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RAFFAELLA FANELLI: “IL MIO FACCIA A FACCIA CON COSA NOSTRA”

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Raffaella Fanelli racconta il suo libro “Intervista a Cosa Nostra” 

Intervista a cosa nostra

 

Si chiama Raffaella Fanelli, ha 45 anni ed è una giornalista di Milano. Premiata con la Penna d’Oro nel 1997 per la cronaca, ha lavorato con i più noti settimanali italiani e con le trasmissioni italiane dedicate al crimine. Il suo ultimo libro sul processo a Raniero Busco, l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni era “Al di là di ogni ragionevole dubbio. Il delitto di Via Poma”: uscì nel 2011 e mise in luce tutti i dubbi sulla colpevolezza dell’imputato che, infatti, fu assolto in appello. Oggi esce con un volume che sta facendo già discutere molto: “Intervista a Cosa Nostra” (edizioni Anordest), con una formula inedita: grazie ad un codice sulla quarta di copertina, se muniti di smartphone, si possono scaricare e vedere tutte le videointerviste ai protagonisti. Killer, pentiti, boss, vittime di mafia. Mai così tanti, tutti intervistati dalla stessa persona. blank

Quando hai iniziato ad occuparti di mafia?

«Ho sempre solo letto ma mai scritto di mafia.  Fino a un viaggio a Palermo, nel febbraio del 2011  per un’intervista ad Angelo Provenzano, il figlio  maggiore del boss di Corleone, Bernardo Provenzano. Una risposta su un “niente è cambiato dopo l’arresto di mio padre….”  Un riferimento alla strage di Portella della Ginestra e a un copione che può ripetersi… mi ha spinta a cercare risposte. Risposte che conosce solo chi è stato travolto e stravolto dalla mafia. Ho incontrato collaboratori di giustizia, pentiti, mafiosi tornati liberi,  familiari delle vittime,  sono 23  le interviste raccolte nel libro».

Hai mai avuto paura nell’intervistare qualcuno di loro?

«In 25 anni di cronaca ho incontrato assassini, serial killer, ho intervistato stragisti ma una sola persona mi ha fatto paura. Un presunto pentito che ho incontrato per questo libro, per Intervista a Cosa Nostra. L’ho aspettato per ore fuori dal carcere di Rebibbia, con il mio amico fotografo Mauro Consilvio nascosto dietro a un cassonetto di rifiuti… sì una scena simpatica, quasi comica…. Diventata drammatica nel giro di pochi minuti… davanti alle irripetibili frasi, alla volgarità,  allo sguardo e alle parole di un uomo che la mafia l’ha vissuta prima nel ruolo di killer di cosa Nostra, e poi di  capo sanguinario. Di chi  ha parlato solo per proteggersi. E per  salvarsi da una montagna di ergastoli. Una conveniente collaborazione e uno stipendio che lo Stato ha esteso anche ai suoi parenti. E ai suoi fratelli. Mafiosi pure loro.  Un assassino che ha ucciso per il gusto di uccidere. Solo quella volta ho avuto paura.  Ma più che paura mi ha fatto schifo. Ribrezzo … non ho riportato le sue risposte. E non l’ho fatto per scelta: per altri sarebbe stato uno scoop, ma riportare la difesa, le giustificazioni o risposte che ritengo menzogne di chi, a mio avviso, dovrebbe marcire in una cella fino all’ultimo dei suoi giorni, sarebbe stata, sicuramente un’esclusiva per la giornalista, ma un’offesa alla mia moralità e alle persone perbene come Angela Manca e Salvatore Borsellino, persone  che ho incontrato per un’intervista e che sono rimaste nella mia vita. Ci sono pentiti,   o presunti tali, che non dovrebbero avere alcun diritto di parlare.  Né di usufruire di una legge che li tutela, o di permessi, men che meno di stipendi da collaboratore»

L’intervista di Raffaella Fanelli a Bruno Contrada sulla trattativa Stato-Mafia – VIDEO

Chi invece ti ha incuriosito?

«Angelo Provenzano. Ho avuto la sensazione, ma solo quella,  che abbia tanto da dire.  Che conosca persone e nomi. Ma è stata solo un’impressione. Nessun precedente, nessuna condanna… e 16 anni di vita vissuta da latitante, con il padre, il boss Bernardo Provenzano. Un padre che ha voluto e preteso che i due figli studiassero, che ha insegnato a leggere e a scrivere ad entrambi, che ha obbligato i suoi eredi a leggere una pagina dello Zanichelli al giorno, ossessionato da una voglia di cultura a tutti i costi, che con loro giocava a dama».

Hai intervistato anche il figlio di Totò Riina, Salvo. Che differenze trovi?

«Entrambi assomigliano ai loro padri.  Per il resto Angelo Provenzano è timido, riservato, arrossisce. Al contrario Salvo Riina è sicuro di sé spiritoso, quasi sfrontato. Sono diversi. In tutto. Angelo provenzano non ha condanne. Alla domanda perché non ha chiesto a suo padre di collaborare, di pentirsi, Angelo Provenzano, così come Riina, ha risposto trincerandosi dietro al ruolo di figlio,  figli che amano i loro padri, che non possono e non vogliono rinnegare chi li ha messi al mondo. Salvo Riina si dice orgoglioso del proprio cognome. Angelo Provenzano ha parlato di un cognome che pesa nella sua vita».

Dopo tutte queste interviste che idea ti sei fatta delle stragi del ’92-’93?

«Che ci fu un mandante. Ci sono state menti raffinatissime che hanno usato la mafia per manovrare gli equilibri politici del nostro Paese. Certa pure la trattativa. Si tratta di capire se avviata prima o dopo l’omicidio di Salvo Lima.  Si tratta di capirne i contenuti. E di capire se è stata fatta per fermare le stragi. O per farle».

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