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DUE GIORNI A NATALE, un thriller natalizio (seconda e ultima parte)

Un racconto inedito di trent'anni fa, ambientato il 23 e 24 dicembre

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La seconda e conclusiva parte del racconto “Due giorni a Natale”, di Rino Casazza.
Qui la prima parte.

VIGILIA

 

AGRATE BRIANZA, CASA DUSI, 24 DICEMBRE 1991, ORE 7.00

Isabella si alzò di buon’ ora, giustificando la levataccia con un appuntamento dal parrucchiere:  “Come si dice: chi bella vuole apparire deve anche un po’ soffrire” aveva motteggiato.
Raffaele non aveva avuto niente da obiettare. Era già in piedi, vestito di tutto punto, valigetta in mano, pronto ad uscire per  alcune visite indifferibili. “Eh, lo so: è la vigilia, ma  che vuoi farci? “aveva sospirato”  Prima mi tolgo  il dente meglio è…”
Sembrava aver sepolto sotto una notte di sonno il turbamento per la visita del vecchio compagno di studi. Beato lui. Lei, afflitta da un cruccio più assillante, non era riuscita a chiudere occhio.
Dopo essersi preparata, aveva fatto visita ai bimbi,  già  svegli per  l’eccitazione, comunicandogli la notizia del tradimento:  “Mamma e papà  devono  uscire, state  bravi con la Anna, eh?. Finitelo da soli l’ Albero e il Presepe”
Anna l’ultima, giovanissima baby-sitter, prestava  servizio ogni  mattina dalle otto a mezzogiorno. Sarebbe arrivata  fra  un  quarto  d’ora. Prevedendo che le ricerche avrebbero richiesto  tutto il  giorno, Isabella si preparava a farla  trattenere anche il pomeriggio.
Massimiliano  e  Alfredo  erano così delusi che nemmeno l’ idea di trascorrere una mattina in compagnia della  sola  baby-sitter,  ben  più  arrendevole  di lei, sembrava riuscire a risollevarli.
Beh, non sapeva cosa farci.
Dopotutto non era la fine del mondo, se  non trascorreva quel giorno con loro , no?

AGRATE BRIANZA, GARAGE DI CASA DUSI, 24 DICEMBRE 1991, ORE 7.15

“Da dove comincio?” pensava il dottor Dusi,  nel girare  la chiavetta.
Fino ad un attimo prima, soddisfatto per esser riuscito a ingannare Isabella col pretesto delle visite, si sentiva molto determinato. Adesso, la decisione presa non gli appariva più così sensata.
L’enigmatica Dolores assomigliava a un personaggio  immaginario ben riuscito , a cui si pensa come  ad una persona  reale, ma  che , riflettendoci meglio, mostra  tutta la sua evanescenza .
Se non portasse scolpito nella  memoria  il  ricordo dei loro travolgenti amplessi, avrebbe  dubitato d’averla conosciuta.
Ed infatti cosa aveva  rappresentato per lui Dolores, se non  la proiezione fantastica  di   una   sessualità  trionfalmente appagante?
“Beh” si  disse, spinto  a conoscere il  lato  concreto di  quella proiezione fantastica “Per  prima  cosa all’edicola, per controllare se i giornali riportano  già  la notizia. Poi, una  capatina  all’Autogrill”.
Gli sovvenne il proverbio che gli assassini tornano sul luogo del delitto, ma non ci badò più di tanto.

CAPRIATE,  24 DICEMBRE 1991, ORE  9.00

Dirigendosi sulla sua  Ypsilon 10  verso   l’albergo   Fiori, Isabella pensava:” A  quest’ora dovrei trovare aperta la reception. Speriamo  sia di turno il portiere moro dall’aria complice, mi sembra  il tipo  che si  sbottona facilmente.”
La via  più rapida per  risalire all’ identità  di Arsenio sembrava interpellare le persone che facevano da  tramite fra  lei  e l’amante.
Malgrado le precauzioni per rimanere nell’anonimato, qualche notizia sul  conto di Arsenio certamente circolava fra il personale  dell’albergo  .
Anzi: per la potenza  del   pettegolezzo,  era  probabile che al  Fiori su Arsenio sapessero tutto.  Come su di lei, del resto …
“Chissà la sua faccia  quando lo scoverò!  Non credo si arrabbierà troppo.  In fondo  lo solletica la gioiosa follia
del nostro rapporto, non la mancata reciproca conoscenza… sì,  ne sono  sicura: gli piaccio  perché sto al  gioco,  partecipando  alle  sregolatezze di  cui è   fatta la   nostra  relazione.  Sono la  miglior  complice che potesse trovare.  Complice insospettabile, non essendo certo il tipo di donna  facile a  farsi travolgere dal vortice della lussuria. Che importanza ha sapere o non sapere chi siamo nella vita di tutti  i giorni?”
Se  lo  diceva a  scopo  di rassicurazione. Fra le sue  molte ansie,  c’era  anche  la  paura  di  rompere  il giocattolo infrangendo il segreto.
E se  Arsenio avesse  avuto   qualche serio  motivo  per nascondere la propria identità?
Per fortuna era  ormai entrata  nel quartiere periferico dove  si trovava il  Fiori, e  dovendo  preparare   un   piano  d’azione  fu  costretta  a  scacciare  quei dilemmi  inconcludenti.
“Approccio diretto o  mascherato? Sembrerebbe preferibile il primo.  Se  dico  che sto cercando  di  identificare il mio amante,  l’interlocutore  –   speriamo   sia proprio  il moro !- dovrebbe escludere    secondi  fini,   e riferirmi  senza  problemi  ciò che  sa.   Eh  già  ”   si contraddisse prontamente” chissà  quante   vengono con  lo  stesso scopo, così quello, sentendo puzza di   gelosia , si chiude nel riserbo! No, meglio dissimulare i miei intenti. Ma come?”
In effetti  non riusciva  a  trovare un  modo credibile per  porre  domande  su  Arsenio. .All’albergo la conoscevano come     amante dell’uomo, e qualsiasi ammissione di  ignoranza sull’identità di lui avrebbe destato sospetto. Verosimilmente Arsenio era   uso ricorrere a   quell’ espediente  con molte altre sue  occasionali prede –  il timore  di  essere   stata  sedotta  e  abbandonata riemergeva  puntuale -,  e i  receptionist erano stati istruiti, magari  dietro  compenso,  a  tenere   la bocca chiusa…
Il Fiori era ormai  a portata di  sguardo, e non  aveva ancora preso una decisione.
L’idea le venne mentre  parcheggiava in  una  via  laterale,  così nervosamente da dare una botta  al   paraurti  di  un’auto vicina.

 

AUTOGRILL “BRIANZA”, AUTOSTRADA TRA BERGAMO E AGRATE BRIANZA, 24 DICEMBRE 1991, ORE 8.15

A Dusi  l’Autogrill,  nella   luce   slavata  del  mattino nuvoloso,  pareva  ancora  più trasandato della sera prima. L’abete addobbato ad Albero di Natale, con le luci spente e  i fili elettrici  penduli dai rami, sembrava un traliccio di teleferica in abbandono.
Sul piazzale c’era però un’animazione che  anche chi fosse all’oscuro dell’accaduto avrebbe  trovato inusuale:  crocchi  di curiosi osservavano un gruppo di  poliziotti  che  stava  trafficando dentro l’abitacolo della Golf.
Fu  tentato  di    avvicinarsi  per  attaccar discorso: ne  avrebbe ricavato certo  di più che dalla  lettura  dei quotidiani. I quattro  o  cinque che aveva scorsi dedicavano all’omicidio poche righe.
Si trattenne in tempo. “Sei matto? Vuoi dare nell’    occhio ?”
Si  avvicinò alla  vetrata  del bar,   sbirciando     dentro per aver conferma  che la  ragazza della  sera prima non  era più in servizio, ed entrò.
Quattro avventori stavano conversando col barista, un uomo calvo e pingue di mezza età.
“…no, dei documenti li aveva”  diceva questi  “ma pare fossero falsi.”
“Che storia   !”   commentò un giovanotto sui venticinque anni  con  gli occhi   che  brillavano di  curiosità  . “Una donna bellissima e   di classe che va  in giro con documenti falsi!”
“Scusate, posso sapere di  cosa  state  parlando?”   s’intromise  Dusi, con finto candore.
La  descrizione  del giovane, che sicuramente non aveva visto Dolores coi  propri occhi, riecheggiava le già dilaganti voci.
Dusi non sapeva se sospirare per  il lusinghiero  “bellissima”  o trarre motivo  di inquietudine per l’imprevisto ( ma in  fondo non troppo…) “di classe”.
Inquietante  senza   mezzi   termini   era  il particolare  dei documenti  falsi: gli  aveva riportato alla memoria la carta di identità di Dolores.
Una  volta,  di  nascosto,  aveva preso  il documento dalla borsetta  di lei,  leggendo   sotto  la  foto tessera  il nome Dolores Faccini .
“Non sa ancora  niente?”   disse l’unica donna del gruppetto, una  signora  impellicciata e   piacente,  dalla    vaporosa  chioma fulva “Vede  quell’auto   lì  in fondo  al parcheggio?  Ci hanno trovato il  cadavere di una donna! Strangolata.”
“Mamma mia!” esclamò  Dusi.

CAPRIATE, ALBERGO FIORI, 24 DICEMBRE 1991 ORE 9.20

Alla reception non c’era il giovanotto moro, ma un vecchio dai capelli bianchi  e il viso  rugoso, di cui Isabella conosceva i modi cordiali ma riservati.
“Ti pareva!”  si disse  scorgendolo dalla soglia della  modesta sala d’ingresso. Ma si  avviò  senza  esitare  verso il bancone,  rispose disinvolta al  sorriso dell’attempato receptionist, si  sfilò  i guanti con gesto civettuolo, e chiese: “Allora, sono la prima?”
Intenta a recitar la   parte, non   si accorgeva di  presentarsi sotto  un’angolatura   inconsueta. Nelle precedenti  visite  al Fiori si era comportata in modo  spaesato e  maldestramente furtivo.
Il   receptionist guardò   con   sorpresa   quella spigliata, quasi sfacciata Isabella, poi rispose: “Prego?”
“Volevo dire: lui è già arrivato?”
L’uomo corrugò la fronte. “Chi?”
“Senta, ma  che   le prende?  Sa   benissimo di  chi  sto parlando. Mi ha dato appuntamento tramite voi alle 9.15.”
“Veramente…io non  saprei…Con chi   ha   parlato, scusi?”
“E che ne so? Non mi ricordo.  Chi   era di turno,  ieri alle 17?”
“Aspetti che guardo”
Aprì il  librone  che  gli  stava  davanti,  lo  scorse brevemente. “Il  mio collega Gianfelici”
“Ecco, è stato lui ad avvisarmi”
“Ah, bene.  Allora il  signore sarà  qui   a momenti,  deve avere solo un  po’ di pazienza” concluse con un sorriso di circostanza.
“Maledizione”  pensava   Isabella  ”   Il  signore,   ha  detto.  Non  poteva   aggiungere    almeno   il  nome? ”
“Come si tratta di avere un po’ di pazienza?” replicò stizzita “Ha visto che ore sono?”
Il vecchio  levò   gli  occhi   al grande  orologio  sulla   parete di  fronte.  Le 9  e 29 . Lo comunicò all’interlocutrice con  aria  serafica appena venata d’imbarazzo.
“Appunto” rimarcò  polemica   “Lui  è  in  ritardo di quindici  minuti. Non  è   mai accaduto.  Di solito sono io che mi faccio attendere.”
Particolare falso:   quando doveva incontrare Arsenio era  così  elettrizzata che si presentava  con  largo anticipo.  Ma  il  receptionist  non   se  ne   sarebbe ricordato. Almeno, non gliene avrebbe dato il tempo.
“Mi sa dire  cosa  significa questo?  Me lo  sa dire, eh? ”
“Veramente…”
“Glielo  dico    io.   Significa che   in questo  albergo siete dei maledetti confusionari! Il suo collega si è sbagliato, ed  eccomi qui per niente!  Adesso  come faccio  a  sapere  giorno  ed  ora dell’incontro?  Magari lui è  venuto questa mattina presto, o ieri dopo le 17, senza trovarmi!”
“No, no,  stamani  le assicuro  che il signore non è venuto” gettò  acqua sul fuoco  il    receptionist ”  Per  quanto  riguarda  ieri,  non  c’è  problema:  adesso   telefono al  collega .  Vedrà  che  il signore non si è presentato , e riusciremo  anche a  sapere quando  è fissato l’appuntamento”
Mentre così la  blandiva, sempre   sforzandosi di sorridere  rassicurante prese in mano la cornetta   e  iniziò  a comporre  il  numero, .
Ad Isabella parlare col  receptionist della sera  prima parve un indubbio  passo avanti, purché  fosse più  informato e/o  meno riservato.
Il telefono  suonò   a  vuoto   per alcuni  lunghissimi secondi, in cui la faccia del  receptionist sembrava quella dei conduttori dei telegiornali quando un  servizio filmato tarda ad andare  in onda.
Poi,  si udì una  voce rispondere.
Il viso dell’uomo si rasserenò.
” Franco? Ciao, Scusa  se  ti disturbo,  ma ho bisogno   di un’informazione. Ho  qui  davanti la  signora…ehm..la signora?…- Rivolse all’interlocutrice   uno sguardo interrogativo.
Un’impeto di rabbia travolse Isabella. Ma  come, adesso in   un  beffardo rovesciamento dei ruoli, toccava  a  lei soddisfare la sua curiosità?  Fulminea  gli strappò  la  cornetta  di  mano. “Ma che signora e signora! Qui  bisogna rimediare, altro che storie! Mi ascolti bene, signor  Franco. Ieri pomeriggio lei mi  ha detto che l’appuntamento con lui era alle 9.15 di  questa mattina, ma evidentemente ha  capito fischi per  fiaschi.   Che cosa le ha detto precisamente il mio uomo?”
Passare dal pronome  a quell’abusato appellativo si rivelò infelice,  perché la voce dall’altro capo del filo – del moro, non c’erano dubbi – lo adottò prontamente,  seguitando in  quella che oramai appariva una congiura  della reticenza.
“Il suo  uomo?   E’  la   signora bionda  che  affitta sempre la 17? Guardi che il  suo uomo ieri non si è  fatto vivo.  Anzi, è da  un po’  di tempo che non viene… Ed io  a  lei ieri non ho  proprio telefonato. Che caso strano. Non le avranno  fatto  uno scherzo?”
Isabella, pur demoralizzata,  riuscì a dire, con  indignazione  ancora  credibile:  “Ma  quale  scherzo!  Ho  parlato con  lei,  riconosco  benissimo la voce! Sta confondendosi oppure  cerca di nascondere l’errore!”
Il receptionist  canuto   era  in preda  al panico. Forse c’era ancora qualche speranza di costringerli ad aprirsi…
Fu  Gianfelici, con    un’osservazione rispettosa ma pungente, a smontarla del tutto.
“E’   sicura,  signora, di  non   sbagliarsi ?  Mi sembra molto agitata…”
“Sì  sono  agitata,  agitatissima”  proruppe  Isabella tutto d’un fiato, dando sfogo,  con immenso sollievo, alla sua angoscia  “Non ho  sue notizie  da  quindici  giorni  sono terribilmente in pensiero aiutatemi vi prego!”
Travolto da  questo   torrente  di   parole,  il  vecchio  atteggiò  il volto  ad uno  stupore  quasi ebete.
Al telefono Franco Gianfelici taceva, enigmatico.
“Devo rintracciarlo capite?   Sono  pronta a  ricompensarvi, ecco  qui!”  Trafficò  nella  borsetta  di    coccodrillo alla  ricerca  del  borsellino,  lo aprì, posò un paio di banconote di grosso taglio sul tavolo  “Sono disponibile a offrire anche di più  ma ditemi come  si   chiama,  datemi il  suo  indirizzo  vi prego!”
“Signora, mi  crede  se le  dico  che   del  signore all’albergo non sappiamo   nulla?”  rivelò Gianfelici, in tono  di sincero rammarico.
Le pareti  della  sala crollarono  addosso  a Isabella

AUTOGRILL “BRIANZA”, AUTOSTRADA TRA BERGAMO E AGRATE BRIANZA, 24 DICEMBRE 1991, ORE 8.45

“Stavamo appunto dicendo che non si  sa” fece un altro avventore, un omaccione in gualciti  abiti da lavoro,  verosimilmente un  camionista”  Nella borsetta hanno trovato  dei  documenti,  ma ad un controllo sono risultati falsi.”
“Allora  la  polizia che  si  vede   intorno all’auto sta cercando altre tracce? ” commentò Dusi, spingendosi pericolosamente più in  là di  quanto  consentito ad  un automobilista di passaggio.
“Può   darsi”   disse   la signora impellicciata “Valla a capire la  polizia. Spesso semplicemente  non sa  che  pesci prendere!”
Vi furono qualunquistici cenni di  assenso e  Dusi,  temendo che  la   conversazione scivolasse in un’  invettiva  contro  il governo ladro,  si affrettò a  chiedere: “Chi  ha trovato il cadavere?”
“E’ arrivata  una segnalazione   anonima,  a quanto  pare.” disse il quarto avventore, un elegante  e distinto vecchietto sui settanta
“Hanno rintracciato  l’informatore?”  chiese  ancora  il dottor Dusi.
“Sta scherzando?” intervenne la signora fulva “Quando  mai  la  polizia  riesce  a scoprire  gli autori delle  telefonate anonime?”
“Allora stanno  brancolando nel buio…” commentò deluso il  dottor Dusi, questa  volta  rischiando  davvero  di  tradire  un’ equivoco interesse per la vicenda.
Per  fortuna la  scatenatissima signora  dai capelli rossi ne trasse spunto per continuare la giaculatoria antistatalista. “Già, dice proprio bene! Nel nostro beneamato paese la polizia, i carabinieri, insomma  chi  dovrebbe  proteggerci, non  scopre  mai   un  bel niente,  così criminalità impazza!”
L’omicidio  di   una   donna nel parcheggio di un Autogrill non era lo  spunto giusto, a poche  ore dal fatto, per  inveire contro lo  sfascio dell’ordine pubblico;  ciò non  ostante rinfocolò lo sfogo protestatario  dei presenti. A loro il dramma  di Dolores non importava nulla.  Quel cadavere, nella sua concretezza terribile,  era tutto di Dusi.
Il quale,  mentre  gli  altri  comiziavano  a ruota  libera,  dandosi  enfaticamente  ragione    l’un l’altro, rimase  un attimo  a riflettere.
Dolores si confermava quell’enigma che lui aveva  sempre intuito, ma  che, per  ipocrisia, egoismo o forse  per inconscio  timore di  sgradite sorprese, aveva sempre fatto finta di non vedere.
E adesso  tutto  diventava    più  difficile, forse  davvero neanche la polizia  sarebbe riuscita  a risolvere il mistero della  sua falsa identità, e a lui sarebbe rimasto il pugno di mosche di tre mesi trascorsi accanto ad una pur stupenda sconosciuta.
Pensandoci meglio, era  improbabile che gli inquirenti non scoprissero  nulla, ma l’idea di apprendere la verità dai giornali  non  gli dava alcun conforto: la conoscenza  della vera  Dolores era una un problem squisitamente personale, per lui.
Uscì dal bar quasi  di soppiatto, avviandosi verso un crocchio  che  osserva curioso i  movimenti della polizia.
“E’ successo qualcosa?” chiese.
“Un  omicidio. ”  rispose un  corpulento signore  tutto   intabarrato   e,   nonostante    ciò, intirizzito  “Hanno scoperto  in quell’auto una  donna strangolata.”
“Mamma mia! E chi era?”
L’amichetta dell’uomo  – solo per interesse una  bella figliuola come lei avrebbe potuto stringerglisi addosso in modo così affettuoso –  esclamò :  “Che  storia eccitante!  Pensi che i documenti della vittima erano falsi! Un  vero e    proprio giallo!”
Il   dottor  Dusi  faticò a trattenere  uno sguardo inceneritore. Prima  quella scomposta agitatrice di popolo,  adesso  questa meretrice in erba col gusto  del  poliziesco…L’imbecillità umana non aveva confini!
Con  finto  stupore, esclamò : “Davvero? E  l’automobile? Si sa a chi appartiene?”
Si pentì subito di  quella  domanda troppo impicciona, ma per fortuna stimolò l’indole loquace della ragazza.
“Pare che  il  libretto di  circolazione sia intestato a un uomo. Stanno  facendo  indagini   per scoprire  i suoi rapporti  con la vittima.”
“Finalmente  una buona  pista!” esclamò tra sè e  sè il dottore; ma subito ripiombò nel pessimismo: quella pista era in mano alla  polizia, a lui toccava stare a guardare.
“Qualche  indiscrezione sul  proprietario dell’auto?”  provò  a   chiedere.
La  giovane  donna  di  facili   costumi  non chiedeva di meglio che riversargli  addosso la ridda di ipotesi già partorite dalla fantasia popolare.
“Secondo alcuni l’auto  sarebbe rubata, e  la  donna  una delinquente,  una   terrorista anzi,  di cui i  complici  si  sono sbarazzati perché sapeva troppo.  Altri dicono che l’auto appartiene ad  un  cittadino  dell’Est,  dipendente  di un’Ambasciata o di  un Consolato,  e quindi  sotto  c’è una vicenda di spionaggioI  Si dice anche che  il proprietario sia  l’amante, un  uomo  molto  in  vista, addirittura un  pezzo  grosso del  governo,  e  che  la polizia  stia  cercando in tutti i modi di  coprirlo…. Personalmente  spero che anche il nome del proprietario dell’auto sia falso: così il mistero s’infittisce e diventa più interessante, non trova?”
“Clara, ti prego!” la  rimproverò, ma  con un sorriso  di benevolenza,  il panciuto compagno   “Stai facendo venire  il mal   di testa al  signore!”
Dusi  pensava:  “Versioni  troppo ricamate,  pettegola di una troietta.  Ma con un  fondo di  verità,  perché  basate  sul “cherchez l’ homme” , cioé io…”
Sorrise ad  entrambi,   dichiarando  che,   al contrario ,  la ragazza era stata gentile a infromarlo  di  tutti  quei particolari.
Salutò e se  ne andò odiando  le  chiacchere vane  dell’una e i modi sussiegosi dell’altro.

BERGAMO CENTRO, 24 DICEMBRE 1991, ORE 18.00

Seduta a  un  tavolino di  quel  bar  fumoso,  Isabella sorseggiava senza voglia una cioccolata calda con panna.  Era parecchio giù di corda, seppure ancora animata da un filo di speranza.
Aveva percorso  il  tratto  autostradale tra Capriate e Bergamo in preda al pessimismo.
Le probabilità di rintracciare Arsenio si stavano rivelando quasi nulle, ed erano tornati a farsi insistenti i foschi  pensieri sulla sorte dell’ uomo, che riteneva oramai  sicuramente vittima di una disgrazia.
I due receptionist del Fiori avevano dimostrato molta comprensione,  in particolar  modo Gianfelici.
L’avevano pure in un certo senso tranquillizzata, rivelandole che  Arsenio aveva alloggiato  al Fiori solo con lei,  per quanto il pensiero le  fosse subito corso alle decine di altri alberghi a ore disponibili nei dintorni.
Per rincuorarla Gianfelici ,  malgrado  ciò  comportasse  rivelare  un   episodio privato, le aveva fornito l’unico labile appiglio per continuare le ricerche.
“Be’ signora, non  è vero del tutto  del  suo uomo  non sappiano niente. Da buon gentiluomo  dovrei tacere, ma lei è così sconsolata  che voglio  aiutarla. Ebbene: ho  conosciuto la sua segretaria.   Come ? Una  volta è stata lei a telefonare per fissare  un  appuntamento. Bellissima voce, molto  sensuale.  Sa  com’ è,  non  ho  saputo dal farle la corte . Ho preteso,  scherzando,  uno  scambio  di appuntamenti:  se lei  voleva che  annotassi quello del suo  principale, doveva darne uno  a me. Dapprima si arrabbiata, poi le mie insistenze, anche, ammetto,  un  po’  “audaci”, l’hanno fatta  sciogliere. Con senso dell’umorismo ( dunque  avevo avuto  buon naso su di lei!)  ha detto: va  bene, a patto che come il mio principale e  la  sua amante noi ci scambiamo un nome finto: io mi chiamo Primula Rossa e tu?   Scoppiando a ridere  ho  risposto:  Tulipano Nero. Ci siamo   dati appuntamento in  un bar  del   centro di Bergamo  dove,  a quanto ho capito, lei   lavora.  Abbiamo  passato   una   notte   meravigliosa. Non ci  siamo  più rivisti, né lei mi  ha più telefonato.  Il bar  è  il Jolly  Caffè di  via  De Amicis.”
Per aiutarla,  le aveva   descritto le  fattezze e  il modo di vestire di  questa segretaria    disinvolta  e  licenziosa.
“Seee. Tanto è impresa da  poco individuare nella folla natalizia una  donna che ci è  stata solo descritta! “ pensava Isabella, osservando l’andirivieni della gente sul marciapiede.
Nelle  stipate vie  del  centro, piene di luminarie  e di  vetrine luccicanti, le targhette di  uffici commerciali o professionali erano centinaia. Arsenio avrebbe potuto lavorare con la sua segretaria in ciascuno di essi.
Avendo  a  disposizione  il    solo,  caotico pomeriggio 24 dicembre, equivaleva a cercare un ago nel pagliaio…
Per il bisogno di rassicurazioni immediate, l’idea   di poter dedicarsi ad una ricerca più sistematica dopo le feste natalizie non la confortava.
Si alzò dal tavolo, pagò e uscì.
Appena  fuori,  si    soffermò  a  guardare l’insegna di quel bar anonimo e trasandato, su cui stava scritto  JOLLY CAFFE’.  Pensando a Gianfelici e alla sua occasionale bella, pensò  con  cattiveria:  “Il  classico  locale  da incontri clandestini.”
Come  se il  Fiori  fosse  il Principe  di Piemonte, e   lei non  si fosse macchiata  di  identico peccato.
Prese a percorrere l’opulenta via  De  Amicis, soffermandosi davanti  alle  vetrine  come per guardare la  merce esposta, mentre in  realtà scrutava  le persone all’interno  con   la stessa intensità con cui, per fortuna senz’essere notata nella confusione,  osservava i passanti.
Un  paio   di  volte,  con   un   sobbalzo,  aveva creduto   di  riconoscere  in  una  donna  di   circa trent’anni, coi capelli rossi,  formosa –   i tratti più    appariscenti     della descrizione fornitale da Gianfelici  –   la   segretaria   di   Arsenio,   ma   saggiamente  si era trattenuta dal fermarla.
Una volta  il cuore  le  si  era  messo  a battere all’impazzata  perché  un signore  che  la  precedeva  di qualche passo  ricordava  in  modo   impressionante Arsenio.
Ben presto subentrò in lei una sconsolata rassegnazione,  e prese a muoversi in mezzo alla  calca con passi lenti e meccanici, e  lo sguardo fisso davanti  a sé.
“Giornata   persa. ” pensava  ”  Alla fine  mi  ritroverò   sconfitta  due volte.  Sul   fronte familiare, perché ho trascurato i  bambini  la Vigilia.”  Non stava facendo retorica, pur considerando più   una fatica  che un  missione il ruolo dei genitori  :  aver piantato  in asso  Massimiliano e  Alfredo le rimordeva davvero.  “Speriamo che Raffaele sia  tornato  presto, aiutandoli a finire   il Presepe  e l’Albero…   Sapendo quanto gli piacciano  le tradizioni   natalizie, ci si può contare. Meno male!  Sarebbe  davvero spiacevole che fossero malcontenti  quando  stasera  li  affideremo alla nonna per  andare  al  Cenone…”
Malgrado  il morale  a   pezzi, per salvare la facciata – o  comunque per  dimenticare… – si riprometteva  di  onorare nel migliore dei modi quell’impegno  mondano. Si  sarebbe infilata  nel primo salone di estetista per  uscirne con una messimpiega memorabile; poi, appena a casa, avrebbe indossato l’ abito da sera azzurro,  il più elegante che aveva, scegliendo con cura un trucco intonato.
“Sul fronte extraconiugale lo scacco è  assoluto:  non  sono  riuscita  a  scoprire  la    vera identità di Arsenio e, quel ch’ è peggio, ignoro se  mi ha lasciata o ci ha divisi il destino.”
Un vero groviglio di sventure: moglie infedele, madre degenere e amante abbandonata o  vedova…
Quasi per un    calcolato gioco   della  sorte, Arsenio sbucò dal  portone ad  arco che   precedeva l’entrata  del MANUELA  BEAUTY CENTER,  verso cui Isabella, scortane di lontano l’insegna lampeggiante piena di fronzoli natalizi, stava dirigendosi .

BERGAMO CENTRO, 24 DICEMBRE 1991 ORE 18.30

Dusi suonò il campanello della portineria,  e dopo qualche secondo dal  citofono   uscì una  voce  di donna fra  lo scocciato e l’indolente.  “Chi è?”
“Tutte uguali,  queste  portinaie”  pensò  il dottore, sfogando la sua rabbia su una vittima  fin troppo  facile”  Non hanno  niente  da  fare  dalla mattina  alla  sera,  e  quando le interpelli sembra che ti facciano un piacere a rispondere.”
“Buon  giorno.  Volevo un’informazione: abita   in questo  palazzo la  signora Dolores Faccini?”
“Mai sentita.”
” Provo   a descrivergliela: sui trentacinque, alta e slanciata, con i capelli neri a caschetto. Spesso mette una pelliccia di leopardo. Convive con una vecchia zia.”
“Ha sbagliato indirizzo. Buonasera.”
“Come volevasi dimostrare!” commentò tra sé e sé Dusi con amaro sarcasmo.  Pronunciata  una sgarbata frase  di commiato, riattraversò l’androne d’ingresso e fu di nuovo in strada.
Viale Meucci, ad ogni  portone del  quale si fermava per la vana domanda di rito, era  una  traversa di  via  De Amicis, ma  più tranquilla,   con  rari  negozi, un’illuminazione   sobria e   in pratica  senza passeggio Sull’uno e sull’altro  lato, lussuosi palazzi  moderni,  con portone  ad   apertura elettronica  e garage sotterraneo.  Un posto  dove abitavano  famiglie dell’alta  borghesia .   Se  non   fosse l’ultima spiaggia  (  aveva  esplorato  senza  esito tutte le altre vie del  centro con nomi di inventore  ) avrebbe subito rinunciato al tentativo:  Dolores e la vecchia zia  non  dovevano essere così ricche da  possedere  un appartamento in quei condomini eleganti.
Mancavano   da controllare cinque  palazzi e si profilava uno scacco che lo rendeva  di  un umore ancor  più   cupo  di   quello  che, la sera prima,  aveva  accompagnato il  suo  viaggio  in autostrada.
Una rabbia  sorda  ed  impotente, questa  volta però con un’origine precisa.
Pensava,  rimproverandosi impietoso: “E’ incredibile come  abbia potuto  bermi  ciò  che Dolores mi raccontava  di sé. Dovevo capirlo  che  era tutto  falso,  a  cominciare dall’improbabile nome spagnolo.”
In realtà  sapeva  fin  troppo  bene  di  non essersi comportato  da ingenuo;  piuttosto,   guardando  alla  sostanza, si era  disinteressato della sincerità di lei, bastandoli  ed  avanzandogli la sua ineguagliabile avvenenza. Perlomeno fino a ieri, oggi il suo stato d’animo era ribaltato:  Dolores avrebbe potuto  essere anche vecchia e brutta,  l’importante era conoscerla.
Intravedendo che non gli restava  altro, si  aggrappava a   congetture da detective  dilettante, portando alla polizia, incaricata delle vere indagini, un rancore preconcetto  paragonabile  a  quello  della signora  fulva dell’autogrill.
“Chissà  perché  faceva  sotto falso nome la prostituta di lusso…E’ poi così  sicuro che aveva altri clienti, che  per lei era un  mestiere? Io lo pensavo, ma se la realtà fosse diversa?”
L’idea che Dolores non si fosse legata a lui per puro interesse, magari ( non   si poteva   escludere a   priori )  perché  innamorata,  lo intrigava   alquanto, anche  se  gli  faceva  ritorcere l’ira contro di  sé, per  non essersi   accorto  di  un risvolto così lusinghiero e pericoloso a un tempo.
Ma poteva esserci qualche altro motivo.
“Si faceva  mantenere  con un  secondo fine? Ovvero: teneva per  sé quei   riprovevoli  guadagni?  E   se fossero funzionali a qualche torbido scopo recondito?”
Scacciò quei  pensieri in   un rigurgito  di dignità.
Non  doveva  affrontare il  problema con la  superficiale   dietrologia  della folla   incontrata     all’autogrill.
Doveva  scavare  più  a   fondo,  chiedendosi perché si    era  messo con  Dolores,  e che  cosa  aveva inconsciamente cercato, e forse trovato, in lei.
Guardare alla donna   dal proprio punto   di vista,  ecco cosa doveva fare.
L’angolazione  meramente investigativa  era   fuorviante. Anche perché  se   davvero avesse voluto   risolvere  un  caso  poliziesco,   non   avrebbe  di certo seguito  una  pista   aleatoria come l’indirizzo fornito da una donna che gli aveva sempre nascosto tutto.
La precarietà  della sua ricerca gli  balzò agli  occhi  in modo così inequivocabile  che tralasciò di provare a scovare negli   ultimi  palazzi   di via   Meucci    l’ipotetica  bellissima   mantenuta e  l’altrettanto ipotetica anziana zia.
Rallentò   il   passo,    dirigendosi    con espressione pensierosa verso lo  sfavillante imbocco  di Via De Amicis.
“Già…. ”  si diceva “il  problema sono io.  Ma sì: ci pensi la polizia  a    far  luce su Dolores.  La    tappa  all’autogrill, e   quella nel  centro di Bergamo,    sono state,  in realtà, un  itinerario personale. Avrei  potuto   compierlo sprofondato nella   poltrona del   salotto.  Eh, cara  Dolores,  dovevo rendermene conto  prima,  del  valore emblematico della tua morte!”
Era persino stupito di  quello spericolato volo interpretativo, di cui  non  gli sfuggiva  il  sapore  sacrilego:  il cadavere raccapricciante  di Dolores  un simbolo? E  di che, poi?”
L’ardita teoria era   lontanissima dalla sua  indole  concreta ( la medicina non era forse la più pragmatica delle scienze? ) di medico.  Tuttavia,  più  ci pensava  e più la trovava convincente.
“Non è forse significativo che  abbia trovato  morta Dolores  proprio la   sera  della  visita  di  Giustini? Due
eventi  fuori  dal normale uno dietro all’ altro.  Perché il loro effetto    si rafforzi ?”
Era come in preda  a un lucido  delirio, che conferiva  ai   suoi ragionamenti    un’allusività enigmatica. INvero non    sapeva nemmeno  lui  dove stava  andando  a  parare.  Era    solo  certo  della premessa, cioè che  le  sue azioni,  a  partire  dalla sera  prima,  non  si spiegavano alla  sola  luce di  un  impulso  postumo  a conoscere Dolores.
Perché   tutta   quella fretta?   Perché intraprendere una pretenziosa  indagine personale?  Perché   tornare sul luogo  del delitto?  A che scopo vagare  senza una meta precisa per il centro di Bergamo?
“Sono ventiquattr’ore  che giro   intorno al problema. Avevo,   e  volevo,   un’amante stupenda.   Lei   si  faceva  pagare,   profumatamente. Tutto   a    posto, no?   Lei muore, assassinata.  Inevitabile  che  ne sia  dispiaciuto, facciamo  anche sconvolto: una come lei non la si incontra dietro l’angolo. Mentiva sul suo nome? E  con ciò? Era importante, ai miei fini  edonistici? Affatto.”
Si bloccò   in mezzo alla   strada, come  raggiunto  da un’improvvisa scarica elettrica.
Un passante  che   camminava dietro di lui  quasi gli finì  addosso,  proseguendo  il cammino dopo  avergli lanciato lo sguardo seccato   e commiserante che  si riserva ai tipi sbadati e importuni.
Dusi,   abbagliato  dalla sua   folgorante   rivelazione,   neppure se ne accorse.

BERGAMO CENTRO, 24 DICEMBRE 1991, ORE 19.30

Lì per  lì Isabella pensò   ad un  miraggio .  Invece  era proprio  Arsenio, in  carne ed ossa.  Fermo ad  un metro da  lei avvolto nel suo  bel cappotto,  la guardava con una comica aria sbalordita.
Isabella scoppiò in una risata liberatoria, che fece voltare le persone intorno. “Questa poi è incredibile!” esclamò.
“Mata! Che ci  fai qui?” fece Arsenio non appena  si riebbe dallo  stupore. Accorgendosi che erano diventati un’attrazione fuori  programma, la prese sottobraccio e si avviò.
Lei si  lasciò  docilmente  condurre,  felice  di    aver  riudito  dalla sua voce  il  beffardo pseudonimo che si era data, in  pratica  il corrispondente femminile di Arsenio.
“Sono venuta a cercarti” spiegò in  scherzoso tono  di  sfida, sempre  in preda a  un’ilarità un  po’ isterica “Perché,  hai qualcosa in contrario?”
“Parla  piano,  per  favore”  disse  Arsenio, preoccupato di non dare nell’occhio.
Sembrava di malumore,  e  non  riuscendo  a capire se per la rottura del patto, o per  averla  rivista,  ad Isabella si spense il sorriso.
“Ma  come  ti  è  venuto in    mente?”  fece Arsenio, in  tono di  rimprovero  “Avevamo stabilito di   incontrarci  solo su esplicito accordo!”
Era inequivocabilmente contrariato per il primo motivo. Isabella poteva tirare un sospiro di sollievo.
C’era però   dell’altro:   aleggiava sul  viso  di  lui un’ombra di  fastidio, una   sorta  di  impercettibile disagio  che Isabella,  nella sua acuita  sensibilità, attribuiva  all’insofferenza   per un  rapporto oramai  stantio;  e davvero, adesso  che  lo  sapeva  vivo  e   in   buona   salute,  non apeva se  fosse   peggio  perderlo  per  un’improvvisa disgrazia o   per affievolirsi  della passione…
“Come sei  riuscita a  trovarmi?   Di’, non  avrai  fatto ricerche? Non ti sarai  rivolta  ad un  investigatore privato?”
“Quante storie, neanche  avessi infranto un  segreto di Stato!” pensò Isabella, con una  punta di rancore.
La cosa più   strana era   l’incapacità  di  Arsenio , in questo  diverso  in   modo  inspiegabile  dall’Arsenio fino ad allora conosciuto e idealizzato , di cogliere  il lato intrigante  della vicenda (l’amante sconosciuta  incontrata per  caso)  cavandone un   colpo di  teatro  degno  della sua  fama,  che  so  : spingerla dentro un portone, e possederla all’impiedi  nel sottoscala; oppure portarla in ufficio e fare l’amore sulla scrivania davanti all’allibita  ma riservatissima segretaria.
Invece  Arsenio   seguitava  ad incalzarla  in tono inquisitorio.
“Rispondi: hai chiesto  informazioni nel mio  ambiente? Non mi avrai compromesso?”
“Senti Arsenio” disse  Isabella, giustamente  risentita “Cerca di non cambiare  le carte  in  tavola. Ti ho cercato  perché sei sparito  nel  nulla.  Sei  tu  che  devi giustificarti.”
Quasi  non credeva    di esser  riuscita   a mostrarsi  così decisa. Da  dove   le  veniva   tutto   quel coraggio?  Aveva,  d’accordo,  ritrovato    l’indispensabile    amante,  ma  non  era sicura di esserselo riconquistato.
Lo guardò  meglio:   aveva proprio   un’aria strana,  come provata. Forse era  stato costretto  a interrompere  i rapporti  per qualche serio contrattempo…
“Scusa, hai  ragione” fece Arsenio “Non  dovrei  trattarti  così.  Ma  capiscimi:  incontrarti è stata una grande sorpresa.   Con quello   che mi  è capitato,  mi sono proprio scordato di avvisarti, ma fra qualche giorno mi  sarei fatto sentire…”
“Qualcosa  di    grave?”  domandò Isabella,  con subita apprensione.
“Eh, quello che un  uomo sa  inevitabile, ma che in cuor suo spera  non accada mai: mia  madre si  è  ammalata  ed  venuta a mancare in  pochi giorni ”
“Dio mio!”   esclamò   Isabella, investita da un’ondata di contrastanti sentimenti:  un cordoglio più  o  meno sincero, forse  del   tutto   convenzionale,  per  il  lutto  ;  uno spontaneo sollievo per la conseguente riabilitazione di Arsenio; infine  una fastidiosa punta  di sospetto,  perché   la morte  della  madre  aveva  l’aria  della  prima  scusa di peso che gli era venuta in mente.
“Mi  spiace !” ripeté, un po’ frastornata  “Scusa se non ho capito, ma…”
“Non potevi ” l’interruppe lui, ormai vicino a ritornare  l’  Arsenio  di  sempre” Sono io  in torto: dovevo lasciarti  un messaggio. Eh,  le mamme, le  mamme!” mandò un sospiro  sconsolato “Uno  capisce quanto sono essenziali quando vengono a mancare…  Ma  in  un   modo   o  nell’altro bisogna  farsene  una ragione…”
Gli si leggeva sul volto  una sofferenza genuina. Isabella si  convinse  che  aveva  davvero perduto  da  poco  una persona  cara.
“Allora” proseguì  Arsenio,   tirando  fuori  un sorriso”   Non  mi   hai  ancora   spiegato come  hai fatto  a trovarmi. Su, racconta!”
Adesso camminavano   a  braccetto   in  mezzo alla  folla come  una coppia qualsiasi , e Isabella  non poteva  fare a meno  di ringraziare la buona sorte che  glielo  aveva  restituito   in una circostanza non avventurosa  e  clandestina  ma tranquilla, quasi coniugale.
Era l’occasione per proporre un salto di qualità  nel loro rapporto.
“Oh guarda” spiegò Isabella, scegliendo  per  impazienza la via  ingenua dell’assoluta  sincerità”Non ti ho trovato, mi sei letteralmente piovuto dal Cielo!”
“Come ?” fece Arsenio,  sorpreso  ma, allo stesso  tempo, interessato.
“Ma sì,  se credi che  stessi  per salire al  tuo ufficio sbagli. Non  sapevo  che  si trovasse in quel palazzo: passavo di lì  per caso.  Sapevo solo,  per vie  traverse , che  lavoravi in questo quartiere!”
“Fammi capire: tu non conosci la mia vera identità?”
Negli occhi  di  Arsenio  era  passato  un lampo di malizia.  Isabella  avrebbe  dovuto insospettirsi, invece  confermò:  “Proprio  così.  Caso bizzarro, vero?”
Arsenio, che aveva  riacquistato in  pieno la sua baldanza, ribatté trionfante.  “Ah, non bizzarro: voluto  dalla Provvidenza, direi.”
“Come dici scusa?” finse di non aver capito Isabella.
“Ma sì,  cara Mata,  tutto  congiura  perché rimaniamo perfetti sconosciuti!”
“No!” esclamò Isabella.

BERGAMO CENTRO, 24 DICEMBRE 1991, ORE 19.30

“Era   importantissimo,  invece!” si  disse il dottor Dusi, vedendo finalmente chiaro dentro di sè “Che  stupido  a non averlo  capito prima! Io non cercavo un amante  ma una  moglie.  E   lo  nascondevo   a  me   stesso. La contraddizione è  esplosa quando  questo rapporto  solo in  apparenza soddisfacente, ed   anzi ormai sul  punto di mostrare la corda ( credo che fosse questione di  settimane,  se  non  di  giorni )  si  è traumaticamente interrotto.  E’  stato allora  che, sia pure  in modo oscuro, ho percepito  di aver  perso  ben  altro  da  quello  che  credevo  di possedere, e senza averlo mai davvero assaporato…”
Riprese a  camminare,  lo sguardo  perso nel vuoto. Faceva col capo  vistosi cenni  di   assenso. Due ragazze  sopravvenienti credendoli rivolti a loro, se rimasero interdette.
“Sì, sono caduto in una profonda confusione, da cui ho  tentato di   uscire razionalizzando. Ho affrontato il problema con  il distacco di  un  detective che  indaga  intorno  ad  un oscuro delitto, da  cui, com’è  ovvio, non  è  toccato. Invece l’uccisione di Dolores eccome se mi toccava da vicino!”
Si  sentiva   come  liberato e  più leggero. Comparve sul  suo   volto  persino un    mezzo sorriso,  non meno  enigmatico,  per  le  persone  che  incrociava, del  subitaneo  arrestarsi  e  dell’annuire di poco prima.
“Si spiega  anche l’insofferenza  seguita al  colloquio con Giustini. Non sono rimasto colpito dalla  patetica   follia  del   mio  amico, ma dall’amore sviscerato    che   provava  per la moglie.  Insomma:  nel profondo  di  me  lo  invidiavo. Avrei voluto essere come lui, un marito innamorato da impazzire. O meglio: avrei voluto che  fra me e Dolores ci  fosse  lo stesso   rapporto. Altro  che  relazione basata  sul  sesso! Volevo  una donna cui  donare tutto me stesso! Ho, a  mia insaputa fino ad oggi,  un animo romantico!”
Era così rasserenato che poteva  prendersi in giro.  Come  aveva  sperimentato , solo sulle certezze si scherza  a cuor leggero.
E lui la sua  certezza l’aveva  raggiunta, e nulla avrebbe potuto  scalfirla, neppure   il dubbio, insinuante   ma    non  infondato,  che quell’improvviso  squarcio di  luce sulle  regioni  più intime  della   propria  coscienza   nascondesse    il  desiderio di chiudere al più presto una  vicenda  divenuta psicologicamente troppo gravosa.
Al cospetto  di quella  certezza   si  ritraevano sullo sfondo  le   esperienze   drammatiche, penose  o soltanto  sgradevoli vissute  negli ultimi   due  giorni,  la        pazzia  dell’amico   come l’immagine   di  Dolores  inanimata,  il  male incurabile  della  signora    Giustini  come le   chiacchiere  all’Autogrill.
Insomma: la completa  ricucitura  di  ogni   strappo interiore ed  un ritorno  nei  ranghi della   propria  conosciuta esistenza. Infatti, alla fine di quei ragionamenti un po’ contorti,  di quelle  illuminazioni psicanalitiche campeggiava, riscoperta  e  rivalutata, nientemeno che  Isabella, la sua legittima consorte. Egli  aveva amato in Dolores non una donna  in  carne ed  ossa, ma l’ideale  della  moglie, ovvero, allargando  l’orizzonte,  l’ideale   del matrimonio.
Non aveva già entrambe le cose?
Isabella,  d’accordo,  non aveva l’avvenenza di Dolores.  Aveva anche un carattere difficile.  Però dal punto  di vista coniugale  era irreprensibile.  Intanto,  lo amava: non il focoso  amore carnale che  poteva offrire una   come Dolores ( a conti fatti non era nemmeno ciò che cercava ) ma un  affetto solido e duraturo, quale  solo le mogli fedeli sanno dare, e provava  rimorso  per non  averla   ricambiata con  una pari fedeltà.  Inoltre, era una donna  colta e  intelligente. Dialogare con lei, e si riprometteva di  farlo più  spesso  in futuro, rappresentava una fonte di arricchimento. E si  potevano trascurare i  deliziosi figlioletti che gli aveva dato?
Isabella era  un tesoro  prezioso, di  cui   non  aveva  saputo  comprendere  l’incalcolabile valore.       Doveva esser  grato  a  Dolores  per  avergli permesso di scoprirlo.
Fra questi pensieri edificanti, era arrivato in via  De Amicis,  unendosi  con   animo  sereno  al   passeggio natalizio.
Malgrado fossero oramai le  otto di  sera, la folla brulicava.
Contagiato  dal  fervore consumistico che  sentiva   intorno  a sé,  decise  di approfittarne per  comperare dei regali.
“Non posso presentarmi  a casa a mani vuote.  Sono  stato  via  tutto  il  giorno,    Isabella  sarà   seccatissima.   Non parliamo   di Massimiliano e Alfredo!”
Si guardò in giro, indeciso.  Via   De Amicis offriva una grande varietà   di   negozi,  tutti   in     pompa magna  per la tradizionale ricorrenza.
Scalpitando dalla voglia di  tornare al  focolare domestico, decise  di tenersi sul classico. Per la moglie avrebbe  acquistato un bel braccialetto nella gioielleria che si intravedeva qualche metro più avanti. Per i bimbi avrebbe preso un po’  di luci intermittenti  assortite nel negozio di addobbi natalizi sull’altro lato della strada. Glieli avrebbe consegnati insieme  alle statuine  rimaste nel bagagliaio della Uno.
Prima di   entrare  nella  gioielleria   fu  colto   da    un  pensiero  sgradevole , malgrado riuscisse a trasformarlo in notazione curiosa: era  la prima volta, da   tre mesi a quella parte, che varcava la soglia  di una gioielleria  per un  acquisto destinato a Isabella.

CASELLO AUTOSTRADALE DI BERGAMO, 24 DICEMBRE 1991. ORE 20.40

La  Uno   Turbo   imboccò   rallentando   lo  svincolo che portava al casello.
Dusi  guidava    col   sorriso   sulle   labbra, assaporando la felicità che lo   pervadeva da quando  aveva concluso  il suo   shopping  in   via  De Amicis.
Ogni tanto  gettava   uno  sguardo   soddisfatto  ai   due pacchi posati sul  sedile anteriore:  l’uno , argentato, racchiudeva uno splendido bracciale d’oro,   piacevolmente costatogli svariati milioni;  l’altro, più  grosso   e variopinto,  conteneva un  puntale   a  forma   di stella cometa, zeppo  di  luci colorate.
I suoi cari sarebbero rimasti a bocca aperta!
Sul cruscotto, l’orologio fosforescente segnava le 20 e 45.
Un’ora tardissima per   tornare  a casa,   tanto più   che non   aveva  avvertito   del ritardo.
Ma  Dusi,  sull’onda del  ritrovato  buon   umore, vedeva tutto rosa, e l’idea di  tenere in apprensione  la   famiglia non lo sfiorava neppure.
Li immaginava,  Isabella  e  i  figlioletti,  pronti  ad accoglierlo nel salotto  addobbato, con la  melodia di “White Christmas” in sottofondo…
“Sarà una Vigilia memorabile, dedicata alla famiglia, e in particolare a Massimiliano e  Alfredo. Lo  so che alle  10 e un quarto io ed Isabella abbiamo appuntamento a casa dell’ingegner Gualco, ma, perbacco, l’ora di giochi sfrenati che ho intenzione di  conceder loro se la ricorderanno a lungo!  Anzi,  conoscendo   la  mancanza   di puntualità degli altri invitati,  posso tranquillamente presentarmi alle  undici  meno   un  quarto: ecco  recuperata  almeno un’altra   mezzora!   ”
Era  fermamente deciso  a considerarsi  un genitore modello, tacitando la sua cattiva coscienza. Con altrettanto ferma   convinzione, voleva sentirsi   un marito  perfetto,  cancellando  il  ricordo  dei  suoi ripetuti adulteri.
“Isabella sarà entusiasta del  bracciale. Le  chiederò di  metterlo  subito, voglio che i partecipanti al cenone possano  ammirarlo!”
Intanto era  giunto in   vista del  casello, davanti   al quale attendeva la solita fila  di automobili. Per nulla  irritato dal contrattempo,  rallentò e si   mise in coda.
Subito, l’elegante  linea   sportiva  dell’auto  che   lo precedeva attirò la sua attenzione.
“Sembra una Lancia Thema” commentò  fra sè   e sè, soffermandovi sopra lo sguardo.
All’improvviso si  rabbuiò:  nel  mosso controluce dell’abitacolo aveva riconosciuto  il  profilo della  donna   accanto   al guidatore .
“Isabella!?   Cosa  ci   fa  qui?”
Mentre dolorose scariche   di adrenalina gli frustavano le vene, avvicinò il  capo al  parabrezza  , sperando con tutto se stesso in una svista. Ma  a quella distanza ravvicinata la più che decennale conoscenza  delle   fattezze  di  lei   non    poteva tradirlo.
“ E’   proprio  lei!  Con   una messimpiega un po’ diversa, ma lei!” esclamò Dusi.
Nel  subitaneo  montare  del    sospetto, il misterioso compagno  di  viaggio  calamitò la sua attenzione.
Sembrava un signore  distinto e facoltoso, vestito con  abiti  eleganti.
La  scoperta  faceva  crollare  come  un    castello di carte  il  felice  momento   psicologico,   col   suo   corredo di pacchi  dono, esemplare affetto  fra coniugi,  premure paterne, presepi e Santa Notte.
La Nemesi più crudele.
Isabella,  la  moglie idealizzata,  tutta  dedizione alla famiglia,  s’era incontrata con l’amante! Spudorata!   Come sperava di  giustificarsi, al ritorno?
Che  scusa  aveva  preparato?  E  i  bambini? Vergogna! Lasciarli soli la  vigilia  di Natale,  andando a  un   congresso erotico clandestino!   Altro   che   perno    della     sua   vita:  Isabella  era  una schifosissima, subdola traditrice! Se tanto  gli dava tanto,  non era  nemmeno la prima volta!
Vigliacca! Puttana!
Quando  la    fila  si    mosse  pestò l’acceleratore,  colmando   rabbioso  il   vuoto   fra  le  due automobili.
Nell’ l’abitacolo  della   Lancia,   Isabella   era troppo   impaziente per accorgersi del rombo di una Uno Turbo alle loro spalle.
“Cavoli,  ma    non  possono    sbrigarsi?”  disse,   lanciando l’ennesimo sguardo febbrile all’orologio da polso.
Al  suo   fianco,  Arsenio   la   guardava  benevolo.
La fretta  spasmodica  di lei   si  era  manifestata   al parcheggio della Ypsilon 10.
L’aveva riaccompagnata fin lì  la dopo una veloce tappa   dal parrucchiere di fiducia della  sua segretaria.  Interpellato da  una cabina telefonica  l’ estetista,  cogliendo  al   volo la situazione, aveva acconsentito a servire con precedenza  assoluta quella “sua lontana parente”.
L’utilitaria  non  voleva  partire  e Mata aveva cominciato  ad imprecare contro  il destino che stava cercando di impedire   il suo  rientro a casa ad un orario decoroso.
Vedendola così sconsolata,   Arsenio si  era offerto   di accompagnarla con la sua auto.
La donna   gli   aveva manifestato   una   fanciullesca gratitudine  e s’erano diretti a  passo spedito  verso    la Lancia, parcheggiata in una via vicina.
Mata  lo  inteneriva nella veste simpatica,  e  per  lui   nuova, di moglie attaccata alla famiglia.
La donna   gli  aveva   chiesto  di  trovarle alla svelta un parrucchiere per non   insospettire il marito, al quale aveva raccontato che usciva per farsi la permanente; per  lo stesso motivo   voleva arrivare a casa il più   presto possibile.
Dopo averlo ritrovato ed aver assicurato, pur nella malsopportata segretezza reciproca , un futuro alla loro relazione, in Mata era ricomparso il desiderio più  che  logico di salvaguardare la  sua  vita privata.
Aveva un  amante  che adorava ( non   faceva  per vantarsi…), ma  voleva  mantenere  intatti  i  punti  di riferimento quotidiani.
S’era  messo    a  guardare  la    donna  con   ammirazione silenziosa. Ma a  rifletterci   meglio dietro si nascondeva una buona dose di nostalgia, e di invidia.
Isabella  pensava, cercando di  dominare    il  nervosismo: ” Conviene che mi  faccia   scendere da Arsenio  in   via Dolci, alla fermata del 15. A  Raffaele dirò  che l’auto mi si è guastata in autostrada, e che  un signore gentile mi
ha dato un passaggio. ”
Oltre che metterla al riparo dai sospetti del marito, lI  sotterfugio  avrebbe tenuto Arsenio  all’oscuro del suo indirizzo di casa.  In  realtà,  le interessava solo  il  primo obiettivo. Nelle ultime ore aveva  già rivelato parecchi e  molto più importanti particolari sulla  sua vita   privata.
“Perché Arsenio  se la  prende  così  comoda? Non  vede che l’auto davanti è già ripartita?”
Prima che potesse innervosirsi, La  Thema  si  era già affiancata al distributore automatico  dei biglietti.
Isabella fece un riepilogo della situazione. A Raffaele  non aveva detto che   andavo  da   un parrucchiere di Bergamo,  e  nemmeno alla   domestica  quando  alle   undici   ho telefonato per dirle di  trattenersi  fino  a  sera.  Avrebbe spiegato di aver sentito alcune amiche dir mirabilie  su  questo  parrucchiere,  e  che,  vista l’occasione speciale,  aveva deciso  di provarlo.. Tra viaggio e ingorghi  vari, poteva recuperare  almeno due  ore.  Un’altra       poteva venire dalla ricerca    della   via nell’affollato centro cittadino.
Poi c’era il tempo perso per il guasto all’automobile.
Raffaele non  era un  marito sospettoso. Si sarebbe offerto di occuparsi   del recupero  dell’automobile, ma non prima di  dopodomani. L’essenziale era che all’arrivo del carro attrezzi la Ypsilon 10 si facesse trovare sulla corsia di emergenza.
Quando la Lancia si immise nella  corsia   di accelerazione,  Arsenio disse:  ”  Fra venti, trenta  minuti al massimo saremo  ad  Agrate Brianza.” Mata,  immersa  nei  suoi   pensieri,  accennò distrattamente di sì col capo.
Dopo le tempeste degli ultimi giorni, Arsenio si sentiva più tranquillo.
L’incontro  con  Mata  era  stato  un  banco  di  prova attendibile e  poteva andare  orgoglioso di  come i  suoi   nervi avevano    reagito,  Come ben  presto o aveva  capito, la donna  si era  messa alla sua  ricerca  non    solo   per  ritrovarlo,  ma soprattutto per convincerlo a  passare   ad  una  relazione    classica, basata sulla conoscenza reciproca.
Accortasi che lui  voleva approfittare delle   circostanze  favorevoli per  mantenere   le cose   come   stavano, aveva avuto un crollo.
S’ era  messa  a  piagnucolare  e  a  supplicare,    dicendogli che non  ce  la faceva  più,   ad andare avanti così , ma  lui  era stato   abilissimo    nel contrapporle  il   cinismo scherzoso dei migliori momenti.
Alla fine la donna si era  convinta che le conveniva tenersi  il suo misterioso  ed  inventivo  amante.
La relativa  facilità dell’impresa indicava che, forse,   Mata non aveva  mai davvero  creduto  di riuscire nel suo intento.
Assecondare  gli  ansiosi  sotterfugi   di  lei  era stato  piacevole. Vederla  tutta presa  nel   salvare l’apparenza di  moglie per   bene  l’aveva riportato  alla storia recente della sua vita, quando anche lui  aveva  a  cuore la fama di marito fedele.
“Senti Arsenio, ”  disse  Isabella   “Dovresti chiamare il Soccorso Stradale e far  trasportare la mia auto  sulla corsia di emergenza, poco oltre il casello di Bergamo.”
Arsenio reagí con uno  sguardo  di blando stupore, riprendendo subito a  guardare la strada pensieroso. Ci voleva poco a capire che lo  spostamento dell’auto era un raggiro ai danni ( no: a favore…) del marito.
“Pazzie, si fanno vere pazzie  per un coniuge!”  pensava Arsenio, faticando ad arginare  la piena  dei  sentimenti    ” Ecco,  qui accanto ho Mata, una  donna non particolarmente bella ma interessante  per la voglia di   trasgressione, nascosta dietro una  facciata  di perbenismo.  Delle  mie  amanti,  la    più   esplosiva. Devo  confessare  che  mi  ha  rivitalizzato, appagando un  represso  bisogno  di  libertà dai vincoli convenzionali. Perderla sarebbe un danno incalcolabile,  anche se  mostrando insofferenza      per il      nostro   adulterio  fuori dalle regole….Ma Clara era un’altra    cosa.  Clara  era   il  muro  maestro   della mia vita. Pensavamo  che ci tenesse legati un  legame esteriore come la nostra unità famigliare, utile alla mia reputazione di  brillante avvocato come alla sua di signora “bene” ammirata per la bellezza è l’eleganza. Invece  il legame  era molto più sostanziale. Me ne  sono  accorto   quando è arrivata  la notizia della  sua malattia.”
Una  smorfia di  sofferenza deformò  per  un   attimo i suoi lineamenti.
Pur concentrata  nei suoi pensieri, Isabella se ne avvide.
“Qualcosa non va?” chiese.
Arsenio aveva  ripreso il controllo delle sue emozioni. “Perché?”
Isabella soffermò lo  sguardo  sul  suo sorriso affabile. L ‘ espressione stravolta balenatale per un attimo era evidentemente frutto del gioco d’ombre creato nell’abitacolo dai fari di un’automobile che  passava  sull’opposta corsia.
Non  tardò a  convincersi che accanto a lei c’era il  solito distaccato e  un  po’ cinico Arsenio.
“Ripensare alla   malattia  ed   alla   morte  di   Clara  mi dara’ sempre disperazione. “ pensava   questi “ Il giorno che mi ha  detto del suo male incurabile era così  innaturalmente  calma che  ho creduto  ad uno  scherzo.  Invece    gli  improvvisi e fastidiosi capogiri che  l’avevano afflitta  negli ultimi  tempi erano  sintomo di  un   male  senza  speranza.  Il tremendo dramma sembrava non  aver intaccato  il suo morale.  Guardava ai suoi   ultimi  mesi  di vita  con  serenità  e  disincanto.  Al contrario di me,  sconvolto dal dolore, aveva  chiaro in  testa  un   progetto. Era una  donna molto colta e molto cerebrale,  Clara. L’unico modo per   affrontare il terribile  destino  era  filtrare la disgrazia attraverso  la  sua sensibilità e la sua cultura.  Mi  ha  detto:  diventerò un’altra. Fino  ad oggi  ho vissuto  come una signora di borghese.  Prima di  morire  voglio provare un’esperienza opposta. Farò la mantenuta.”
La  Lancia  Thema  procedeva con sicura  progressione ,  sorpassando   di  slancio le altre automobili.
Ai  lati  il  paesaggio   della  campagna  notturna  scorreva fulmineo e indistinto, ravvivato dalle luci degli alberi addobbati e dalle   altre luminarie.
Isabella pensava:   “Bizzarro   quest’uomo.   Gli chiedo un favore inusuale, e imbarazzante  (voglio vedere che  cosa racconta   al  Soccorso  Stradale…)  e  non fa una piega. Meglio  così.”  Guardò ancora una volta  l’orologio  ” Bene.  Non le nove e un quarto  e  siamo a  un terzo del  tragitto. Stiamo volando. Ho una gran voglia di  rivedere i  miei. Sono   stata  sconsiderata a    mettermi  sulle tracce di Arsenio. Passi  la preoccupazione per l’ inspiegabile perdita di   contatti, ma a mente  fredda devo ammettere che gli ho dato  troppa importanza.”
Ancora una volta,  sapeva di non essere  franca con  sé stessa.  Come  la volpe  della   fiaba, stava sminuendo l’uva irraggiungibile di un   diverso rapporto con Arsenio…. Nondimeno, procedeva nel    lavaggio     mentale autoconsolatorio.
“Non ho   bisogno  di  un  uomo   che  mi  stia   al   fianco dividendo gioie e tristezze. Ce l’ho già: è Raffaele. Mi serve , questo   sì, un  uomo  con cui   sfogare il desiderio di  fuga dalla quotidianità.  Ma non so se il bisogno è momentaneo, e nemmeno se Arsenio è il solo in grado di  soddisfarlo. Vietato  però, d’ora in  poi, confondere  le cose:   il compagno stabile della  mia vita  è  Raffaele. E’  da  lui  che posso, e devo, ottenere  confidenza e sostegno morale.  Non voglio   più trovarmi a salvare, con gran  batticuore, il mio matrimonio da una crisi.”
Arsenio pensava: “Quante  discussioni sono  seguite a quell’annuncio!  Quanto  l’ho  supplicata,  persino in
ginocchio,  di abbandonare il suo    proposito! Non  per   gelosia,  o peggio  ancora per  moralismo   (   la   morale,  di    fronte  al rischio di morte,  non conta  più nulla…),  ma perché  la sua  scelta era una rinuncia  a combattere la malattia. Avrei voluto che si affidasse  alle cure  dei migliori  specialisti. Ero pronto a sacrificare in quest’impresa  tutte le mie,  tutte le nostre sostanze. Lei no, voleva mettersi nelle mani del  destino, limitandosi a concedersi un  velleitario  atto   di trasgressione….”
In  realtà  il  risvolto   egoistico  di    questa   dedizione assoluta alla moglie non gli era mai sfuggito.
Era  l’equilibrio della  sua  vita che,  salvando  lei dalla morte,  voleva preservare.
Isabella pensava:  “Poveri  Massimiliano  e Alfredo!   che delusione vi ho dato!  Non accadrà più.  Sporcare  la  festa consacrata alla famiglia  per incontrarsi con l’amante!  Ma fra poco sarò a casa  e, ve lo giuro, farò del mio meglio   per riparare!”
Per un attimo, in  preda al fervore espiatorio,  pensò di rinunciare al Cenone per rimanere insieme ai   figli, abbandonando l’idea solo dopo aver  considerato, non  senza segreto  sollievo , che  non poteva, in questo modo, guastare  la serata al marito incolpevole.
Avrebbe elogiato i bambini per lo  splendido  Presepe  ed il   meraviglioso Albero che con l’aiuto del padre avevano allestito.
Gonfia  di   tenerezza   materna,    voleva premiarli, l’indomani,  con un regalo straordinario.
L’idea  del  dono  futuro  le rammentò di colpo che stava tornando  a casa a  mani vuote.
” Come  ho  fatto a   non  pensarci?   Che credibilità può avere una  madre che  si allontana dai  suoi bambini
per l’intera vigilia di Natale senza portar loro un  regalo?”
Ragionamento ineccepibile,   ma  tardivo. Con l’automobile lanciata a tutta velocità verso il  casello di Agrate,  non si  vedeva come potesse rimediare. Non aveva  certo  tempo  per    ricercare  qualche  negozio  di giocattoli ancora aperto.
Stava farsi sopraffare da un rimorso impotente, quando le sovvenne l’autogrill che s’incontrava nel percorrere quel tratto d’autostrada, sempre snobbato per il suo aspetto dimessa.
“Sotto le feste sarà fornitissima di regali per ogni età!” esclamò fra sé e sé” Non sarà roba di prima scelta ma, come si dice, è il pensiero quello che conta!”
“Arsenio,” si affrettò a  dire, con gli occhi luccicanti di contentezza ” ti spiace fermarti all’area di servizio, sai  quella a metà  autostrada?   Voglio prendere dei regali. Eh,” sospirò “i bambini sono bambini!”
Non gli aveva ancora  detto di avere  dei figli, ma  le era venuto spontaneo parlarne come se  l’avesse fatto fin dal loro primo incontro.
Infatti Arsenio non ne rimase colpito.  Era l’accenno all’autogrill ad avergli procurato un soprassalto.
“Che coincidenza tornare lì” pensava  “con una donna  sana e felice come Clara prima della tragedia! Ha  anche dei figli,  Mata… Io e  Clara no:era sterile. Ci sarebbe  piaciuto averne, e spesso parlavano di adottare  un bambino… Ma in realtà ci bastava il nostro rapporto. Fino al giorno in  cui lei ha  saputo di dover  morire… Clara  non ha  mai  prestato ascolto ai miei  consigli. Si accontentava di bruciare gli  ultimi mesi di vita in un gioco astratto. “Lascia perdere  i medici e  la medicina, diceva. Non c’è più niente da fare, eppoi mi sono così abituata  a finire la  vita con  un  contrappasso che,  credimi,  sopravvivere  sarebbe  una  delusione.” Questi argomenti capziosamente macabri mi lasciavano sgomento.”
A Isabella pareva di aver ricomposto un complicato puzzle. L’immagine dalla sua vita le stava davanti ordinata e nitida: Raffaele, i figli, le amicizie, i  parenti, la sua bella  casa, gli  incontri  fugaci   e  clandestini con Arsenio,  il  tran  tran   di  ogni  giorno, l’agiatezza economica,  la  vertigine  della carne: tutto dosato nella  giusta  misura.
La  penombra  dell’abitacolo  era  ravvivata  dal   suo sorriso soddisfatto,  tutto rivolto alla  meta. Di lì a poco le sospirate luci dell’ autogrill  sarebbero  comparse  in lontananza.
Arsenio pensava:  “Vederla  sparire  per   intere giornate, ottenendo  al ritorno  spiegazioni  evasive, e  un  po’ beffarde, mi  dava  un tormento  insopportabile.  Finché non  la rivedevo restavo a macerarmi, disertando l’ufficio e le aule giudiziarie. Con i colleghi avevo trovato la scusa  di una intermittente emicrania:  l’apparenza prima  di tutto, come sempre,  la stessa  che Clara curava,   riprendendo  le  sue abitudini negli intervalli fra  una  sparizione e  l’altra. Anche lei per famigliari ed  amici soffriva di  altalenanti   disturbi di  salute   che  la costringevano a  letto, una  bugia  molto  vicina  alla verità..”
Forse  per  difficoltà  ad  ammettere  la propria gelosia, si ripeteva che a lui non importava sapere a chi si concedesse Clara,  era solo angosciato  dal trascorrere del tempo : ogni giorno era  sottratto alle indispensabili cure.
All’inizio  Clara  accettava  la  discussione.  Da buon  professionista dell’oratoria parlava quasi solo lui, lei rispondeva con  argomenti   giocati  sul  filo  del paradosso. Poi aveva preso a trincerarsi  in lunghissimi  silenzi, chiudendosi in  camera mentre lui  dietro la porta  continuava nelle  sue  insistenti perorazioni.
Aveva incominciato  a  consultare  medici  per  proprio conto. Riceveva risposte possibiliste, alcune anche incoraggianti, ma tutti volevano visitare Clara prima di fornire un responso.
L’angoscia, alimentata    dalla  doppia incomunicabilità, con la moglie e con i medici, era cresciuta a dismisura.
Una sera,  in preda  ad un  raptus,  aveva sfondato la porta della camera di  Clara, costringendo la  donna, terrorizzata, a dargli ascolto. Si sentiva investito del  compito di salvarla, e doveva riuscirci malgrado lei. Le aveva imposto di seguirlo  nelle   febbrili  visite  ai medici  del circondario. Clara si era piegata alla prevaricazione con
rassegnata pazienza appena venata di risentimento. Durante le conversazioni surreali con i medici,  se ne  rimaneva apatica,  rifiutando  sempre di  farsi toccare.
Era  così  arrivata  l’antivigilia  di  Natale,  punta massima del delirio:  dallo scoramento più cupo alla  speranza,  incarnata  dal  vecchio  amico  medico  di  cui all’improvviso si era ricordato.
Nell’irrazionalità  del  momento,  gli  era  parso  che rivolgersi  a  lui  fosse  come  attingere  alle  fresche energie  della  giovinezza.  Le  sue radici non potevano  tradirlo. Aveva così  annunziato a Clara  la buona nuova, con l’allegrezza  di chi propone di passare una piacevole serata  con un conoscente  tornato da   un   lungo viaggio.
Inspiegabilmente, Clara aveva opposto resistenza. Sembrava che quello fosse l’unico medico  sulla faccia  della terra da cui non accettava di farsi visitare.. Era rimasta inamovibile. Aveva ottenuto solo che lo accompagnasse, senza però metter piede nell’ambulatorio.
Si  era presentato al vecchio  amico  mentre Clara, accigliata,  attendeva in  automobile. Il fallimento di quella visita era stato tanto  più crudele perché  senza appello: se Raffaele non accondiscendeva ad aiutarlo,
nessun’altro l’avrebbe fatto.
Era   tornato    dalla   moglie    annichilito   dalla disperazione. Clara aveva cercato di consolarlo coi soliti  oramai insopportabili paradossi.  Nel  suo  animo aveva cominciato   a   farsi   strada    una   lucida vertigine   di autoannientamento. L’idea d’assistere all’agonia della donna lo  angosciava a tal  punto che evitare  a sé , ma soprattutto a  lei, quello strazio,  gli  appariva un  atto  di carità.
Mostrandosi più cheto, le aveva  proposto   di  fermarsi  all’autogrill. A lei era parso di cogliere in lui segni di ravvedimento. Al parcheggio si era mostrata addirittura materna, tentando, paradosso  dei paradossi, di consolarlo.
Lui aspettava l’attimo propizio per compiere il doloroso ma liberatorio atto di carità.
Repentinamente aveva posto le mani  intorno al suo collo, e stretto con tutte le forze. Clara non aveva avuto il tempo di  reagire.
Non credeva fosse  così facile strangolare  una persona. Forse  il convincimento  che quel gesto era  necessario aveva  raddoppiato le  sue forze.  Con altrettanta probabilità, l’indebolito spirito  di  sopravvivenza della moglie gli aveva facilitato il compito.
Si era  allontanato  dall’auto  come un sonnambulo, non sapendo che fare o  dove andare. Il proposito  di fuggire era molto confuso,   neppure certo.
Per una decina  di minuti aveva  vagato nel gelo del  parcheggio notturno,  poi si  era avvicinato  al parapetto che correva lungo il  bordo del piazzale  e l’aveva scavalcato, sparendo nei campi di  fianco all’autostrada.
Mezz’ora dopo, non sapeva  neppure lui come,  era giunto, tutto sporco di  fango e coi vestiti laceri, ad una
strada asfaltata. Un’auto che sopraggiungeva gli si era accostata e il guidatore gli aveva offerto  un passaggio. Salito a bordo, aveva raccontato  al soccorritore che  l’auto  gli si era  impantanata in  un viottolo fangoso in mezzo ai campi.
Si era fatto scaricare in  un vicino borgo, davanti a una  cabina telefonica. Da lì,  aveva chiamato un taxi.
Se finora non lo erano venuti a cercare, era dovuto al fatto che Clara non portava mai con sé  con sé documenti di riconoscimento. Quante volte la Stradale l’aveva sorpresa  senza patente  e libretto  !
In fondo al rettilineo si  accesero, su ambo i lati della carreggiata, le insegne dell’autogrill.
“Eccolo!” esclamò Isabella,  in tono  festoso.
Arsenio alzò il  piede dall’acceleratore,  e  l’auto rallentando accostò a destra.
In breve furono nel piazzale, dove  faticò a soffocare la violenta emozione che tornare lì gli procurava.
Temendo che  Mata  si accorgesse  del  suo  turbamento, decise  di  nasconderlo  dietro   una  giovialità  sopra le righe.
“Non  avrei mai  creduto che fosse un posto così gradevole. Bello, l’albero addobbato! Eh, il Natale è il Natale!”
Tirò giù il finestrino e respirò l’aria della notte “Accipicchia, che gelo!”
Parlava  a  raffica. Mata,  come ipnotizzata di fronte alla vetrina  del dimesso bar, non riusciva a cogliere il tono artificioso e un po’ ridicolo  delle sue parole.
“C’ è da prendersi  un malanno a  uscire! ”  proseguì Arsenio  tutto d’un  fiato “Sai  che facciamo?  uno resta qui, al calduccio,  e l’altro va  a comperare i  regali. Quanti regali?”. Aprì la portiera, dando per scontato d’essere lui a doversi sacrificare. In realtà aveva  colto al volo il pretesto per sottrarsi alla vista di lei.
“Aspetta  un   momento”  protestò  Mata   “Voglio sceglierli io! Non conosci i miei figli e…”
“Va bene” troncò la discussione Arsenio, avviandosi spedito  verso  il  bar”  ne  acquisterò  cinque.   Voglio rovinarmi.”
Un  attimo,  ed   era  già   lontano.  Mata rimase per qualche istante contrariata, poi il ritrovato buonumore  cancellò  il  disappunto  di  dover soggiacere alle preferenze di Arsenio.
Era troppo in sintonia col mondo per non vedere  il lato buono delle cose.
Arsenio attraversò  il  piazzale in gran fretta.  Era deciso a sbrigare quella commissione al  più presto.
Provava  l’impulso di guardarsi attorno, ma non ne trovava il coraggio: troppo forte l’irrazionale paura di scoprire qualcuno, forse proprio lui stesso in un’allucinazione retrospettiva, aggirarsi  nella penombra con gli occhi vacui e le mani calde di un delitto. Teneva lo sguardo fisso alla vetrina del bar, sperando chè quel luogo, con la sua festosa confusione,  gli fornisse  rifugio  dai recenti, sgradevoli ricordi.
Il locale per l’ora tarda era quasi vuoto, e lui ne rimase deluso, anche se la presenza sul piazzale  di appena altre  due  automobili,  più  un’altra che  era  arrivata mentre lui  stava scendendo  dalla sua, avrebbe  dovuto preavvertirlo.
Dietro il  banco  stava  una  graziosa  commessa  coi boccoli  biondi  che  spuntavano dal  berrettino  di servizio.  Accolse la sua entrata con un sorriso.
Lui  contraccambiò,  e  venne  subito  al  dunque,  per scrollarsi di  dosso l’ inquietudine che  l’aveva attanagliato nell’attraversare  il piazzale
“Vorrei dei  giocattoli” chiese  “Doni natalizi per i miei bambini.”
Dietro di  lui, oltre la  vetrata  , l’inguardabile piazzale  sembrava una  terra  di nessuno immersa in  un’atmosfera malvagia.  Il pensiero  di  doverla  riattraversare  gli  procurava un tormento quasi fisico.
La commessa  rispose,  con aggraziata  voce giovanile: “Tutto quello che abbiamo è in quegli scaffali là in fondo…”
Dubitava, la ragazza, con simpatica franchezza,  della qualità della  merce,  e Arsenio dovette darle ragione: gli scaffali  traboccano di  infimi giocattoli di  serie:  automobiline, bambolette  con  corredo, pupazzi, palloni variopinti e, ma non era la festa della  bontà?, il solito arsenale in miniatura.
Si   soffermò   a   guardare   quella   minutaglia, fingendosi  assorto  nella   scelta.
Si sentiva  per  la prima  volta  un  assassino,  e  si metteva nei panni del signore  che stava  sorseggiando un caffè, e della graziosa commessa,  entrambi in realtà  persi nei loro pensieri: come doveva presentarsi ai loro  occhi il distinto avvocato uxoricida appena entrato nel bar?
L’indugio cominciava a farsi in sostenibile, e decise di muoversi. Senza guardarli né contarli, allungò la mano a prendere un mucchietto  di  balocchi. Erano  racchiusi  nelle  loro  confezioni  di  plastica  trasparente,  che  li  rendevano  tutti uguali, tutti ugualmente inutili.
Tornò al banco  e pagò  con aria  inquieta.  La commessa, la mente  rivolta alla serata  piacevole che l’attendeva a  fine turno, non se l’è accorse o non ci badò.
Neanche l’altro  avventore si interessò a lui, così  poté uscire  del  tutto   inosservato, confondendosi ai numerosi volti  anonimi passati di lì.
Appena fuori,  fu colpito  dal  gelido silenzio, rotto solamente dallo sfrecciare delle auto  lungo la  corsia. Le  luci dell’albero  di Natale  gli  sembravano  debolissime   e  vacillanti,  non  meno minuscole e tenui  delle stelle  che punteggiavano  la volta  del cielo.
“Coraggio”  si  disse.
Abbandonato quel posto infernale, dove s’era consumata una tremenda esecuzione per amore in cui  la vittima era indistinguibile dal carnefice, i sensi di  colpa e le  paure si sarebbero attenuati. Solo Clara, ahimè, e il suo felice matrimonio erano irrimediabilmente persi….
Strinse il pacco dei giocattoli  sotto il braccio,  per farsi forza  con una  parte piacevole  del  presente ( i  figli, l’amore materno), che pure non lo riguardava in prima persona,  e si avviò verso la Lancia Thema.
Gli  ultimi metri  li fece  addirittura  di corsa, come  se fosse  inseguito.
Sedette al posto di guida con  un sospiro di  sollievo, richiudendo la portiera con un colpo secco,  come se dovesse separarlo  definitivamente  dalla  calma  minacciosa  del piazzale e dal lato oscuro e tormentoso di sé.
Si volse verso Mata,  porgendole il pacco  con un sorriso.
Lo folgorò l’immobilità  della  donna, appoggiata allo schienale col capo reclino sul petto e gli  occhi sbarrati.  Aveva i capelli spettinati e gli  abiti  sgualciti  come  per  una  colluttazione.
Attorno al  collo, i segni inconfondibili,  e tristemente noti, di una stretta mortale.
Sul viso  di  Arsenio si disegnò  un’espressione  di sbigottita incredulità mista al terrore che solo gli incubi sanno provocare.
Ma in quella  fredda sera  della vigilia  di Natale il risveglio non gli sarebbe venuto in soccorso.

(continua dopo la pubblicità)

 

Rino Casazza 

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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