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Yara Gambirasio: il dna di Ignoto 1 era di Massimo Bossetti al di là di ogni ragionevole dubbio?

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Nel post  dedicato al commento del film Yara, ho provato a rispondere alla domanda se l’indizio genetico a carico del condannato per la morte di Yara Gambirasio, Massimo Bossetti, – ovvero la presenza sugli abiti della vittima di tracce del suo DNA – sia sufficiente a stabilirne la colpevolezza. Secondo la difesa di Bossetti la sua innocenza starebbe, ancor prima, nel fatto che la rilevazione della famosa impronta genetica di “ignoto 1” sarebbe viziata da difetti così gravi da renderla inutilizzabile ai fini di un confronto con quella del condannato. In questo post cercheremo di chiarire se effettivamente, al di là di ogni possibile dubbio (come recita l’art. 533 del c.p.p.)  l’impronta genetica di “ignoto 1” e quella di Massimo Bossetti sono la stessa.

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La questione va affrontata sotto due aspetti strettamente collegati: uno squisitamente tecnico-scientifico, riguardante l’attendibilità del risultato scaturito dal tracciamento del DNA , e uno processuale, riguardante l’avvenuta osservanza delle prerogative della difesa dell’imputato nell’esecuzione dell’analisi genetica.

Faremo riferimento, per la mia analisi, alla sentenza di Cassazione del 12 ottobre 2018 che ha chiuso il processo contro Massimo Bossetti confermandone definitivamente la condanna all’ergastolo. Le motivazioni di questo provvedimento giudiziario, infatti, si esprimono  per la piena validità dell’analisi genetica che ha portato a identificare come appartenente al condannato la traccia di “ignoto 1”.

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Un furgone davanti alla palestra di Brembate Sopra

 

Quando fu scoperto il corpo senza vita della vittima, Yara Gambirasio, in un campo a Chignolo d’Isola, a qualche km di distanza dal luogo in cui era avvenuta la sparizione della ragazzina, sui suoi abiti furono trovate varie tracce genetiche. Lo indica il fatto stesso che quella che ci interessa è stata classificata come appartenente a un soggetto sconosciuto denominato “ignoto 1“. Quindi deve esisterne almeno un’altra, attribuibile ad un soggetto sconosciuto denominato “ignoto 2”. Si è poi saputo che sugli indumenti della ragazzina era presente anche la traccia genetica di un individuo di sesso femminile, addirittura identificato ma scagionato.

La pluralità di materiale genetico  rinvenuta sugli abiti di Yara – sono stati trovati anche peli e capelli, non appartenenti a Massimo Bossetti – è un fatto certo al punto che in una recente sentenza la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto della difesa di esaminare tutti i reperti, anche se questo non è ancora potuto avvenire per l’opposizione dei tribunali competenti a concedere l’accesso agli stessi.

Come mai gli inquirenti si concentrarono sulla traccia denominata di “ignoto 1”?
La sentenza di condanna definitiva lo illustra chiaramente: questa traccia si trovava sugli slip e sui leggings della vittima, mischiata a materiale genetico appartenente a quest’ultima. In sintonia coi giudici di primo e secondo grado, la Suprema Corte ritiene che, per la sua posizione sul vestiario di Yara, e la sua mescolanza al DNA di lei, il DNA di “ignoto 1” non possa che appartenere all’assassino.

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Il magistrato Letizia Ruggeri

 

Mi sia permesso di dissentire.
E’ chiaro che, nel turbato immaginario del pubblico, un’ impronta di DNA sull’abbigliamento intimo di una ragazzina rapita e uccisa  evoca un’aggressione a scopo di libidine. Tuttavia è acclarato che Yara non ha subito approcci sessuali da parte del suo assassino; quanto al materiale genetico maschile trovato sul suo corpo non è riconducibile a liquido seminale.

Dunque, anche se la Suprema Corte boccia come “fantasiosa” l’ipotesi di un “versamento” – per depistaggio o involontaria contaminazione – di materiale generico appartenente a Bossetti sugli indumenti di Yara, questa eventualità rimane naturalisticamente possibile, come dimostra la storia del c.d. “touch DNA” ( vedi ad esempio qui)

Neppure la mescolanza tra il DNA di “Ignoto 1” e quello di Yara – di cui non si è riusciti a stabilire la natura: sangue, saliva o altro – è  incompatibile con una contaminazione artificiale. Evidentemente, deve considerarsi la norma che materiale cellulare depositatosi su un corpo in decomposizione da molti mesi tenda a mescolarsi con quello della vittima.

La difesa ha puntigliosamente eccepito, valendosi di una consulenza tecnica, tutta una serie di rilevanti violazioni dei protocolli scientifici per la miglior conservazione e il trattamento del DNA. Su queste eccezioni, la risposta della Cassazione è stata negativa. Trattandosi di materia strettamente tecnica ed essendosi la Suprema Corte convinta delle ragioni degli esperti che confermavano la correttezza metodologica del procedimento adottato nel caso specifico, la questione è di pertinenza degli specialisti. Torna invece a proposito per introdurre un dei principali elementi della discordia  tra accusa e difesa nell’interpretazione della traccia genetica di “ignoto 1”.

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I genitori di Yara

 

Mancando  un indagato/imputato quando quella traccia fu enucleata, i soli esperti genetisti scelti dal pubblico ministero, senza contraddittorio, hanno svolto le analisi. .

E’ un cardine  del giusto processo che, quando si effettuano perizie scientifiche, deve essere data la possibilità alla difesa di parteciparvi con propri esperti o comunque – ecco il punto! – di ripetere l’esame alla presenza di periti di fiducia . Si tratta di quello che, nei controlli antidoping in uso nelle gare sportive (ad esempio il ciclismo) si chiama diritto di controanalisi, e funziona in un modo molto semplice: vengono prelevate due fiale dei fluidi corporei dell’atleta sottoposto a test; qualora nel materiale contenuto nella prima fiala emerga positività ad una sostanza proibita, l’atleta viene avvisato e si procede, alla presenza di fiduciari di quest’ultimo, alla verifica se la positività si riscontra anche nel materiale contenuto nella seconda fiala, sigillata e conservata proprio a questo scopo. E’ un modo assai ragionevole di evitare errori e allontanare il sospetto di manipolazioni.

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Il film Yara e Massimo Bossetti

 

Torniamo all’impronta di “ignoto 1”.
La contestazione principale della difesa, riproposta in tutti i dibattimenti, riguarda una particolarità  di questa traccia genetica: i genetisti incaricati dal pubblico ministero dichiarano di avervi constatato la presenza del solo c.d. DNA nucleare, senza rilevare quello c.d. mitocondriale. Non solo: l’analisi ha evidenziato la compresenza, nel DNA nucleare di “ignoto 1” misto a quello di Yara, di DNA mitocondriale di altra provenienza. Per un approfondimento sulle nozioni di DNA nucleare e DNA mitocondriale, rimando alla voce “genoma umano” dell’enciclopedia medica on line Treccani.

Poiché  è certo che il DNA mitocondriale si conserva molto più a lungo di quello nucleare, ed è altresì insolito che manchi il DNA nucleare corrispondente al DNA mitocondriale – non attribuibile a “ignoto 1” – invece ritrovato, la difesa – confortata dal parere di propri esperti – ne ricava i forte sospetto che tutta l’analisi genetica che ha condotto ad attribuire a Massimo Bossetti l’impronta di DNA di “ignoto 1” sia viziata da un errore.

Che qualcosa non torni nelle rilevazioni genetiche sugli indumenti di Yara è altresì dimostrato dal fatto che, leggi qui,  nonostante la madre di Massimo Bossetti, Ester Arzuffi, avesse fornito il proprio DNA agli inquirenti, nell’ambito delle ricerche per scoprire la parentela del condannato, nel luglio 2012, l’affinità tra il DNA di costei e quello di “Ignoto 1” non fu immediatamente riscontrata, ma si dovette attendere sino al giugno del 2014.

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La palestra di Brembate Sopra

 

Comunque, tutti i giudici del caso Gambirasio/Bossetti, compresa la Cassazione, hanno sempre respinto l’obiezione difensiva di un’analisi genetica “mal fatta”, sostenendo che questa, invece, doveva considerarsi un punto fermo per due motivi:

  • la riferibilità a un preciso individuo di una traccia genetica dipende dal  DNA nucleare, non da quello mitocondriale:
  • l’analisi genetica che ha rilevato il DNA nucleare di “ignoto 1” è stata ripetuta più volte con  esito sempre confermato.

Balza agli occhi che, per porre inequivocabilmente fine alla diatriba, ancora oggi non sopita, sarebbe bastato applicare “il principio di controanalisi”, ovvero ripetere l’analisi sul DNA di “ignoto 1” in contraddittorio con esperti designati dalla difesa.

Tuttavia la controanalisi, richiesta a gran voce dai difensori di Bossetti, non è stata mai concessa.
Leggendo la motivazione della sentenza definitiva, il motivo del diniego non è chiaro.
Sembrerebbe che la “controanalisi” vada respinta perché l’analisi genetica  effettuata nel corso delle indagini trarrebbe pieno valore scientifico dalla ripetizione del test senza variazione di esito .
Il motivo potrebbe essere anche un altro: il campione di DNA di “ignoto 1” sarebbe stato tutto consumato per l’effettuare i test prodotti in giudizio, donde la materiale impraticabilità di una “controanalisi”.

Entrambe le spiegazioni non convincono.
La facoltà di controanalisi è un diritto fondamentale dell’imputato, il cui mancato riconoscimento può  comportare la nullità del processo. A tal riguardo, ricordiamo che la Corte di giustizia europea – cui possono ricorrere in condannati in via definitiva in Italia – è particolarmente attenta alla “parità di armi” delle parti nelle cause penali, ed è altamente probabile che se adita boccerebbe la sentenza contro Bossetti per violazione del diritto di controanalisi.

Quanto alla mancanza di materiale genetico per effettuare il test in contraddittorio, la si potrebbe opporre all’imputato solo in caso di accertamento irripetibile, ovvero se il materiale genetico  fosse stato, all’origine, sufficiente per un unico test.

Ciò non è, in quando i test effettuati sono stati più d’uno, e avrebbe  dovuto essere onere della magistratura inquirente conservare una campione di materiale genetico per l’eventuale “controanalisi”.

Comprendo l’imbarazzo della Corte di Cassazione nell’annullare il processo per un vizio formale – ma in campo penale la forma, in quanto garanzia di correttezza del giudizio, è sostanza, – e disporre di ricominciare daccapo il dibattimento  stralciando dall’impianto accusatorio contro Bossetti il test sulla traccia genetica di “ignoto 1”.
Tuttavia, come ho argomentato nel precedente, citato, post “Il film “Yara” e la colpevolezza di Massimo Bossetti: ecco cosa non torna”, la “prova genetica” derivante dal DNA di “ignoto 1” in realtà è un “indizio”, e la colpevolezza Di Bossetti avrebbe potuto – ed anzi dovuto-  essere dimostrata attraverso altri indizi o prove.
Se Bossetti fosse stato il colpevole, non sarebbe stato difficile trovarli.
Il problema è che questi indizi e prove confermative mancano e, senza la corrispondenza tra DNA di Bossetti e quello di “ignoto 1” in mano all’accusa non rimane più nulla, rendendo inevitabile un’assoluzione dell’imputato.

Rino Casazza 

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

Un commento

  1. Inutile insistere se il DNA sui panni di Yara sia di Bossetti o no; i giudici che lo hanno condannato in tutti i tre gradi di giudizio hanno innalzato una trinceaa insuperabile. A questo punto non rimane altro da fare; superare l’impasse del DNA, ossia trovare il modo che Bossetti abbia la possibilità di dimostrare la sua innocenza. In che modo? Spetta ai familiari intervenre. In America In diversi Stati dell’Unione, si ricorre alla ipnosi forense, proprio per superare “oltre il ragionevole dubbio” In Italia questa pratica non è applicata in giurisprudenza, è vero. Però anche qui in Italia abbiamo un precedente; ,un parroco di Bolzano accusato di pedofilia al processo venne assolto, I familiari della vittima sicuri della sua copevolezza sono ricorsi all’ipnosi forense. Il parroco confessa la colpa, non andò in carcere in quanto il reato ormai prescritto, ma dovette risarcire la vittima per il danno subito. Per quanto riguarda i familiari di Bossetti dovrebbero ricorrere al’ipnosi forense, sapere con esattezza quali sono stati suoi movimenti di quel pomeriggio, di quella sera, di quella notte, Solo cos’ si potrò sgardinare che il DNA di Ignoto1 non può essere di Bossetti, altresi si saprebbe se veramente Bossetti è figlio illegoiittimo che non è cosa di poco conto. a A questo punto chiedo a voi; Fronte del Blog il DNA verrà ripetuto o sarà inutile. insomma che succederà a parte il sirarcimento milionario dovuto a bossetti?

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