavoro una fanciulla che non lo conosceva e che non aveva bisogno di un passaggio essendo casa sua distante qualche centinaio di metri.
Altrettanto inspiegabile come sia riuscito a condurre la vittima fino ad un posto appartato lontano parecchi chilometri, per strade intervallate da semafori che l’hanno costretto a fermarsi o quanto meno a rallentare, senza che la ragazzina, una giovane atleta allenata, si sia opposta chiedendo aiuto o cercando di fuggire.
A questo punto siamo pronti a intraprendere il nostro viaggio dentro l’inchiesta di Avetrana.
Rimane solo da spiegare in che modo il documentario di Barbarossa e Benelli sia riuscito a scrollarmi di dosso il pregiudizio colpevolista nei confronti delle due ree, secondo la giustizia italiana.
La risposta è semplice: si tratta di un contributo che non fa mai emergere direttamente l’opinione degli autori – innocentista nei confronti di Sabrina Misseri e Cosima Serrano – ma fa parlare le immagini e le dichiarazioni di tutti i protagonisti.

Anche se di parte, non può essere controbattuto con semplici argomentazioni: necessita un altro documentario che raccolga immagini e testimonianze contrarie tenendo separati con eguale scrupolo i fatti dalla loro interpretazione.
Un accenno alla struttura del testo.
La prima parte è dedicata alla narrazione delle indagini, in ordine cronologico, dal momento della scomparsa di Sarah Scazzi, a fine agosto 2010, fino al passaggio alla fase più propriamente processuale, da luglio del 2011.
La seconda parte è riservata agli esiti del processo principale, conclusosi nel 2017, e di quelli connessi, approdati l’anno scorso al secondo grado di giudizio o a quello finale.
La soluzione giudiziaria viene riferita nei suoi aspetti qualificanti, ovvero la ricostruzione di moventi e azione omicida, riportando sia il punto di vista dei giudici, alla base della condanna, che quello, contrapposto, della difesa, la quale, pur uscita sconfitta dal confronto dibattimentale, non ha smesso di sostenere l’innocenza delle condannate e, come vedremo, dispone ancora di frecce al proprio arco.

In coda alla narrativa di tesi e controtesi si trova un paragrafo dedicato ai dubbi che suscitano le scelte fatte nella sentenza agli occhi di un osservatore esterno.
Questa sezione si avvale di un prezioso contributo. Uno degli avvocati difensori di Sabrina Misseri, Nicola Marseglia, ha risposto alle nostre domande su alcuni aspetti critici dal punto di vista giuridico e processuale.

 

Per quanto riguarda Barbarossa e Benelli, fermo restando che il modo migliore per conoscere il loro punto di vista rimane prendere visione del già citato film documentario Tutta la verità – Il delitto di Avetrana, un importante assaggio può ricavarsi nella sezione del libro dedicata alla loro intervista.
Tutti e tre hanno partecipato ad un dibattito in due puntate sul caso Avetrana, da me condotto, disponibile sul canale youtube di Fronte del Blog nella playlist “I grandi gialli raccontati da Rino Casazza”.

Roberta Petrelluzzi, conduttrice della trasmissione di Rai 3 Un giorno in pretura, occupatasi del caso di Avetrana in maniera estesa ed approfondita, ha accettato di esprimere il proprio parere, particolarmente significativo, nell’intervista anch’essa riportata nella sezione finale del libro.
Questo si chiude con due documenti esclusivi che offriamo alla valutazione del lettore: una lettera inviata a Barbarossa e Benelli da Michele Misseri, in cui questo protagonista decisivo della vicenda esprime la propria posizione. E uno scritto con cui l’unico membro della famiglia Misseri rimasto senza conseguenze giudiziarie, la figlia maggiore Valentina, racconta il suo punto di vista.

Un’ ultima nota scontata, ma opportuna.
La verità giudiziaria su un omicidio, raggiunta attraverso un regolare processo, è fondamento indispensabile di uno Stato di diritto. Certo le sentenze, opera di uomini, non sono infallibili, ma la loro fallibilità non è un valido motivo perché lo Stato rinunci a esprimere la propria posizione su fatti così gravi, attribuendo responsabilità e risarcendo, moralmente e materialmente, gli offesi.
Così, il pronunciamento della magistratura in merito a un delitto va accettato e rispettato.
Il valore essenziale della giustizia penale non fa però venir meno l’importanza della libertà di critica, proprio perché, appunto, non si ha mai la certezza assoluta che la verità giudiziaria coincida con quella storica.

 

Tra l’altro, dal punto di vista tecnico-giuridico in campo penale, nemmeno le sentenze definitive, ottenute dopo che si sono espletati tutti i prescritti gradi di giudizio, sono inamovibili ( i latini dicevano che fanno “de albo nigro”, ovvero rendono nero il bianco anche se palesemente non lo è), per la possibilità della cosiddetta “revisione del processo” nel caso straordinario che emergano elementi, prima non presi in considerazione, tali da indurre a modificare la decisione presa. Anche per il giallo di Avetrana, come spiegheremo, sembrano esserci le premesse per una simile svolta. 

Rino Casazza 

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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