Casazza ReportCulturesocietà

Sherlock Holmes tra ladri e reverendi: tornano due grandi partners del detective di Baker Street

Due capitoli in esclusiva

(continua dopo la pubblicità)
(continua dopo la pubblicità)

 

Uscito in edicola per i Gialli di Crimen ( acquistabile qui on line) è adesso disponibile anche in ebook per Algama “Sherlock Holmes tra ladri e reverendi”, che raccoglie due romanzi brevi “apocrifi” in cui Holmes incrocia nuovamente la propria strada con altre due colonne della letteratura gialla: Arsène Lupin, il ladro gentiluomo creato da Maurice Leblanc, e Padre Brown, il prete detective partorito dalla fantasia di G.K. Chesterton.

 

Dopo una  parentesi in cui, nella collana di apocrifi lanciata da Teaser Lab e da Algama, è stato  protagonista, come contraltare di Sherlock Holmes, soprattutto Auguste Dupin, il primo detective della narrativa poliziesca uscito dalla penna di E.A. Poe, nel volume n° 20 tornano a confrontarsi col detective di Baker Street il suo avversario più insidioso, Arsène Lupin e il suo collega più sapiente, Padre Brown.

Lupin, dopo un fugace ma significativo incrocio con Holmes nel racconto “Sherlock Holmes contro Arsène Lupin; primo round”, pubblicato nel volume 19 della serie, Sherlock Homes, Auguste Dupin e la fine dello squartatore” questa volta impegna Holmes in una sfida più complessa e ardua, in Normandia, a Le Havre, sfidandolo a impedirgli di rubare un  super protetto capolavoro della pittura fiamminga, il “Tondo di Van Eych”.

Padre Brown, dopo aver collaborato con Holmes a risolvere un caso di sospetto vampirismo in Italia, a Bergamo ( vedi il numero 13 de I gialli di Crimen “Sherlock Holmes, Padre Brown e l’ombra di Dracula”) chiede al suo collega londinese di affiancarlo in un’inchiesta ancora più spinosa: in un convento sul lago di Como due religiosi sono stati uccisi con un morso alla gola sferrato da fauci lupesche. L’ipotesi che siano vittime di un licantropo sembra concreta.

I rapporti tra Holmes e Lupin, e tra Holmes e Padre Brown sono condizionate dalle  forti personalità dei  personaggi.

Holmes  e Lupin sono entrambi convinti di essere nel giusto nell’adoperare le loro notevoli capacità intellettuali a pratiche l’uno a tutela della legge, l’altro per infrangerla. La loro è una tenzone per stabilire chi, seppure in campi contrapposti, è il migliore.

Holmes è il paladino del rigore logico e di un approccio empirico alla detection, mentre Padre Brown, considerando il colpevole un peccatore, presta un’ attenzione prevalente alle motivazioni psicologiche che spingono al crimine.

Di seguito due capitoli.

Da: “SHERLOCK HOLMES CONTRO ARSENE LUPIN: IL TONDO DI VAN EYCK”:

Visita a palazzo

Le Havre, “Palais de la lance et du blé”, 13 giugno 1908, mattina

«L’edificio si chiama  “Palais de la lance et du blé”» disse la contessa Dorothée « a sottolineare le due vocazioni del casato: quella militare, ormai sopita col tramonto dell’epoca dei condottieri, e quella agricola, che ha visto i possedimenti dei Demas de la Lance Lumineuse primeggiare in Normandia nella coltivazione dei frutti della terra. Purtroppo negli ultimi tempi anche questa tradizione si sta perdendo…»

Non c’era bisogno di  maggiori dettagli per comprendere che le tenute di famiglia avevano dovuto essere dismesse una dopo l’altra, inesorabilmente, per far fronte ai debiti. Una parte cospicua, c’era da scommetterci, se l’era accaparrata Hugues Barbier.

Holmes e Watson si rendevano conto che alla rovina economica del casato non aveva contribuito solo l’avidità di tale personaggio, ma molto avevano pesato le manchevolezze e gli errori del conte Apollinaire.

Watson se lo immaginava come un gran signore colto e raffinato, ma con le mani bucate. Sicuramente nell’affanno di rimediare al dissesto aveva preso iniziative improvvide, peggiorando la situazione.

Una cosa era certa: dalla bocca della contessa non sarebbe uscita una sola critica nei confronti del marito. Non per salvaguardarne la memoria, ma per  convinzione che fosse vittima di spregiudicati approfittatori.

Oltrepassato il portone, Holmes e Watson si trovarono di fronte a uno scenario che suscitava sentimenti contrastanti:  ammirazione da un lato,  senso di squallore dall’altro.

Il salone d’ingresso era ampio e arioso, rischiarato dalla luce del giorno che entrava dalle alte vetrate che contornavano il soffitto a cupola.

A colpire più di tutto era lo scalone monumentale a doppia elica che portava ai piani superiori.

Dopo il primo colpo d’occhio, tuttavia, la magnifica impressione  si dissolveva.

Non era l’intonaco sbiadito a rovinare l’effetto, e nemmeno gli affreschi della volta, stinti e con zone completamente scolorite, bensì un particolare davvero deprimente.

La penuria di arredi, limitati a un comò,  alcune sedie e un grande dipinto dalla cornice malandata, si accompagnava a innumerevoli aree più scure sulle pareti, indicanti che lì, in un tempo non molto lontano,  stavano oggetti poi rimossi senza ritinteggiare, tutti pezzi di arredamento che s’indovinavano di bellezza e valore degni del luogo.

Analogamente, zone opache sul pavimento istoriato segnalavano la passata presenza di tappeti di gran pregio.

Watson considerò, con pena, che il conte Apollinaire si trovava con l’acqua alla gola più di quanto avessero ritenuto. 

Preparata al trauma dei visitatori, la contessa Dorothée per sdrammatizzare  si rivolse a loro con garbata autoironia.

(continua dopo la pubblicità)

«Sì, lo so che questo salone sembra un’albero spogliato dall’inverno, ma dovete convenire che  l’eccesso di arredamento ha il difetto di comprimere lo spazio abitabile…»

S’intuiva che, sotto il velo, la donna sorridesse amara.

Watson, a disagio, imitò Holmes nel rimanere muto.  In effetti era difficile trovare un commento adeguato.

A superare lo stallo contribuì la comparsa, in alto,  sullo scalone, di una figura femminile in nero, seguita subito da un’altra. 

«Ecco le mie figliuole, Astrelle e Coralie! » esclamò la contessa «Scendete, scendete pure ragazze. Voglio presentarvi questi signori inglesi! »

Gli abiti da lutto con velo delle due sottolineavano scenograficamente la maestosità della balaustra.

Le ampie gonne a campana imponevano alle giovani rampolle, nello scendere, un’austera lentezza. 

Watson non potè fare a meno di provare un senso di irrealtà, ed effettivamente l’immagine di quelle tre donne dal principesco abbigliamento luttuoso in una dimora in sfacelo era a dir poco inconsueta.

Per l’attitudine delle eredi Demas a rimanere un passo indietro in presenza della madre, quest’ultima monopolizzò i convenevoli.

La contessa magnificò agli ospiti le virtù delle ragazze, elogiando di fronte a queste la squisita educazione e la sensibilità degli ospiti. 

(continua dopo la pubblicità)

Il discorso presto andò all’omaggio floreale portato da Holmes e Watson.

«Vostro padre sarà felice » sottolineò la contessa «di questo pensiero da parte dei nostri amici londinesi! » 

«E’ un grande onore per noi che lei ci conceda la sua amicizia!» replicò Watson, cerimoniosamente «Vero Ralph?»

Anche se il dottore non aveva inteso richiedere un intervento più attivo da parte di Holmes, finora fedele al suo ruolo defilato, per la prima volta il malinconico “Ralph” uscì dal suo mutismo. 

«Sì… Stavo osservando quel quadro.» disse, indicando l’ultimo dipinto sopravvissuto all’emorragia di arredi che aveva colpito il salone «Ritrae il conte Fridolin Gaspard, vero?»

«Ottima osservazione, signor Stone! Ma vi prego, venite a osservarlo più da vicino.»

La contessa si mosse verso il quadro, di notevoli dimensioni, sia in altezza che in larghezza. Raffigurava un uomo di poderosa stazza, dallo sguardo severo, coperto da una bardatura militare quattrocentesca. Stava impettito in cima a una collina  affacciata su un tratto di costa col mare tempestoso sotto il cielo scuro. In un angolo, in lontananza, appariva il profilo inconfondibile delle “falesie di Étretat” 

«Non è un capolavoro, anche se io lo trovo ben riuscito.» spiegò la contessa «L’autore è Cesar Boyer, un artista minore coevo del nostro illustre antenato. Comunque, anche se avesse avuto un’alta quotazione commerciale, mio marito non l’avrebbe mai ceduto, ed io sono dello stesso parere.»

Watson ne dubitava. Lo stato di bisogno della famiglia indicava che presto sarebbero stati costretti a rivolgersi al banco dei pegni per monetizzare oggetti di ben minor valore… 

Holmes/Stone si era accostato al dipinto per esaminarlo con attenzione.

«Mi par di capire» commentò, senza mutare la sua finta espressione triste «che quest’opera ha un grande valore affettivo per il casato..»

Il fare spento richiesto dalla parte lo aiutava a parlare con flemma, scegliendo e scandendo bene le parole del suo francese un po’ abborracciato.

«Può ben dirlo! Vero ragazze?» Le figlie annuirono. «Il conte Fridolin Gaspard è stato un membro eminente della dinastia. Non è un caso che un pittore famoso come Van Eyck abbia accettato di dipingere un quadro per lui, per giunta a soggetto solo paesaggistico, caso insolita per un ritrattista eccelso come l’artista fiammingo. Certo il Conte Fridolin Gaspard, al tempo uno degli uomini più ricchi di Francia, l’ha generosamente ricompensato, ma credo che Van Eyck sia rimasto soprattutto affascinato dalla personalità eccezionale del committente…»

«Se non sbaglio» notò Holmes/Stone «I due dipinti hanno in comune un dettaglio del panorama.»

«Verissimo!» assentì la contessa  «E’ raro incontrare qualcuno così preparato in storia dell’arte, signor Stone! Sia nel “Tondo” che nel ritratto del conte Fridolin Gaspard compare un scorcio delle “falesie di Étretat”. Per questo motivo le opere stavano l’una vicino all’altra. Vede lì?» e indicò sulla parete, a sinistra del grande ritratto, un’impronta tondeggiante più scura.

«E’ un vero peccato non poter ammirare quel capolavoro!» disse Holmes/Stone «Magari è esposto da qualche altra parte qui a Le Havre…»

«Le toccherà tornare, signor Stone, e mi auguro vivamente che lo faccia,  per il piacere di poterla incontrare di nuovo.  Nel prossimo futuro,  il “Tondo”  entrerà a far parte della collezione del “Abbey Museum Graville”.  Per ora è assolutamente inaccessibile, ed anzi blindato. »

Non sfuggì a Holmes una sfumatura polemica in quest’affermazione.

«Ah…»

«Comprendo la sua sorpresa, signor Stone, dopo aver visto che, fino a poco tempo fa, il “Tondo” era appeso tranquillamente a questa parete, senza protezione di sorta, visionabile da tutti i nostri ospiti, nonché dagli amatori che, previo appuntamento, ne facessero richiesta.»

«Già…»

«Posso affermare con orgoglio che, finché è rimasto qui, a casa sua, nessuno avrebbe ardito metterci le mani sopra. Sarebbe stato uno sfregio alla storia gloriosa della Normandia»

«E’ possibile sapere dove si trova adesso?» chiese Watson/Durbridge.

«Sarò lieta di soddisfare la sua curiosità, ma prima mi consenta di sistemare il vostro mazzo di fiori nel posto più proprio. Per cortesia, Astrelle, puoi andare a riempire d’acqua uno dei vasi che stanno in cucina?» Mentre la figlia si allontanava prontamente verso una porta laterale, aggiunse con la solita ironia amara: «Per fortuna vasi e acqua non ci mancano. Almeno per il momento.»

Di nuovo Holmes e Watson non riuscirono a trovare una replica adatta. Astrelle ricomparve quasi subito nel salone con  il vaso in mano.

«Bene, cara!» la ringraziò la contessa, facendosi incontro per prenderlo.

Con gesti sicuri ed eleganti vi collocò dentro il bouchet, andando a posarlo sul pavimento, all’incirca a metà strada tra il fianco sinistro dello scalone e il ritratto dell’antenato.

Watson capì che quello doveva essere il punto dove giaceva il cadavere del Conte Apollinaire. 

Alzatasi, infatti, la contessa si fece il segno della croce, così come le figliole e, per spontanea imitazione, anche i due amici londinesi.

Per la verità Watson trovava discutibile quel rituale funerario. Rimaneva dell’idea che i fiori dovessero stare sulle tombe. 

Avrebbe avuto la curiosità di conoscere più in dettaglio le circostanze della morte del Conte, ma si astenne dal fare domande.

Non gli sfuggì tuttavia che Holmes, dal momento della sistemazione del vaso floreale, incominciò a indirizzare sguardi interessati verso la balaustra dello scalone, che li sovrastava di cinque/sei metri.

Capì .che il suo amico era già informato sulla dinamica del suicidio, rabbrividendo al pensiero che il Conte si fosse tolto la vita gettandosi nel vuoto da lassù.

«Torniamo al “Tondo”, signor Durbridge,» riprese la contessa «In questo momento è conservato nella residenza dell’attuale proprietario: l’esimio signor » di nuovo una sottolineatura spregiativa «Hugues Barbier. Facilmente individuabile: è un vistoso ancorché sgraziato palazzone su un piccolo promontorio sul mare in Avenue Amiral du Chillou, al quartiere del Porto.» 

«Mi perdoni, contessa» fece Watson/Durbridge, mentre Holmes/Stone era decisamente più intento ad esaminare lo spazio tra il fianco dello scalone e il vaso di fiori « se continuo a non capire perché, come ha detto prima alludendo a speciali misure di sicurezza, il “Tondo” sarebbe “blindato”. Si tratta , sempre secondo la sua illuminante spiegazione, di un simbolo della grandezza normanna, venerato con orgoglio dalla cittadinanza di Le Havre.  Per di più a breve sarà ceduto a un museo locale, permettendo di esaltare questa funzione… Chi potrebbe volerlo rubare? »

«Già, chi? » fece eco la contessa. Una pausa, poi: «Lei dimentica che la nostra terra » aggiunse «vanta, tra i suoi molti primati, anche quello -discutibile non lo nego – di aver dato i natali al più grande ladro della storia. Avete mai sentito parlare di Arsène Lupin?»

«No.» mentì Watson. Secondo copione Holmes tacque senza mostrare interesse. «Comunque,» aggiunse il dottore, mi chiedo come mai, se questo Pulin…»

«Lupin» corresse la contessa.

«… questo Lupin, scusi, è un’eccellenza nell’arte del furto, non ha approfittato a impadronirsi del “Tondo” quando era più facile farlo…»

«Si vede che lo lo conosce! Pur essendo un malvivente, Lupin ha un’etica ben precisa, che gli è valsa il soprannome di “ladro gentiluomo”. Non avrebbe mai portato via ai Demas de la Lance Lumineuse il “Tondo”. »

«Ah… e cosa fa pensare al possessore attuale del quadro che, invece, lo porterà via a lui?» seguitò a domandare Watson/Durbridge, fingendosi ignaro. 

«Semplice: secondo il suo uso a metà tra il cavalleresco e il provocatorio, Lupin ha annunciato al signor Barbier che lo priverà del “Tondo”. Pare gli abbia inviato un biglietto di sfida autografo.»

Watson non poté che compiacersi, per l’ennesima volta, della perspicacia del suo amico: Holmes aveva azzeccato tutto.

Evidentemente Lupin voleva prendere tre piccioni con una fava: compiere un furto sensazionale, punire un individuo spregevole riparando a un torto, e sconfiggere “il miglior investigatore del mondo”.

La visita al Palais volgeva al termine. La contessa, seguita dalle disciplinatissime figliole, accompagnò i due ospiti fin sulla sommità della scalinata d’ingresso, dove il valletto continuava a vigilare con solennità di  statua vivente. 

Holmes e Watson salutarono con un inchino la padrona di casa e le figlie.

La contessa volle dedicare un commiato ad entrambi.

«Le auguro un buon proseguimento di vacanza, signor Durbridge! Altrettanto a lei, signor Hol…, pardon: Stone.»

 

DA “SHERLOCK HOLMES, PADRE BROWN E IL MANNARO DEL LARIO:

Morte inspiegabile

Strada rivierasca tra  Como e Cadenabbia,  20 giugno 1914, mezzodì.

Il calesse procedeva sull’angusta via litoranea, fra selvaggi tratti deserti e piccoli borghi affacciati sull’acqua.

La calda giornata, con la sua limpida luce ad esaltare lo scenario di quel lago serpeggiante, incuneato tra i monti e stretto tra due sponde vicine come se si trattasse di un maestoso fiume, faceva da contrasto col cupo racconto dell’Abate.

«L’assenza di fratel Pio alle laudi mattutine, alle sei, ha fatto subito temere un malore notturno. Pio Aveva passato i cinquanta, e da qualche tempo era parecchio affaticato, tanto che l’avevo esentato dal lavoro dei campi.»

«Immagino non oziasse…» fece Holmes.

«Certo che no. Aiutava i fratelli che si occupano della mensa.»

«Ho capito» interloquì Padre Brown «Secondo una divisione di compiti basata sul sesso, i monaci “casalinghi” maschi preparano i pasti e le loro consorelle si occupano delle pulizie…»

A Watson parve di intuire che il Padre non approvasse troppo questo tipo di specializzazione, dietro cui si nascondeva una disistima delle qualità muliebri. Per quanto lo riguardava, pur ammirando la bellezza e la grazia femminili, non vedeva di buon occhio il movimento per la parità tra uomini e donne, portato in quel periodo alla ribalta dalle chiassose rivendicazioni delle “suffragette”.

L’abate confermò l’osservazione di Padre Brown. «Esatto.  Sono andato subito a bussare alla cella di Pio.» proseguì «e…»

«Le spiacerebbe spendere qualche parola sulla posizione dell’alloggio personale di fratel Pio?» chiese Holmes.

«La accontento subito. La forma dell’Abbazia è rettangolare, con un chiostro al centro. Su uno dei lati corti c’è l’ingresso e su quello di fronte la cappella e il refettorio. I lati lunghi, a destra e a sinistra dell’entrata, ospitano, rispettivamente, la parte maschile, e femminile del convento. La cella di fratel Pio si trovava nell’ala estrema, vicino al refettorio.»

«Un’altra domanda.» aggiunse Holmes. « Lei ha indicato le suddivisioni interne dell’edificio, a cui ne va aggiunta una, immagino, riservata alle attività sartoriali delle suore.»

«Vero. Si trova sull’ala sinistra, vicino alla cappella. È contigua al locale per la lavanderia.  Ho omesso anche di menzionare le pertinenze esterne alla struttura, in cui sono immagazzinati gli strumenti agricoli e tutti gli altri materiali per la coltivazione.»

«Naturalmente. Quello che mi interessa sapere è se tra i vari locali interni, come ad esempio la “zona notte”, chiamiamola così, maschile e il refettorio, c’è libera circolazione.»

«Lei ha messo il dito nella piaga, signor Holmes. All’Abbazia, almeno fino a che non ci è calata addosso questa sventura, non sono mai esistite porte chiuse…»

«Lo immaginavo.» fece Holmes.

«Mi fa piacere» notò Padre Brown, rivolto al “collega” laico «che lei, nonostante questo dettaglio complichi l’indagine, non sia stupito, e tantomeno deplori, che in una residenza abitata da personale consacrato al Signore sia bandita ogni precauzione, normale in altri contesti, verso accessi impropri o non graditi a determinati ambiti. Frati e suore non possono avere nulla da temere gli uni dagli altri. Un convento con lucchetti e zone protette sarebbe una contraddizione in termini.»

«Se ben interpreto» s’intromise Flambeau, sensibile a quell’argomento per la pratica di ladro svolta nella prima parte della sua vita «neppure le porte delle celle sono chiuse a chiave.»

«Dice benissimo» confermò l’Abate. «Anche se, ahimè, avrei preferito il contrario…»

«Come darle torto?» commentò Watson« Così forse fratel Pio sarebbe scampato al “mannaro”!»

«C’è un equivoco, John.» corresse Holmes «Frate Pacifico si riferisce al fatto che, se non avesse potuto liberamente aprire la porta della cella di Frate Pio quando è andato a verificare il motivo della sua assenza dalle Laudi…»

«…si sarebbe risparmiato il trauma improvviso e dolorosissimo» gli tolse la parola di bocca Padre Brown «che ha subito la mattina di giovedì.»

«Proprio così! Non me lo dimenticherò mai. A trovarlo esanime, o addirittura morto, ero preparato, non allo scempio che avevano fatto di lui. Giaceva sul pavimento con la gola squarciata. Una volta nella mia vita mi è capitato, ahimè, di vedere un bambino assalito alla gola da un cane, ma il morso che ha ucciso fratel Pio è qualcosa di mostruoso, signori miei!»

«Mi perdoni ma, pur con tutto il rispetto» replicò Holmes «per la gravità della perdita subita da lei e dal convento, io preferisco le descrizioni ai giudizi…»

«Alla descrizione sarei arrivato. Il morso animalesco che ha spento la vita di fratel Pio proveniva da fauci così grandi e con dentatura così possente che la testa era quasi del tutto staccata dal collo.»

Solo Holmes fu in grado di superare subito l’impressione suscitata dal racconto, commentando: «Bene. Cioè male…Ci troviamo di fronte a un decesso istantaneo come tutti quelli che avvengono per decapitazione. Peccato non poter esaminare il cadavere…»

«Non so se è un peccato o una fortuna.» fece Padre Brown «Del resto, non si poteva pensare che dei monaci, una volta deciso di tenere nascosta al mondo l’improvvisa scomparsa di un loro confratello, ne omettessero una cristiana sepoltura.»

«In caso di delitti io sono abituato ad altre procedure, più irriguardose verso il defunto ma più utili per accertare le cause della morte e scoprirne l’autore…Ma va bene lo stesso. Prendo atto di questo morso bestiale, sia come provenienza che come modalità.»

«Sono così convinto che l’ispezione dei cadaveri, in questa indagine, non aiuti, che per me i nostri amici benedettini avrebbero potuto seppellire anche la seconda vittima…»

Il Padre alludeva che, invece, il corpo di costei, una monaca uccisa tre notti prima, era stato tenuto a loro disposizione. Era stata conservata intatta, in ossequio alle corrette procedure investigative citate da Holmes, tutta la scena del crimine, una cella sull’ala sinistra dell’edificio.

«Il suo disinteresse per le prove materiali è noto, Padre» fece Holmes. «Lei predilige sviscerare il lato umano dei crimini.»

«Questa volta è diverso. Sento una particolare difficoltà, se non addirittura l’impotenza, a trovare una soluzione…»

«Vedremo. Io rimango fedele al detto “mai fasciarsi la testa prima di essersela rotta”.»

«Certo. Ho deciso di condividere con lei il caso soprattutto perché non se la rompe mai, né all’inizio né alla fine di un’indagine…»

Ancora una volta, se un altro collega gli avesse rivolto un simile elogio, a Holmes sarebbe venuto il sospetto di un sottofondo malizioso. Padre Brown era invece lontano dalle miserie della rivalità.

Per questo la sua sfiducia, quasi fatalistica, nei propri mezzi, eccezionali come ben sapeva, dava da pensare.

Ma adesso bisognava bandire ogni perplessità, condizione imprescindibile per portare avanti un’inchiesta con efficacia.

«Tornando alla scoperta del primo delitto, Frate Pacifico,» proseguì «di cui possiamo conoscere i dettagli solo “de relato”, vorrei chiederle se il pensiero suo e dei suoi confratelli è andato immediatamente a una creatura “demoniaca” come un “lupo mannaro” solo per l’eccezionalità della ferita mortale.»

Intervenne di nuovo Padre Brown. «Lei pensa che ci fosse un’altra possibilità? Nessuno dei monaci, e tantomeno delle monache dell’Abbazia ha una bocca in grado di dare morsi di quella sorta. Si poteva pensare a un vero e proprio lupo ma, a parte il fatto che un scelta così mirata della vittima non è nelle prerogative di un animale, avrebbe dovuto lasciare tracce del suo passaggio, che mancavano totalmente.»

«Confermo» fece fratel Pacifico «È apparso subito chiaro che doveva aver ucciso fratel Pio qualcuno passato velocemente da una forma umana ad una animalesca, e viceversa.»

«Mi riservo di verificare sul campo l’effettiva impossibilità di un intervento da parte di soggetti esterni al convento.» replicò Holmes «Anche considerando scontato, per il momento, che l’assassino sia un monaco affetto da licantropia, qualcosa non torna.»

«Già…» convenne il Padre, pensieroso.

«Mi sono documentato sulla materia,» proseguì Holmes, «molto  interessante anche se priva di addentellati scientifici, a parte il caso, peraltro anch’esso raro e controverso, della cosiddetta “licantropia clinica”…»

«Questa, se permette la conosco bene,» intervenne Watson « e posso assicurare che non c’entra nulla!»

«E’ appunto ciò che stavo per dire, John.» si spiegò prontamente Holmes «Secondo la medicina ci sarebbero individui, malati di mente, che credono di essere lupi, e si comportano come tali, pur non acquistandone mai le sembianze. Posso essere portati a mordere ma la conformazione della loro bocca rimane umana. Nessun dubbio che noi ci troviamo di fronte a un caso di “licantropia stregonesca”, in cui un incantesimo malvagio induce una  vera trasformazione da uomo a lupo. »

Una pausa, in cui tutti pendevano dalle sue labbra , tranne Padre Brown che mostrava di aver capito.

«Tutte le forme di licantropia, anche quella di interesse medico – John me ne è testimone – dipendono dall’influenza lunare. Ovvero si diventa lupi mannari nella fase di plenilunio.»

«In questo periodo sul lago di Como, di notte, c’è luna piena…» precisò fratel Pacifico.

«Lo sappiamo bene.» riprese Holmes.«Dal punto di vista del calendario lunare siamo a posto. Ma i licantropi originati dalla magia nera, ovvero quelli effettivamente “mutaforma”, sono di due tipi. I mannari che, contro la loro volontà, all’apparire della luna piena, diventano veri lupi e come tali  si comportano, assalendo prede e mordendole con fauci animalesche. Per riacquistare forma e istinti umani, costoro devono attendere che la luna diventi “calante”. Ci sono poi i mannari che,  nella fase di plenilunio, probabilmente anche di giorno, possono a piacimento entrare e uscire da sembianze di lupo..»

«Sembra il nostro caso…» notò Flambeau.

«Grazie del suggerimento, ma c’ero arrivato, Laurent.» lo rimbeccò Holmes «La tradizione è chiara: i mannari del primo tipo sono coloro che, sopravvissuti all’aggressione di un licantropo, si ritrovano addosso la maledizione di diventare, loro malgrado,  lupi nelle notti di plenilunio; i mannari della seconda specie sono coloro che, per volontario patto col Maligno, acquisiscono lo stimma della licantropia.» Altra pausa per far assorbire lo shock che sempre procurava parlare di seguaci satanici. «Ora mi chiedo e vi chiedo: è credibile che qualcuno , dopo aver dedicato tutto se stesso al Signore, come un frate o una suora, faccia marcia indietro, votandosi al Maligno? E soprattutto: quando e come un frate o una suora può aver effettuato l’abiura, che richiede la conoscenza di altri scherani demoniaci, e complesse cerimonie di magia nera?»

Rino Casazza 

Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI

Quando i lettori comprano attraverso i link Amazon ed altri link di affiliazione presenti sul sito - nei post in cui è presente un prodotto in vendita - Fronte del Blog potrebbe ricevere una commissione, senza però che il prezzo finale per chi acquista subisca alcuna variazione.

Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Pulsante per tornare all'inizio
Chiudi

Adblock rilevato

Per favore, disattiva il blocco della pubblicità su questo sito, grazie