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Federico Barakat, ucciso dal padre violento in un incontro protetto: nessun colpevole

La mamma, Antonella Penati: “Mi hanno tolto lo status di vittima”

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Anche per i giudici di Strasburgo lo Stato italiano non ha responsabilità per la morte del piccolo Federico Barakat, 8 anni, ucciso dal padre con 37 coltellate durante un incontro protetto. La madre del bimbo rimasta sola, non sa darsi pace: aveva denunciato per 17 volte l’ex. È stato tutto inutile: hanno costretto il bimbo a incontrarlo in un luogo protetto, il padre lo ha ucciso. E per la giustizia nessuno ha colpe. Come dire che se la sarebbe dovuta cavare da solo.

 

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SAN DONATO MILANESE- Quando accaddero i fatti, il 25 febbraio 2009, gli assistenti sociali del centro socio sanitario di San Donato Milanese, ricordarono l’assassino così: «Aveva gli occhi del diavolo ed era in preda a un raptus di follia». L’assassino era Mohammed Barakat, egiziano di 53 anni. E la vittima era suo figlio Federico, di nemmeno nove anni: lo aveva ucciso prima sparandogli a bruciapelo con una pistola e poi finendolo con 37 coltellate. Poi si tolse la vita. Una scena dell’orrore. Ma in questa follia c’era qualcosa che non tornava: tutto si era svolto nel corso di un incontro protetto, voluto fortemente dalle istituzioni anche se il figlio non voleva assolutamente saperne di voler vedere il padre. Il motivo era stato messo nero su bianco 17 volte in altrettante denunce per maltrattamenti e minacce fatte dalla mamma Antonella Penati: tutto inutile. Mohammed era entrato lì dentro armato di pistola e con un coltello aveva ammazzato il figlio. Di chi è la colpa? Di nessuno. Questo hanno sentenziato definitivamente anche i giudici per i diritti dell’Uomo di Strasburgo, che ha assolto lo Stato italiano a giugno e che ora ha respinto il ricorso della disperata donna.

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LA VICENDA

Dai fatti di sangue sono trascorsi dodici anni. L’educatore dell’Asl e gli assistenti sociali andarono a processo, ma furono assolti definitivamente. Antonella pensò così di rivolgersi a Strasburgo, perché i fatti certi sono che Federico era terrorizzato dal padre e fu costretto a vederlo senza alcuna protezione nonostante si trovasse in un luogo protetto predisposto dallo Stato. Aveva otto anni e non si poteva difendere. Altrettanto certo è che Antonella si oppose disperatamente all’incontro, ma  giudicata da una Ctu “madre iperprotettiva”. Sicchè avvenne tutto com’era nella mente del folle ex compagno, senza che nessuno si opponesse.

L’avvocato della donna, oggi presidente dell’associazione “Federico nel Cuore”, Federico Sinicato, aveva detto nel corso di una conferenza stampa: «Antonella Penati incomprensibilmente non ha mai ottenuto giustizia, né dallo Stato italiano, che assolse gli assistenti sociali e l’educatore dell’Asl di San Donato Milanese in primo grado e poi in Cassazione (in appello fu solo riconosciuta una responsabilità parziale). La Suprema Corte affermò il principio secondo cui non si potesse individuare alcuna responsabilità in capo agli imputati perchè il decreto del Tribunale dei Minorenni che affidava il bambino al servizio sociale, era finalizzato a scopi educativi e non espressamente a tutela dell’incolumità psicofisica del minore. Pare assurdo pensare che vi debba essere una norma scritta che sancisca la sussistenza di una posizione di garanzia in capo all’ente affidatario del minore, eppure è ciò che emerge dall’iter processuale». E Antonella aveva aggiunto: «La sentenza Cedu ha confermato che lo Stato italiano non ha alcuna responsabilità ed è necessario sollevare l’opinione e la coscienza pubblica su questo caso. Se uno Stato non è obbligato a tutelare i bambini chi li deve proteggere? Lo Stato italiano ha preteso di avocare a sé la decisione di organizzare quegli incontri, dopo aver limitato la responsabilità genitoriale e aver ignorato gli appelli della madre a tenere nella dovuta considerazione i precedenti e la pericolosità del padre, pretende di non aver commesso errori».

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Ma il suo ricorso successivo è stato rigettato. Ci troviamo così davanti ad una vicenda surreale, di un bimbo di 8 anni brutalmente assassinato in un’istituzione di Stato, costretto ad incontrare il padre carnefice in un luogo soltanto di nome “protetto” e che per la giustizia, evidentemente, se la sarebbe dovuta cavare da solo. Si fa fatica perfino a commentare e a considerare ancora Strasburgo la sede il luogo per antonomasia di difesa dei diritti dell’Uomo. Antonella ha commentato così il rigetto del ricorso: «Con la sentenza Cedu si sono permessi di togliermi il mio status di vittima. Ai giudici chiedo di spiegare ai loro figli, quando li guarderanno in viso, come abbiano potuto fare questo ed arrivare ad una sentenza cosi».

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