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Tacete, il Governo vi ascolta! (La nostra privacy non c’è più)

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Sorpresa, la privacy non esiste più. O meglio non proprio tutta, ma la nostra nei confronti del Governo, che non avrà più bisogno di autorizzazioni del Garante per trattare i dati personali dei cittadini di cui è in possesso, grazie ad una norma del Decreto Capienze. Ecco cosa potrebbe succedere ora…

 

È arrivato il Decreto Capienze, quello che permette le riaperture “in sicurezza” di discoteche, musei, teatri e via dicendo. All’interno, tuttavia, grazie all’emergenza e ad una maggioranza bulgara, è stata inserita una norma che mette i nostri dati a disposizione dello Stato, nei cui confronti è stata di fatto minimizzata la nostra privacy. La scusa è la solita usata da decenni: la lotta all’evasione fiscale. Questo mostro mitologico da 110 miliardi l’anno che nessuno sa dove si nasconda, perché con fatture elettroniche, controlli a tappeto, tecnologie di ultima generazione e, a breve, pure tetto di mille euro per l’acquisto in contanti, non si riesce mai nemmeno a capire dove sta. Tanto da far pensare, appunto, che si tratti soltanto di un grimaldello, ovvero una grande arma di distrazione di massa per controllare e vessare sempre di più il cittadino.

L’allarme per la nuova disposizione arriva su un quotidiano tutt’altro che antigovernativo come Repubblica. A parlare è il professore di diritto costituzionale Franco Pizzetti, ex garante della privacy, che la commenta così: «Un intervento pesante: toglie potere al Garante Privacy, aumenta quello del governo e delle amministrazioni, riducendo le garanzie per i cittadini. La novità più grave è che il Garante perde il potere d’intervenire, anche d’ufficio, per indirizzare una norma in presenza di gravi rischi provenienti, per i diritti dei cittadini, dal trattamento di dati personali per fini di interesse pubblico». Allo stesso quotidiano, l’avvocato Fulvio Sarzana aggiunge: «Il decreto permette alle pubbliche amministrazioni di fare nuovi trattamenti di dati pubblici senza bisogno di una norma che li autorizzi. Ma è fatto gravissimo, perché questa semplificazione va a detrimento di libertà fondamentali». E un altro legale, Carlo Blengino, conferma: «Se non viene rigorosamente regolamentato l’accesso da parte delle pubbliche autorità e delle pubbliche amministrazioni ai dati personali dei cittadini, l’esercizio dei pubblici poteri per finalità di pubblico interesse assume inevitabilmente forme pervasive di intrusione nella vita privata e di sorveglianza».

La nostra esistenza sarà insomma trasparente per lo Stato, e così vale per i tabulati telefonici e il traffico online. Sottilinea il quotidiano Libero che «il decreto rimuove infatti i vincoli alla raccolta e ai trattamenti dei dati, inclusi quelli più rischiosi per la riservatezza degli italiani, che oggi le amministrazioni dello Stato sono tenute a rispettare» e che in nome del «pubblico interesse, le amministrazioni potranno fare teoricamente di tutto. Incluso il riconoscimento facciale a tappeto, qualora lo ritenessero necessario».

Aggiungiamo che per le nuove carte d’identità elettroniche, qualora non lo sappiate, dovete già lasciare le vostre impronte digitali, argomento che solo vent’anni fa faceva inalberare la popolazione e i politici. Era il 1999 e l’allora garante della privacy Stefano Rodotà, manifestava tutte le sue preoccupazioni: «C’è una grossa schedatura a livello europeo, soprattutto di cittadini extracomunitari ma anche di cittadini europei che sono nella condizione di essere schedati e il rischio è che, senza controlli adeguati sull’uso di questi dati, possano diventare uno strumento di controllo, poliziesco. Il corretto uso di questi dati può essere garantito solo da una autorità indipendente che abbia poteri effettivi». Questi poteri del Garante, in sostanza, oggi vengono meno quando ci sia «pubblico interesse» dell’amministrazione, ma attenzione, anche «per l’esercizio di pubblici poteri a essa attribuiti».

Il che ci porta a pensare ai nostri cellulari, dove abbiamo scaricato il green pass, gestito pure dall’app Io, di proprietà della società PagoPa spa del ministero dell’Economia, funzionante tramite Spid (identità digitale): in questo modo abbiamo intanto consentito l’accesso al governo allo strumento della nostra quotidianità. Ulteriori modifiche alla privacy dove ci porteranno? Certo, direte, è fantascienza anche solo pensare che un domani i dati contenuti nel telefono possano essere utilizzati quando diamo il consenso all’app, pure se per esigenze di pubblico interesse. E concordiamo con voi. Infatti l’interpretazione che si dà a queste «semplificazioni», come le chiama Palazzo Chigi, è nel senso dei controlli (molto più invasivi) del fisco e della prevenzione di crimini come il revenge porn.

Però vent’anni fa era considerato fantascienza prendere le impronte digitali ai comuni cittadini e solo un anno fa nessuno si sarebbe sognato un lasciapassare per lavorare. In Cina, poi, la fantascienza è già diventata realtà: si chiama Sistema di Credito Sociale (SCS) ed è stato testato su larga scala nel 2020, l’anno della pandemia. Pechino ha sotto controllo tutte le abitudini degli abitanti, cosa comprano, come spendono, se pagano multe o se ritardano rate. Monitora chi frequentano e se criticano il partito, e duecento milioni di telecamere a riconoscimento facciale sono in funzione in tutto il Paese. Poi giudica il “buon cittadino”: chi si comporta, a parere del governo, bene, ha facilità di accesso a finanziamenti, mutui, viaggi, affitti. Chi non si allinea viene escluso da scuole private, dai trasporti, da internet e infine dal lavoro. I peggiori, nel punteggio, vengono inseriti in una blacklist pubblica da cui uscire con lavori socialmente utili. Sistemi più o meno simili sono allo studio in Brasile e in Australia. Ma questa è l’Italia, si obbietterà, non la Cina: qui la libertà è sempre stata al primo posto. O no?

 

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