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“Riaprite le indagini su Unabomber. Saprei riconoscerlo!”

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Parla la testimone gravemente ferita, ma sopravvissuta agli attentati di Unabomber, lo psicopatico che terrorizzò il Nordest tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila.

Gli attribuirono oltre 30 bombe. Non rivendicò mai le sue azioni. Non lo hanno mai preso. E stavano per processare l’uomo sbagliato

Un documentario televisivo ha riacceso i riflettori sul caso. Tutta la vicenda nell’approfondimento di Cronaca Vera

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MONZA – Lei Unabomber se lo ricorda bene. Francesca Girardi aveva solo 9 anni quando raccolse da terra un evidenziatore giallo sul greto del Piave a Fagarè di San Biagio di Callalta, Treviso, e se lo vide esplodere in faccia. Perse la funzionalità dell’occhio destro e la mano destra. Era il 25 aprile 2003. Ma il tempo non è mai passato:

«Un uomo ci guardava da lontano. Sono certa che l’abbiano notato anche altre persone, vanno riaperte le indagini. Ce l’ho impresso nella memoria da vent’anni: era brizzolato, con i capelli corti, gli occhiali e una camicia colorata, floreale, tipo quelle hawaiane. Mia madre si era accorta che un estraneo girava da quelle parti. Mi ricordo quel giorno come fosse ieri, non potrò mai scordarlo. Lui era lì, ci guardava giocare e ha scelto proprio noi due. Ha lasciato l’evidenziatore dove sapeva che l’avremmo trovato, ma solo dopo averci visti tornare dalla pausa per la merenda. Prima quel pennarello non c’era e lo ha detto pure una signora che era lì. Quando Marco e io abbiamo ripreso a giocare lo abbiamo notato subito e siamo corsi per afferrarlo. Volevamo usarlo per scrivere sul pilone. Ho vinto io, è l’unica gara in cui abbia trionfato in vita mia».

Così racconta al Corriere della Sera dopo aver lanciato un appello nel documentario Unabomber, trasmesso da Raidue. Ma chi era il pazzo che piazzava esplosivi in Friuli e in Veneto?

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LA STORIA DI UNABOMBER

Il nome glielo affibbiarono per analogia con Theodore Kaczynski, l’ex accademico statunitense che per quasi 18 anni inviò pacchi esplosivi alle persone, uccidendone tre. Iniziò a colpire il giorno dell’Immacolata dell’8 dicembre 1993, facendo esplodere una cabina telefonica. Proseguì con tubi metallici esplosivi abbandonati per le città o sulle spiagge, fermandosi nel 1996, senza mai rivendicare nulla.

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Ma nel 2000, quando riprese, fu un’escalation di terrore: prese a nascondere gli ordigni dentro oggetti che potevano più facilmente prendere i bambini, come una bomboletta per le stelle filanti o nelle bolle di sapone. O nei supermercati, celandoli in confezioni di uova, dentro tubetti di pomodoro o maionese o nelle scatolette di sgombri e perfino nei vasetti della Nutella e negli ovetti kinder. E ancora nelle chiese, sopra ad un confessionale o nel cuscino di un inginocchiatoio.

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Il terrore ovviamente dilagò: nessuno si sentiva al sicuro. Il 6 maggio 2006 lasciò l’ultima bomba in una bottiglia sul litorale sulla foce del fiume Livenza, a Porto Santa Margherita, Caorle, ferendo due fidanzati. Gli attribuirono tra i 31 e i 33 attentati.

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L’ERRORE

Fu ingiustamente incolpato per le sue azioni l’ingegner Elvo Zornitta. Ma si scoprì che il lamierino di un ordigno che lo incolpava usato per incastrarlo era stato artefatto da un poliziotto. Di Unabomber non si seppe più nulla. Francesca oggi si occupa di marketing per una multinazionale, ma è convinta che lo si possa ancora individuare: «Magari qualcuno all’epoca ha scattato una foto ai figli mentre giocavano, ha girato video da cui possono emergere particolari utili a fornire nuovi elementi di indagine. Oppure ha semplicemente ricordato dettagli importanti. Era una giornata di festa e tantissime persone stavano facendo un pic-nic lungo il fiume come noi: le esorto a riguardare scatti o riprese realizzati al tempo e a farsi avanti qualora trovino o rammentino dettagli significativi. Sarebbe fondamentale per le vittime arrivare al dunque e chiudere una ferita ancora aperta».

Ne aveva parlato da subito, del suo identikit.

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L’ESPERTO

Nel documentario parla anche il massimo esplosivista italiano, Danilo Coppe, consulente nei tribunali per i casi più delicati (come la strage di piazza della Loggia a Brescia) e autore anche più libri su Unabomber, del quale fornì un possibile profilo (indicando l’area in cui verosimilmente abitava).

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E di cui, già quindici anni fa, diceva a Cronaca Vera«Ho sempre pensato a lui come se dovessi pensare a me da ragazzo, quando facevo saltare le lavatrici in campagna. Anche lui deve aver testato i primi ordigni e, come me, non lontano da casa. Penso alle bombe rudimentali inesplose trovate nei filari e nelle vigne vicino a Sacile, dove forse ha lasciato tracce. O alle cabine telefoniche saltate per aria anni fa, che tutti presero per delle ragazzate. Non è infallibile, purtroppo quando sbagliava, ad esempio usando guanti inadatti, fu scritto. E li cambiò. Tecnicamente non può migliorarsi. Credo che per passare dai tubi bomba alle bombe a trazione degli ordigni (quelli degli ovetti), abbia letto il manuale di addestramento delle forze speciali. Non è abilissimo, visto che troppe bombe sono rimaste inesplose. Più facile che sia un chimico, con un’infarinatura di base sugli esplosivi».

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