A distanza di due anni dall’album Maader Folk, il cantautore laghèe per eccellenza, torna a colpire con un disco capolavoro.
Fruibile solo in formato fisico, sull’onda di altri maestri come Vecchioni e Guccini, Manoglia racchiude in sé una forma di contemplazione spirituale ricca di sottintesi ed echi che si appoggiano su melodie al limite della perfezione.
Van de Sfroos appare talvolta sfuggente, altre quasi fanciullesco nel raccontare dell’amata zia Nora.
Si sofferma sulle maschere di Gaberiana memoria e le appende al muro per metterle in mostra, sull’anima sospesa de Il Giuvannon, si libra tra le farfalle e accarezza i fili d’erba accompagnandoci in volo lungo colline e torrenti alla ricerca di quella libertà che oggi, più che mai, ricorda un’utopia smarrita.
Il cantautore spariglia italiano e dialetto comasco restando ancorato alla sua anima folk e rurale, tra campanili decrepiti e respiri del lago prende per mano i suoi “figli” e gli racconta le favole che vorrebbero ascoltare.
Manoglia, undici pezzi perfetti senza eccezione, trova la sua assoluta magnificenza nel brano ANKAINKÖÖ: una descrizione poetica della vita qualunque, fatta di vittorie e sconfitte, alla sola ricerca del sogno.
Van de Sfroos raggiunge vette altissime, forse persino superiori a quelle toccate da album come Pica! e Yanez.
Manoglia è un’opera da vivere e non solo da ascoltare.
Proprio per questo si è preferito non buttarla nel marasma “mordi e fuggi” di Spotify. Per non svilirla.
Quindi, e concludo, il consiglio è di farvi un regalo indimenticabile e non rinunciare a viaggiare in quest’unico ed inimitabile battito d’ali.
Alex Rebatto