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Favola di Natale 2015

 

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Era la vigilia di natale di un anno come questo.
In Lapponia, all’interno di una casetta dal cui camino fuoriusciva una nuvola di fumo grigio, un vecchio in pigiama azzurro si grattò il naso e spense la televisione dopo l’ennesima cattiva notizia.
La porta della casetta si spalancò di colpo ed un elfo, cappello verde a punta in testa e lunghe scarpe rosse con campanelli all’estremità, fece il suo ingresso sospinto da una bufera bianca.
“E’ ora, Babbo Natale” annunciò scrollandosi dalle spalle una montagnetta di neve fresca.
Il vecchio inforcò gli occhiali spessi due dita e si alzò stiracchiandosi.
“La slitta è già carica?” domandò aprendo l’armadio.
“Sissignore” rispose l’elfo sull’attenti “Le renne hanno mangiato e bevuto. I doni sono ponti per essere consegnati a tutti i bambini del mondo. Però…” tossì imbarazzato “Ci sarebbe la questione del passaporto da sistemare.”
Babbo Natale, in bretelle e canottiera sporca di sugo, sbirciò al di là dell’anta dell’armadio.
“Passaporto?” ripeté.
“Ehm… Sissignore. Di questi tempi occorre essere prudenti. Vede, il mondo ha subito diversi cambiamenti da un anno a questa parte e…”
“Sciocchezze” fece il vecchio alle prese con il suo abito rosso improvvisamente troppo stretto “A Natale si respira solo gioia e fiducia.”
L’elfo parve dubbioso ma decise di non aggiungere altro.
“Come mi sta?” domandò infine Babbo Natale mostrandosi in tutto il suo splendore con la divisa di circostanza.
L’elfo vide i risvolti della pancia sotto la giacca rossa con il colletto bianco e l’ombelico in bella vista del vecchio benefattore. Sembrava potesse esplodervi all’interno da un momento all’altro.
“Perfettamente” mentì aprendo la porta.
Un soffio di vento gelido spense il camino con un’unghiata.

Babbo Natale afferrò le redini e le renne si alzarono sulle zampe posteriori prima di correre spedite in direzione del bosco. Quando il primo albero comparve alla loro vista, ritagliandosi un ruolo nella bufera, spiccarono il volo e si alzarono in cielo raggiungendo le stelle e la luna.
“Avanti, amiche mie” gridò il vecchio sulla slitta agitando una campanella dalla quale si sprigionavano mille scintille azzurre.
Un attimo dopo, la casa in Lapponia, ripiombò di nuovo nel silenzio assoluto.
Kamal, l’elfo con il cappello a punta, restò a guardare la slitta sparire con le mani sui fianchi.
“Ho un brutto presentimento” mormorò scrollando il capo.

A Cuba ci fu il primo intoppo.
Babbo Natale intravide una luce nel cielo e un mare di palette alzate.
“Venite giù” gli ordinarono con i megafoni.
Le renne atterrarono e, mentre Babbo Natale era impegnato a parlare con i rappresentanti delle forze dell’ordine, ne approfittarono per brucare un po’ d’erba.
“Benvenuto a Cuba, signore” fece il sergente illuminando con una torcia il volto del vecchio “Qua da noi ora, come ben sa, c’è libera circolazione. Come si chiama?”
“Babbo Natale” rispose lui sfoderando un sorriso di circostanza.
“Americano?” il tono sembrò meno conciliante.
“Non esattamente. Non provengo da nessuna parte, in realtà.”
“Apprezzabile” concesse il sergente “Che c’è dentro quei sacchi? Valuta estera?”
“Valuta estera?” Babbo Natale inarcò le sopracciglia “Si tratta di regali per i bambini.”
“Bambini di che tipo?”
“Non capisco. I bambini sono bambini, no?”
“Non da queste parti” concluse il sergente spegnendo la torcia “E‘ pregato di girare al largo, signore.”

Babbo Natale giunse in Cina con un tollerabile ritardo.
Le case da visitare erano tante, forse troppe.
Non appena la slitta toccò l’asfalto e lo smog la circondò fino a crearvi attorno una cappa irrespirabile, un manipolo di uomini in divisa l’assediarono con le armi spianate.
“Dove crede di andare?” gridò un ometto con un berretto nero.
“Devo portare i doni ai bambini” provò a spiegare il vecchio allargando le braccia.
“Doni?” scoppiò una risata generale “Dalle nostre parti i regali si sudano. Non basta volere qualcosa per ottenerlo. Occorre lavorare, lavorare e ancora lavorare.”
“Ma a Natale i bambini si aspettano un dono” provò a dire lui.
“Non dalle nostre parti” disse l’uomo armato voltandosi spazientito.

Le renne accelerarono l’andatura. Bastò meno di mezz’ora per ritrovarsi in Francia.
Parigi era circondata da posti di blocco.
Babbo Natale venne fatto scendere dalla slitta e perquisito.
“Da queste parti non apprezziamo troppo gli stranieri, ora” ringhiò il capitano della gendarmeria “Che ci fa da queste parti?”
“Sono Babbo Natale” sospirò il vecchio “Porto i doni ai bambini, come tutti gli anni.”
“Lei non è francese, vero?”
“Beh… No.”
Il capitano lanciò un’occhiata eloquente ai suoi uomini.
“Aprite quei sacchi!” ordinò.
Saltarono fuori trenini elettrici, bambole, caramelle, videogiochi, macchinine e pistole di plastica.
In un attimo Babbo Natale si ritrovò un milione di canne di fucile puntate alla nuca.
“Via da qui” gli gridò il capitano ad un centimetro dal naso.

I carabinieri intervennero nei pressi d Bologna. La slitta fu costretta a fermarsi in piazza. Un capannello di curiosi comparve dal nulla e il flash di mille telefonini la sommerse.
Babbo Natale fu costretto a fare un miliardo di selfie con sconosciuti e a firmare altrettanti autografi.
“Dove te ne vai di bello, simpatico vecchietto?” chiese il brigadiere aprendo la custodia di un CD di Michael Bublè da far firmare.
“A consegnare i doni” rispose sconsolato l’uomo controllando il suo orologio da taschino. Era in ritardo di tre ore.
“Eh si, a consegnare i doni” ridacchiò un altro carabiniere “Si fa presto a dire. Prima ci sarebbero un paio di multe in sospeso su cui discutere e poi dobbiamo scortarla allo studio televisivo di canale 5. C’è pronta una diretta che l’aspetta.”
“Ma…” Babbo Natale sembrava più rassegnato che sorpreso “I regali… I bambini…”
“Trucco!” urlò qualcuno dietro di lui.
Riuscì a malapena a farsi strada tra i curiosi e a salire sulla slitta prima di riprendere il volo con la giacca strappata e senza una scarpa.

In Russia faceva un freddo glaciale. Le renne furono costrette a fermarsi per indossare una giacca foderata di pelo di scoiattolo. Babbo Natale ne approfittò per buttare giù un sorso di vodka.
Non appena atterrarono a Mosca l’esercito russo li circondò.
“Documenti!” gridò il generale puntandogli contro un dito.
“Non ho documenti” provò a giustificarsi lui “Sono Babbo Natale. Sono qui per consegnare i doni ai bambini.”
“Lei non ha un passaporto?” il militare afferrò il cellulare e fece una chiamata.
Un attimo dopo un elicottero presidenziale atterrò accanto alla slitta.
“Chi crede di essere?” gridò il tizio in giacca e cravatta con andatura da cowboy piazzandosi a gambe larghe davanti al vecchio in abito rosso “Non sa che noi non accettiamo nulla da nessuno? Non vogliamo regali da estranei, non vogliamo stranieri, non vogliamo discutere, non vogliamo mercanteggiare, scendere a condizioni, tollerare, comprendere e giustificare. Questa è la grande Russia. Da noi non riceverà ospitalità, amicizia e diplomazia!”
“E quindi?” Babbo Natale si sentì improvvisamente troppo stanco per poter discutere.
“Quindi prenda le sue cose, i suoi regali, le sue renne, il suo vestito rosso, e si levi di torno. Ma lo faccia subito perché tra dieci secondi ordinerò di fare fuoco.”
Di secondi ne furono sufficienti cinque.
La slitta riprese il volo diretta, infine, verso la cara vecchia Lapponia.

 

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Atterrò davanti alla casa di Babbo Natale alle prime luci dell’alba, con il suo carico di doni al seguito.
Un paio di elfi aiutarono l’anziano affranto a scendere e lo accompagnarono fino all’ingresso della sua abitazione.
Accesero di nuovo il camino e gli versarono un bicchiere di caffè bollente.
Kamal comparve accanto alla poltrona con il pigiama azzurro nella mano ed un sigaro profumato.
“E’ andata male” commentò sconsolato “Vero?”
Babbo Natale s’infilò il sigaro tra le labbra e lo accese con un fiammifero.
Tossì e sintonizzò la televisione sul telegiornale del mattino.
“Il mondo non ha più bisogno di me” grugnì.
Gli elfi, decine e decine di elfi, gli si sedettero attorno in attesa.
“Babbo Natale” fece il più giovane di tutti “Potrebbe raccontarci ancora una volta cos’era il natale ai suoi tempi?”
Il vecchio, con ancora addosso la divisa rossa, si tolse gli occhiali e soffiò una nuvola di fumo verso la finestra dalla quale entrava un primo timido raggio di sole.
“Sarà una lunga storia” sorrise accarezzandosi la barba bianca “Ma stenterete a crederci.”

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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