
L’euro, da qualche anno, è diventato qualcosa che molti amano odiare. Sembra non se ne possa mai dire abbastanza male. Non pochi vorrebbero addirittura abbandonarlo (alcuni dopo un referendum che già da solo basterebbe ad accasciare l’economia italiana) e solo pochi si rendono conto che uscirne non è la stessa cosa di non entrarci, e comporterebbe problemi differenti, come uscire da un matrimonio rispetto al non sposarsi. Ma sarebbe poi giusto uscire? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’euro? È bene di tanto in tanto rinfrescarli, magari confrontandoli all’altra valuta oggi di moda, il bitcoin, che sta toccando vertici speculativi da bulbi di tulipano, e alla possibile neo-lira che sostituirebbe la moneta europea.
Per chi ha vissuto gli anni Novanta, il modo come i media oggi parlano dell’euro è un singolare rovesciamento di prospettiva. Allora ci si domandava se saremmo poi riusciti ad entrarci, in questo benedetto euro, ed era una domanda piena di angoscia. Eravamo davvero all’altezza?
Oggi nessuno si pone il problema. Anzi, c’è chi fa capire che senza l’euro non avremmo avuto i guai economici che abbiamo conosciuto nel nuovo millennio. Il che è anche vero, ma non ne ha colpa l’euro, ne hanno colpa i successivi governi dell’Italia e gli imbecilli che li hanno eletti. Senza la moneta comune, avremmo avuto problemi diversi, questo sì, ma molto più gravi.
L’euro, il bitcoin e la lira, se mai la riesumassimo, hanno una cosa in comune: sono moneta fiduciaria. Cioè circolano perché qualcuno è disposto ad accettarle in cambio di qualcos’altro. Sono “equivalenti universali”, il che vuol dire che la contropartita di una certa somma in valuta può esserci qualsiasi cosa: un bene, un servizio o un’altra valuta. Solo cose come l’onore e l’amore sfuggono (ehm, beninteso entro certi limiti) a questa possibilità di compravendita.
Le somiglianze finiscono qui. Dietro l’euro c’è l’imperio della legge, le politiche fiscali nell’Unione Europea, una Banca centrale, un ruolo riconosciuto ormai da decenni. In caso di bisogno, le autorità possono obbligare ogni residente ad accettare in pagamento la moneta comune. Dietro la lira, fermo restando l’obbligo di legge, ci sarebbe una risorta Banca d’Italia e la politica fiscale dello Stato italiano, dominata, a perdita d’occhio, dalla necessità di abbassare il peso del debito pubblico sul pil. A sorreggere il bitcoin c’è solo un’allucinazione collettiva.
Oggi la maggioranza degli acquirenti di bitcoin li compra solo per rivenderli più cari in futuro. Questo definisce lo stadio finale di una bolla speculativa, il che è un forte indizio che la caduta è ormai vicina. Al contrario l’euro è usato in miliardi di piccole transazioni. Certo, in termini quantitativi anche per l’euro la parte della finanza è ormai molto più grande, ma è così per tutte le maggiori valute e si può sperare che la Bce sia in grado di identificare per tempo le situazioni di rischio e di porvi rimedio. Nel caso del bitcoin, non c’è nessun ente centrale per gestire i problemi.
La lira, dovesse mai tornare, nascerebbe molto più fragile dell’euro e non potrebbe conservare il proprio valore, sia interno che esterno (cioè sia in termini di livello dei prezzi interni che di tassi di cambio). La svalutazione della moneta – impossibile con l’euro – è sì una spinta per gli esportatori, ma è come la caffeina, dà assuefazione e comporta rischi perfino in quantità moderata. L’euro ci consente di avere bassi tassi d’interesse, che favoriscono gli investimenti, un’inflazione modesta, che mette al riparo redditi e risparmi, e una diretta confrontabilità fra i prezzi in differenti Paesi dell’Ue, che stimola la concorrenza. Ci fa risparmiare il 3% del pil che se no andrebbe al sistema finanziario quando si deve passare da una moneta all’altra o quando si compra un’assicurazione contro il rischio cambio. In caso di attacchi speculativi, per rintuzzarli ci sono tutte le risorse delle economie europee.
Una somma di vantaggi tutt’altro che da poco, che i nostalgici dell’indipendenza valutaria non vedono perché sono abituati a goderne e non sanno che cosa vorrebbe dire farne a meno. L’euro, per parafrasare il canto di Adam Mickiewicz, è come la patria o la salute: comprendi il suo valore solo quando non ce l’hai più. Chi vuole rinunciare all’euro sta augurandosi il ritorno un sacco di problemi che abbiamo scordato da tempo. Per non parlare dello shock immediato, che sarebbe paragonabile a quello che attende la Gran Bretagna con la Brexit e che vediamo dispiegarsi mese per mese.