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Una sentenza di tribunale mette a nudo i vizi di illegittimità dei DPCM del governo Conte

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In un recente pronunciamento del Tribunale di Pisa vengono alla luce le criticità giuridiche, segnalate da più parti, sottostanti ai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che hanno scandito il tempo della pandemia. Con alcune novità, che sono destinate a far discutere, sulle condizioni per la legalità di una quarantena obbligatoria.

 

 

In un post dello scorso maggio, Coronavirus, i DPCM del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sono incostituzionali?”, avevamo evidenziato come i famosi provvedimenti, i c.d. DPCM “pandemici”, adottati dal Presidente del Consiglio in carica durante la fase più critica del contagio da Covid-19,  non fossero ben confezionati dal punto di vista tecnico-giuridico, e ci fosse quindi la  possibilità che non reggessero di fronte a ricorsi giudiziari di singoli cittadini refrattari alle limitazioni della vita sociale e della libertà individuale che quei provvedimenti disponevano.

Sottolineiamo che non era, né poteva essere, vista la drammatica situazione sanitaria del Paese, in discussione il merito di quelle limitazioni. Che per impedire il diffondersi del pericolosissimo contagio fossero necessarie  misure drastiche, il cosiddetto  “lockdown”, è indiscutibile. Semmai, come dimostrano le cause intentate dai parenti delle vittime del virus, soprattutto nel bergamasco, si potrebbe dire che queste misure non sono state sufficientemente drastiche.

In dubbio è la legittimità formale, ovvero la corretta formulazione di quei provvedimenti. Potrà sembrare stano che siano “malfatti” gli atti normativi di un governo presieduto da un esperto avvocato e professore universitario di diritto, eppure è così.

Senza scendere in complicati dettagli giuridici, il punto debole nel sistema dei DPCM, sottolineato nel  nostro post, stava nel decreto legge ( n° 6 del 23 febbraio 2020, convertito in legge il  5 marzo successivo) che delegava al Presidente del Consiglio il potere di emanare provvedimenti straordinari per contrastare la pandemia. Il contenuto della delega, troppo generico, contrastava con le norme costituzionali, che consentono a un regolamento amministrativo ( i DPCM appartengono a questa categoria), di limitare libertà fondamentali (nel caso specifico, quella di libera circolazione, oltre ad altre ad essa correlate) solo sulla base di una legge di delega che specifichi chiaramente  principî e criteri direttivi cui il regolamento dovrà attenersi.

Sottolineiamo che questa non era solo una nostra opinione. Molti illustri costituzionalisti l’avevano avanzata, tra cui Antonio Baldassarre e Nicola Ainis. C’è di più: secondo una nota del quotidiano La Repubblica anche il Presidente della Repubblica, che non era potuto entrare nel merito dei DPCM in quanto non rientranti tra gli atti sottoposti al suo controllo preventivo, era consapevole che questi provvedimenti, pur necessari visto lo stato di emergenza, erano “traballanti” dal punto di vista giuridico formale. A tal riguardo, concludeva la nota, il Presidente vedeva favorevolmente il rimedio suggerito dal professor Ainis, consistente nel ricorso a un decreto legge di “chiusura” della materia emergenziale coronavirus, che riunificasse e raccordasse tutte le disposizioni emanate.

E’ di questi giorni una sentenza del Tribunale di Pisa (n° 419/2021), commentata in questo articolo, che conferma in pieno i timori sulla vertenzialità che può scaturire dai DPCM. Il caso sottoposto ai giudici pisani riguarda un cittadino  straniero che, sorpreso dalle forze dell’ordine a muoversi su un ciclomotore – con a bordo un amico – durante il divieto di circolazione imposto dal DPCM dell’8 marzo, non rispettava l’alt fuggendo dopo essersi scontrato con l’auto dei poliziotti.

Denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e per violazione del lockdown,  l’imputato, mentre è stato riconosciuto colpevole del primo reato, riguardo al secondo è stato addirittura assolto  “perché il fatto non sussiste”, e non già perché “il fatto non era più previsto dalla legge come reato”, come chiedeva il Pubblico Ministero.

Secondo il Tribunale, l’uomo aveva diritto a liberamente circolare in quanto il DPCM che glielo impediva è da considerarsi formalmente illegittimo, e quindi il giudice penale non deve tenerne conto nel pronunciare la sentenza.

Le motivazioni del giudice sono interessanti perché, oltre a riprendere il noto argomento sulla genericità della delega stabilita dal decreto legge n° 6 del 23 febbraio 2020 a favore del Presidente del Consiglio ( vedi sopra), ne aggiungono altri due.

Il primo è davvero sorprendente: la delibera dichiarativa dello stato di emergenza sanitaria ( adottata, lo ricordiamo, con atto del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 ) sarebbe illegittima in quanto non c’è nessuna legge che autorizza il governo a dichiarare, come ha fatto, l’emergenza sanitaria. Le uniche norme in vigore  riguardano la dichiarazione da parte del Governo di altri tipi di emergenza: calamità naturali o derivanti da attività umana (leggi sulla protezione civile), e lo stato di guerra ( art. 78 costituzione).

Venendo a mancare il presupposto fondamentale ( la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria) tutte le attività conseguenti , tra cui i DPCM, sarebbero da considerarsi illegittime…

Il secondo nuovo argomento di illegittimità dei DPCM sollevato nella sentenza in questione è il più suggestivo  per le sue conseguenze paradossali.

Riguarda  l’interpretazione delle norme costituzionali sulla libertà personale. A giudizio del Tribunale pisano,  un divieto generale e assoluto di spostamento come quello stabilito dai DPCM è da considerarsi alla stregua di un obbligo di permanenza presso la propria abitazione. In parole povere gli arresti domiciliari...

Peccato che, per l’adozione di una siffatta misura la Carta Costituzionale,  preveda una riserva di legge assoluta, senza possibilità di delega ad una fonte normativa inferiore, qual è appunto il DPCM.

Non solo: per una più stringente salvaguardia del bene della libertà personale, la Costituzione in tali casi impone la cosiddetta riserva di giurisdizione: ovvero solo l’autorità giudiziaria può disporre il confinamento domiciliare.

Se l’avviso del giudice pisano fosse confermato si arriverebbe al paradosso che, per tenere in quarantena la popolazione italiana minacciata da un contagio letale, non basterebbe una legge ad hoc con tutti i crismi, emanata dal Parlamento, ma ci sarebbe bisogno, in aggiunta,  di un “mandato di arresto” giudiziario presso la propria abitazione per ciascun cittadino…

Rino Casazza

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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