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“Zio Alberto Sordi tirchio? E’ solo una leggenda”

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alberto sordi

Il 25 febbraio del 2003 ci lasciava il grande Alberto Sordi, la cui strepitosa carriera ha caratterizzato la storia del costume italiano degli ultimi sessant’anni. In occasione dell’undicesimo anniversario della scomparsa, abbiamo voluto rendergli omaggio attraverso i ricordi del pronipote Igor Righetti, giornalista radiotelevisivo al timone, ogni giorno, de Il ComuniCattivo su Rai Radio 1 e, il mercoledì, su Raidue con Il ComuniCattivo in Tv.

Cosa ricorda di suo zio?

«Ricordo che da ragazzino zio Alberto mi chiamava “A’Igore” o lo “scugnizzo”, e poi mi faceva spesso gli scherzi telefonici, anche la notte, ed era molto divertente. Poiché non aveva figli, ero io a rappresentare in qualche modo il futuro della sua famiglia. Certo, visti gli impegni, non era “lo zio della domenica”, ma l’ho sentito egualmente sempre molto vicino. Fu lui, infatti, a stimolarmi a frequentare la scuola di recitazione e quella di canto e a sperimentare la radio e il cinema. Invece mi ha sempre sconsigliato la Tv».

Perché?

«La considerava una minaccia alla famiglia e ai rapporti sociali. A casa ogni componente accende il proprio televisore e non comunica più. Albertone definiva la Tv come una scatola che si intrometteva tra i singoli individui costringendo i pensieri. E poi diceva che il culto dell’apparire stava prendendo il sopravvento sui contenuti».

La popolarità di Sordi partì dalla radio. Le avrà insegnato qualche trucco del mestiere…

«Certo, lo zio non si risparmiava in fatto di consigli. Se il mio programma è così amato (siamo arrivati a 2.300 puntate e undicimila interviste!) è senz’altro grazie ai suoi prezio preziosissimi consigli sul linguaggio radiofonico. Mi ha insegnato a rimanere me stesso davanti a un microfono e ad affrontare anche i temi più seri con la giusta dose d’ironia. Anche il saluto de Il ComuniCattivo, “buona comunicazione”, è nato proprio perché Alberto mi aveva fatto notare che tutti i conduttori salutavano dicendo “buongiorno”, “buon pomeriggio” e “buona sera”. Per distinguermi, quindi, avrei dovuto creare un saluto speciale, e così ho fatto. Non è un caso se ho dedicato a lui la medaglia di bronzo che mi è stata assegnata al Gran Premio Urti Radio 2010, uno dei più prestigiosi tra i pochi concorsi radiofonici internazionali. È stata la prima volta nella sua lunga storia che Rai Radio 1 si è vista conferire questo ambito riconoscimento».

Senta, ma Sordi era così tirchio come si dice?

«Quella dell’avarizia è una leggenda metropolitana nata dal fatto che non frequentava mai le feste. Alberto non ha mai amato la mondanità e il gossip. Era oculato nelle spese, quello sì, ma non taccagno. Avrebbe potuto avere auto lussuose ma non amava ostentare, era molto geloso della sua vita privata così come non ha mai voluto fotografi nella sua casa, una villa da sogno a Roma, in piazza Numa Pompilio. Sorrideva quando vedeva i servizi fotografici realizzati nelle case di personaggi dello spettacolo con la camera da letto, i bagni e pure il frigorifero aperto! Anche la beneficenza la faceva senza sbandierarla, non si faceva fotografare con le gigantografie degli assegni come fanno altri».

Faceva tanta beneficenza?

«Be’, ha pagato cure mediche per amici e colleghi in disgrazia e ha aiutato molti bimbi poveri dato che frequentava gli orfanotrofi. Mio nonno Primo Righetti gli regalò lo smoking che Albertone indossò nei suoi primi spettacoli teatrali, facendogli trovare in tasca quel po’ di denaro che poteva dargli. Lui gliene fu sempre grato, tanto che quando mio nonno fu colpito da paralisi, fu lui a farlo curare da un luminare in una clinica di lusso».

Qualcuno lo definisce “solo” un attore italiano.

«Maurizio Costanzo mi ha rivelato che una volta sentì dire da Dustin Hoffman che tutto quello che aveva imparato dell’arte comica lo doveva a Sordi! E scusate se è poco!».

 

Loretta Marsilli per Stop

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