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Il film “Yara” e la colpevolezza di Massimo Bossetti: ecco cosa non torna

Ho visto il film Yara di Marco Tullio Giordana. Esso sposa – legittimamente -la tesi dell’accusa nel relativo processo, conclusosi con la definitiva condanna di Massimo Bossetti quale assassino della giovanissima Yara Gambirasio.

Va riconosciuto che, nonostante questa impostazione, la pellicola non calca troppo la mano contro il reo. Più che una resoconto criminologicamente puntuale della vicenda, il film è un omaggio al magistrato, Letizia Ruggeri, che per identificare il colpevole ha puntato tutto – nonostante i dubbi e le resistenze di cui era circondata  – su una estesa ed innovativa indagine genetica, a partire dall’impronta di DNA trovata sugli indumenti della vittima.

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La dr.ssa Letizia Ruggeri in aula

Al centro della storia stanno, assieme alla Ruggeri, genitori di Yara.

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La magistrata e i coniugi Gambirasio vengono presentati come il “motore” della soluzione del caso, grazie al sostegno reciproco che si infondono durante l’indagine, anche per una spontanea sintonia  derivante dal fatto che la Ruggeri – non è chiaro se solo per finzione o anche nella realtà – ha una figlia coetanea della povera Yara,  a lei affine anche per gli interessi del tempo libero.

Il filone d’indagine relativo alle ricerche scaturite dalla famosa impronta genetica maschile di “ignoto 1” la fa da padrone. Il film tuttavia non trascura di esprimere un punto di vista riguardo agli altri elementi che hanno portato alla condanna di Bossetti.

Fedele alla linea  fin dall’inizio tenuta su questo controverso caso di cronaca nera ( vedi ad esempio l’intervento in forma di racconto “La leggenda del mostro muratore” ) rivolgerò particolare attenzione a questo aspetto.

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Secondo me, infatti, la cosiddetta “prova genetica”, ovvero il ritrovamento di una traccia del DNA di Bossetti sugli abiti della vittima, non è, come molti ritengono, la “pistola fumante” contro Bossetti.

A prescindere se le analisi per isolarla siano state correttamente condotte – come affermano accusa e giudici e la difesa continua a contestare – essa non dimostra nulla più che c’è stato un contatto tra cellule del corpo del condannato e della vittima. Ricavarne che Bossetti è l’assassino di Yara  è certamente plausibile, ma non sufficiente a stabilire la sua colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”, come recita l’art 533 del c.p.p.

La traccia genetica di Bossetti sui leggings della ragazzina non è una prova  ma un indizio. Ricordiamo che prova è l’evidenza di un fatto (come ad  esempio sarebbe un filmato  che riprendesse Bossetti mentre uccideva la povera Yara) mentre un indizio è il procedimento logico attraverso cui da  un fatto noto (l’appartenenza a Bossetti di una traccia genetica rinvenuta sul cadavere  di Yara Gambirasio)  si risale a un fatto ignoto ( l’uccisione di Yara da parte di Bossetti).

Questo procedimento darebbe vita a una prova se tra fatto ignoto e fatto noto esistesse un UNICO legame conseguenzialeCosì non è mai perché un fatto di norma può plausibilmente essere originato da molti altri.

Per tornare al caso della morte di Yara Gambirasio, non è imprescindibile che  l’impronta genetica presente sul cadavere della vittima appartenga al suo assassino. Essa potrebbe trovarsi lì per altri motivi, ad esempio, avercela messa il vero assassino a scopo di depistaggio. Non sembri assurda un’ipotesi del genere, se è vero che a Bossetti, per effettuare un confronto tra il DNA di ignoto 1 e il suo, è stato prelevato a sua insaputa un campione di saliva, un’ operazione non  particolarmente complicata da realizzare.

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In ambito giudiziario, gli indizi si chiamano “presunzioni” ( art. 2727 Codice Civile), e sono rimesse al prudente apprezzamento del giudice. Rendendosi conto che esse, basate su una supposizione e non su un’evidenza, mantengono sempre un margine di arbitrarietà,  la legge  stabilisce che  debbano essere chiare, precise e concordanti.

Ovvero:

  1. il legame tra fatto ignoto e fatto noto deve essere linearmente desumibile;
  2. una sola presunzione non può bastare  ma devono essere una pluralità;
  3. Le presunzioni devono andare – tutte, o almeno la maggior parte-  nella stessa direzione.

E’ noto che , a parte l’indizio genetico (in base a quanto sopra va più propriamente chiamato così), gli altri indizi a carico di Bossetti sono tutti poco convincenti.

Vediamone alcuni.

  1. il cellulare di  Bossetti la sera del crimine. L’ultima telefonata del condannato, è delle 17.45, poi il telefono rimane disattivo fino alla mattina . L’ultima cella che aggancia è quella di via Natta a Mapello, località dove poi sarà ritrovato il corpo di Yara. Da alcune intercettazioni successive emerge che quella sera rientrò a casa più tardi del solito. Tuttavia, la difesa ha avuto facile gioco a dimostrare che i cellulari presenti nella zona possono agganciare indifferentemente le varie celle, senza che necessariamente debbano trovarsi in prossimità, qualunque cosa questo possa voler dire, di quella che risulta agganciata. Di vero c’è solo che il condannato si trovava nel circondario, ma ciò era la normalità, visto che quello era  la sua zona di residenza.;
  2. Il furgone di Bossetti. Gli accertamenti sulle telecamere della zona mostrano il furgone di Bossetti in un orario compatibile con l’uscita di Yara dal centro sportivo, ma questo fatto, oltre ad essere normale, come sopra, non ci dice poco considerato anche che non esiste un avvistamento del furgone vicino al centro sportivo.
  3. le fibre tessili. Sul corpo della vittima sono state trovate  fibre compatibili con la tappezzeria dei sedili del furgone di Bossetti. Trovate anche sferette metalliche riconducibili a chi lavora nell’edilizia. Tuttavia quelle fibre non sono esclusive del furgone di Bossetti, trovandosi comunemente in altri automezzi. Anche le  sferette sono un elemento comune in edilizia.
  4. le ricerche sospette sui siti porno. Su un computer di casa Bossetti sono state trovate  ricerche relative a ragazze o ragazzine con “vagine rasate”.  Bossetti non aveva l’esclusivo utilizzo di quell’apparato, e sua moglie ha dichiarato che loro due insieme, o anche da soli, si divertivano a guardare immagini pornografiche, attività discutibile ma non vietata. Quanto alla preferenza per “vagine rasate” rientra tra i privati, leciti gusti sessuali. Peraltro, tutte le attrici – e gli attori! – dei film pornografici depilano la zona genitale per ragioni sia igieniche che estetiche. E’ appena il caso di notare che prediligere organi sessuali femminili “imberbi” non può essere considerato, di per sé, sintomo di perversione criminale

Alla scarsa consistenza degli indizi confermativi della tesi accusatoria, si accompagna la maggior solidità di almeno tre indizi a discarico.

Eccoli:

A) Bossetti nella sua vita trascorsa non ha mai dato il benché minima segno di essere attratto sessualmente da fanciulle, né tantomeno risulta aver concretamente insidiato questa categoria di persone;

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B) poiché la visita di Yara alla palestra di Brembate, la sera del crimine, era pacificamente occasionale e non prevista, è inspiegabile come Bossetti abbia potuto, a meno di ipotizzare una alquanto improbabile “fortunata” coincidenza , trovarsi  all’uscita dal complesso sportivo pronto per aggredire la ragazzina, non avendo mai avuto alcun rapporto di conoscenza con lei;

C) se Bossetti e Yara non si conoscevano, non si spiega come la ragazzina possa essere salita sul mezzo di uno sconosciuto per farsi dare un passaggio, superfluo visto che la distanza tra la palestra e casa sua era minima. A rendere poco credibile questa ipotesi, contribuisce il fatto che l’aspetto di Bossetti, e più ancora il suo mezzo, un furgoncino di lavoro, non invogliavano certo ad accettare il passaggio.

 

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Il centro sportivo di Brembate

Tornando al film, a un certo punto, la sceneggiatura mette in bocca al magistrato inquirente un’interessante risposta al problema posto dal punto A) (come mai Bossetti non ha mai tradotto in precedenza in atti concreti la  sua attrazione per ragazzine in età puberale)

L’interprete della dottoressa Ruggeri suggerisce che l’esame del cadavere della vittima dimostrerebbe che l’aggressore fosse, per dir così, alle prime armi del suo comportamento aberrante.

Infatti, sarebbe chiara la sua incertezza e impreparazione di fronte  alla resistenza opposta dalla sua vittima alle sue voglie sessuali,  portandolo a reagire con una violenza sproporzionata che avrebbe compromesso il progettato stupro.

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In effetti, ipotizzare l’improvvisa esplosione di una pulsione fino ad allora repressa è l’unica strada per far quadrare le cose. Rimane tuttavia difficile credere che questa insana propensione del condannato verso le ragazzine possa essere rimasta sconosciuta e sopita fino a quella tragica serata del novembre 2010. Non possono certo bastare, per indicarne con sicurezza l’esistenza – come indica la magistrata della finzione cinematografica in un altra scena del film- le citate ricerche pornografiche in rete di Bossetti.

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Un immagine di furgone come quello di Massimo Bossetti ritratto da telecamere di Brembate

La pellicola, in altri passaggi, sembra suggerire, se non dare per scontato, che Bossetti nei mesi precedenti al crimine girasse intorno al Centro Sportivo di Brembate, anche a bordo del suo furgone, per adocchiare,  all’entrata o all’uscita, le fanciulle che lo frequentavano.

Va detto che questa circostanza non ha mai trovato conferma né nel corso delle indagini, né in sede processuale.

Il film sorvola totalmente, sia nel raccontare con le immagini questo evento sia in alcuni dialoghi tra i personaggi, di approfondire i problemi posti dai punti B) e C), confermando ulteriormente che si tratta di scogli ostici per la tesi accusatoria.

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Io continuo a rimanere perplesso che Bossetti, come si deve necessariamente supporre se si accetta il verdetto di condanna, abbia colto al volo l’occasione di insidiare Yara mentre si trovava a passare per caso vicino al Centro sportivo di Brembate, e che la ragazzina abbia accettato di salire su un furgone impolverato con retro scoperto, condotto da un uomo in abiti da muratore, per compiere un breve tragitto che una giovane atleta allenata come lei era abituata a coprire in pochi minuti.

Le immagini del film mostrano che al momento della sparizione di Yara cadeva pioggia mista a neve, circostanza confermata dai bollettini meteo dell’ epoca, ma non crediamo che nemmeno questo fosse un motivo valido per indurre Yara  a salire sul furgone fatale per farsi accompagnare a casa.

Rino Casazza 

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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