Il muro di ScribattoRaccontisocietà

Storiaccia

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All’inizio tutti pensarono fosse uno scherzo. I giornali, i Tg, i vecchi al bar tra una slot machine e un bianco a bagnare le carte…
Qualcosa si mosse. Un’antica nebbia avvolgente, sapida come pesce della deriva infilzato e sacrificato sul girarrosto della coscienza.
I vecchi, prima mesti e ingialliti, tossirono catarro all’unisono. Smembrarono bauli e bauli di residui da guerriglia e ritrovarono la tessera.
La stessa tessera che non avrebbero mai accettato, dopo.
In alcune cantine di periferia i froci, i negri e i fantasmi rossi lucidarono discorsi da occhi gonfi e spolverarono motti ammuffiti.
L’Uomo, intanto, dal balcone affacciato sulla piazza di Milano, ruggiva e sputava. Muoveva istinti, ricordi, sogni celati, marce trionfali e qualunquismo.
“Non ha speranze” sostenne qualcuno, in attesa del verde.
E quando il semaforo scatto’ era già troppo tardi.
Alle elezioni piovvero voti. Fu un plebiscito.
Insomma…
Non proprio un plebiscito. Andò meglio del previsto.
Quel tanto che basto’ perché una piazza diventasse una reggia e un balcone un trono.
I froci, i negri e i fantasmi rossi, nascosti nelle loro cantine, si fecero coraggio e sprangarono le porte.
Il Santo Padre, braccia aperte in una metaforica crocifissione, fece un gran bel discorso.
Parlo’ di giustizia, di valori cristiani e di ospitalità. La piazza esulto’ soddisfatta e, arrivata a casa, nascose la tessera elettorale per la vergogna.
Le tangenziali s’ingorgarono. Qualche coppietta si fece beccare a scopare, al parco. Un pretuncolo di periferia disarmo’ i sermoni.
Il cielo si fece scuro e l’aria, soffiata da una fabbrica abusiva, gonfio’ i viali dello shopping.
Una manica di barchette di carta sventolo’ nel silenzio della prima notte e sputo’ sulla terra arida.
Penso’ fosse cosa cattiva e sbagliata, pizzico’ la busta e completo’ l’opera.
Quando venne mattina, i froci, i negri e i fantasmi rossi uscirono dalla cantina.
Si accorsero subito che il vento si era assopito rassegnato. Fecero due passi, tra una festa di colori, due colpi di tamburo e un bicchiere di vino. La loro voce non sapeva più di nulla, sembrava polvere da tappeto.
Si ritrovarono davanti al muro e alzarono gli occhi al cielo.
E trovarono ancora il muro.
Provarono a scavalcarlo ma scivolarono come sempre, senza sapere come affrontare la difficoltà. Come sempre.
Un prete, scarpe lucide in mano e piedi scalzi. ridacchio’ alle loro spalle.
Un aereo sorvolo’ le loro teste ed esplose in volo, quasi fosse una cosa normale.
Il prete penso’ di farsi il segno della croce, poi intravide un brandello di corda e si arrampico’.
Un megafono, oltre il confine, tuono’.
“Si apre oggi una nuova era.”
Poi tacque per sempre.
Un ragazzetto in bicicletta svolto’ dietro una curva senza rivolgere loro neppure uno sguardo.
La pioggia comincio’ a venire giù a secchiate.
Ed è in quell’istante, con l’acqua fino al collo, che un negro si accorse di una fune che dondolava appesa al muro come un’ancora di salvezza.
Dalla piazza, al primo piano, un tale affacciato fissava i disperati e attendeva.
Aveva in mano un telecomando.
Il dito sul pulsante rosso.
Le tasche piene di promesse.

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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