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ESCLUSIVO/ Quel nome sconosciuto sull’agenda di Giovanni Falcone…

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MISTERI DI STATO/ Il presunto viaggio a Washington dell’aprile 1992 sempre smentito da autorità e ministero della giustizia potrebbe avere un testimone

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La persona appuntata sull’agenda potrebbe mettere la parola fine ad un giallo di cui, oltre vent’anni dopo, si parla ancora al processo Borsellino quater: Falcone era davvero stato negli Stati Uniti a interrogare Tommaso Buscetta un mese prima di morire?

 

di Edoardo Montolli 

Oltre vent’ anni dopo le stragi, al processo Borsellino quater si parla ancora del presunto viaggio di Giovanni Falcone a Washington alla fine di aprile del 1992, prima di morire a Capaci il 23 maggio. Una questione, evidentemente, piuttosto controversa. Tutto cominciò con le dichiarazioni dell’ex giudice Carlo Palermo. Falcone era morto da meno di una settimana e lui, in quel momento deputato de La Rete, disse che Falcone era giunto ad una svolta cruciale per il delitto di Salvo Lima, avvenuto il 12 marzo. E dopo averne accennato in tv, il 30 maggio dichiarò all’Ansa: «A Salvo Lima si erano fermate le  sue indagini per il rifiuto dei pentiti di  fare i nomi dei politici. Ma con la morte di Lima si apre uno squarcio su determinati fatti italiani: non a caso, dopo l’uccisione di Lima, Falcone si reca negli Stati Uniti a parlare con Buscetta. Cosa si siano detti non sappiamo, e forse non lo sapremo mai». Le indagini sulla strage di Capaci erano appena all’inizio. Il Paese, travolto da Tangentopoli, mutava pelle. La diffidenza e le polemiche erano all’ordine del giorno. Il problema è che il viaggio di cui parlava Palermo non risultava: l’ultima visita ufficiale di Falcone negli Usa doveva essere avvenuto nel febbraio 1992, ossia prima della morte di Lima. E non dopo. Smentito dal ministero, Palermo presentò in proposito un’interrogazione parlamentare. Tempo una manciata di giorni e la giornalista Liana Milella pubblicava un articolo sul Sole 24Ore sulla scomparsa dei “diari elettronici” del giudice, contenuti verosimilmente in una memoria esterna delle sue agende: nessuno li ritroverà mai. Eravamo a giugno e il mistero s’infittì. Il 17 luglio 1992 il procuratore di Caltanissetta Salvatore Celesti incaricava il commissario capo Gioacchino Genchi di analizzare le due agende elettroniche di Falcone: un data bank Casio e uno di marca Sharp. C’era traccia lì di quel viaggio negli Stati Uniti? E quanto poteva essere importante? Prima di parlare del contenuto delle agende, è bene fare un passo avanti di un anno esatto.

 

Aprile 1993

Il giorno 22 il procuratore distrettuale di Brooklyn Charles Rose rilascia un’intervista telefonica alla trasmissione di Raitre Il rosso e il nero. Le agenzie anticipano le sue dichiarazioni: «Ho incontrato per l’ultima volta il giudice Falcone nell’aprile dello scorso anno. Stava conducendo un’indagine a New York, come del resto faceva sempre durante le sue visite qui». Dice pure che Falcone ha incontrato Buscetta «ma non posso rivelare nulla dei loro colloqui, dato che c’è ancora un’inchiesta in corso. Il signor  Buscetta è sempre stato a disposizione delle autorità italiane. E il giudice Falcone non ha mai smesso di investigare». Due giorni più tardi Claudio Martelli, all’epoca della strage ministro della giustizia, dirama un comunicato, perché questo viaggio a Washington, di cui ora parlano ben due autorevoli testimoni, proprio non risulta: «L’ipotesi, sollevata dall’on. Carlo Palermo il 26 maggio ‘92, fu brevemente discussa nel corso della trasmissione Samarcanda del 28 maggio. Pochi giorni dopo, il primo giugno, fatti gli opportuni accertamenti, la Direzione generale degli affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia comunicava alla stampa e alla procura della Repubblica di Palermo, che ne aveva fatto richiesta, che a quanto risultava dagli atti del Ministero, Falcone non si era recato negli Stati Uniti dopo l’assassinio di Lima. Citando presunte fonti ufficiali americane, il 26 settembre l’on. Palermo risollevava la questione e la Direzione generale degli affari penali ribadiva ancora con una nota ufficiale i fatti a sua conoscenza. Il 28 ottobre era la volta della rivista Avvenimenti. In un articolo a firma Riccardo Orioles, si riportava il brano di un presunto verbale del Fbi datato 4 aprile ‘92. Lo stesso giornalista, tuttavia, avvertiva: “La data del verbale potrebbe anche non essere esatta perché apposta dal traduttore italiano”. Interpellato dal Ministero di Grazia e Giustizia per chiarimenti, il direttore dell’Fbi William Sessions comunicava ufficialmente: “Il giudice Falcone ha incontrato Tommaso Buscetta più volte, ma non nel periodo tra il primo gennaio e l’aprile 1992”». Lo stesso giorno la sorella di Falcone, Maria, precisava che l’ultimo viaggio del fratello negli Usa risaliva al febbraio del 1992 e di averne messo a disposizione della magistratura di Caltanissetta il passaporto. Infine, anche l’attuale presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro, all’epoca delle stragi capo di gabinetto del ministero della giustizia, testimonierà in aula l’8 gennaio 1996 che l’unico viaggio in America che lei ricordasse era del febbraio 1992. Il caso dovrebbe così essere ampiamente chiuso. Che motivo avrebbe l’Fbi di mentire? E che motivo ci sarebbe perché il viaggio non debba risultare sul passaporto? Il problema nasce da qui: dalle agende di Falcone.

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Le testimonianze al Borsellino quater  

In una di queste agende il giudice aveva in effetti annotato un viaggio negli Usa dal 28 aprile al primo maggio, con tanto di festa all’ambasciata U.K. alle 19,30 del 29 aprile. L’appunto fu scovato da Genchi nella Casio, dopo aver recuperato i files che, per ragioni tuttora oscure, erano state cancellate. Così come risultavano modificati alcuni file sul computer di Falcone al ministero, nonostante al suo ufficio avessero apposto i sigilli. Il 3 ottobre 2013, Genchi dichiara al Borsellino quater: «Sono stato trasferito una settimana dopo avere portato i dati dell’agenda, cioè Parisi (capo della polizia dell’epoca ndr) ha firmato il pro … se ha firmato, se l’ha firmato lui non lo so». E al magistrato Nico Gozzo che gli chiede conto del famigerato viaggio in America, risponde: «Risultava, fra le altre cose, fra… negli incontri di Falcone, tutti gli appuntamenti, etc., risultava, alla fine di aprile del 1992, in dei giorni in cui lui non era a Roma, in cui la sua agenda era stata trovata bianca, un viaggio in America. Io avevo sentito anche il dottor Cordova (Agostino Cordova, magistrato, ndr), che mi aveva detto che l’aveva incontrato a Vienna il primo giorno, ma che poi non l’aveva più visto, quindi da Vienna non si sa Falcone dove sia andato in quei giorni di fine aprile. Un Procuratore americano (Charles Rose, ndr), così, che poi fecero passare per pazzo, per alcolizzato, di cui non si è più sentito parlare, confermò di averlo incontrato… tra l’altro tutti gli appuntamenti di Falcone io li ho riscontrati tutti, uno per uno, sono tutti segnati, cioè non era uno che si segnava gli appuntamenti per darsi le arie… No, Falcone era precisissimo, era rigorosissimo. Voi controllatele ancora adesso, non c’è un solo dato di quell’agenda che non sia reale». Il 21 gennaio 2014 a testimoniare è Ilda Boccassini, il magistrato applicato per qualche tempo a Caltannissetta per indagare sulla strage di Capaci. E, per contro, del viaggio in America, dice che «questa visita, che poi fu, da questo punto di vista, verificato tutto da parte nostra sull’esistenza o meno, dando per scontato che il viaggio non c’era, ma era doveroso indagare anche in tal senso». E alla domanda di Fabio Repici, legale di parte civile di Salvatore Borsellino, risponde sicura che l’esistenza del viaggio in America di Falcone «era una menzogna».

L’argomento è insomma, oltre vent’anni più tardi, ancora oggetto di laceranti discussioni. Forse perché c’è un nodo che non si riesce proprio a sciogliere: Carlo Palermo parlò del viaggio di Falcone negli Usa tre giorni dopo la strage. Ma gli appunti che lo confermavano sull’agenda del giudice furono scoperti solo diversi mesi più tardi. Cioè diversi mesi dopo le sue dichiarazioni sul viaggio in America, questo era messo come appuntamento nero su bianco. Appuntamento di cui un altro magistrato americano era certo. Com’è possibile che entrambi sbagliassero? Prima di andarsene dal gruppo d’indagine Falcone-Borsellino in disaccordo con la gestione delle indagini sulla strage di via D’Amelio, Genchi propose così di verificare tabulati e carte di credito del giudice: avrebbero finalmente confermato o smentito il viaggio. Ma Ilda Boccassini, al Borsellino quater, dichiarerà che «l’atteggiamento del dottor Genchi rispetto soprattutto alla figura del giudice Falcone era, secondo me, non istituzionale e quindi, siccome non ritenevo che Giovanni Falcone dovesse essere oggetto lui di indagini, non… una ricerca ossessiva dei suoi tabulati, le carte di credito, i viaggi effettuati, etc., dissi a Tinebra (Giovanni Tinebra, all’epoca il procuratore di Caltanissetta subentrato a Celesti) che, considerato che avevamo sia la DIA, sia il gruppo Falcone – Borsellino, con dei ragazzi che erano diventati esperti nella analisi dei tabulati e tutto quello che era il supporto informatico, che avrei avuto difficoltà a continuare una collaborazione con la Polizia di Stato se fosse rimasto Genchi».

Agli atti dell’epoca non c’è però alcuna traccia scritta delle lamentele del magistrato su Genchi. C’è anzi una lettera di disappunto e sorpresa datata 25 maggio 1993 in cui Ilda Boccassini e il collega Cardella chiedevano al capo della Procura come mai Genchi – sintetizzerà al Borsellino quater il procuratore Sergio Lari –  che «appariva idoneo per le sue specifiche conoscenze tecniche e per la sua competenza a svolgere un ruolo di collaboratore, diciamo, nelle indagini per il processo di via D’Amelio, abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini».

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Le agende a confronto

Di fatto, dunque, sul viaggio di Falcone alla fine di aprile del 1992 ci sono due magistrati che parlano dell’esistenza e di un incontro con Buscetta. E un terzo magistrato che sostiene di averlo incontrato all’aeroporto di Vienna. Dall’altra, il passaporto. E soprattutto le dichiarazioni dell’Fbi al ministero della Giustizia. Infine, ci sono le agende. Ed è la parte più interessante. Si diceva, le agende sono due: una Sharp IQ-8200 e una Casio SF-9500. Tra le due esiste una sostanziale differenza: secondo la relazione stilata da Genchi e dall’ingegner Luciano Petrini (assassinato in casa il 9 marzo 1996, il killer non è mai stato trovato) la Casio era stata cancellata manualmente. Ed era escluso l’incidente. Chi lo abbia fatto e perché non si sa. Di sicuro non lo fece Cosa Nostra, così come Cosa Nostra non può essere entrata al ministero a cambiargli i files sul pc. Improbabile che a farlo fosse stato lo stesso Falcone: su entrambe le agende erano infatti appuntati i suoi impegni fino al mese di giugno 1992 inoltrato. Appunti quasi mai in contrasto: sulla Sharp alla data del 26 giugno c’è scritto “Valladolid conferenza”; sulla Casio, allo stesso giorno è riportato “Conferenza Valladolid”. E così, se si torna all’aprile del 1992, sull’agenda Casio – quella ritrovata cancellata – c’è un appuntamento con dei giapponesi per il giorno 27. Mentre, dal 28 aprile al primo maggio, il calendario recita:  28 aprile “Roma-Washington”, 29 aprile “USA – 19,30 ambasciata U.K. festa”, 30 aprile “USA”, 1 maggio “USA”. Per contro, sulla Sharp, ritrovata integra, al giorno 27 c’è sempre un appuntamento coi giapponesi, a dimostrazione della coerenza con cui Falcone prendeva appunti sulle due agende: “Giappone amb. viene”.

Ma poi, ecco la discrasia: lo stesso giorno 27 è previsto un viaggio a Vienna. Il 29 aprile è tracciato il ritorno Vienna-Roma, una sua presenza alla Commissione Disciplina e una cena da una persona. Poi dal 29 aprile non c’è alcun appuntamento fino al 4 maggio, lo stesso giorno in cui riprendono gli appuntamenti italiani sull’agenda cancellata: tolto il viaggio americano, le agende tornano a coincidere.

 

Le domande

Ora, ovviamente, se Falcone fosse partito per Washington il giorno 28, non avrebbe mai potuto presenziare alla commissione disciplina il giorno 29. Ma all’epoca delle polemiche nessuno ricordò alla stampa di una sua presenza lì a quella data: cosa peraltro facilmente verificabile e che avrebbe immediatamente chiuso il caso, senza che il dubbio restasse ancora oltre vent’anni più tardi al Borsellino quater. È il segno che non ci andò? E se non ci andò, dov’era? E perché, se restò in Italia, non c’è alcun appuntamento segnato tra il 29 aprile e il 4 maggio? …

Edoardo Montolli 

(L’ARTICOLO INTEGRALE CONTINUA SU CRIMEN 3, CHE TROVATE IN VERSIONE DIGITALE ANCHE QUI)

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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