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La Tachipirina può peggiorare il Covid? L’ipotesi che fa tremare i governi di mezza Europa – DOCUMENTO

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È dall’ottobre del 2020 che due scienziati italiani hanno ipotizzato che il paracetamolo (principio attivo della comune Tachipirina) potesse “esacerbare” il Covid, ipotesi recepita da buona parte della comunità scientifica internazionale e pure nel protocollo del Mario Negri (firmato, tra gli altri, da Giuseppe Remuzzi) oggi all’attenzione dell’Aifa. Ma uno studio sul campo non si fa. Cosa potrebbe succedere se venisse dimostrato che il farmaco è davvero controproducente dopo due anni che viene prescritto come terapia di prima scelta alla quasi totalità dei pazienti?

 

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«Soltanto con questa norma credo che avremmo risparmiato migliaia di morti». Deflagrano come una bomba le parole del professor Fredy Suter, ex primario dell’Unità di Malattie infettive degli allora Ospedali Riuniti di Bergamo, là dove la pandemia ha causato una strage senza eguali al mondo.

Le pronuncia quando pensa che le telecamere di Report si siano spente, mentre parla della differenza dell’utilizzo degli antinfiammatori come l’Aulin al posto della Tachipirina e vigile attesa, il tanto discusso protocollo ministeriale oggetto di ricorsi e controricorsi al Tar e al Consiglio di Stato.

Suter è autore insieme al professor Giuseppe Remuzzi, tra i massimi scienziati italiani e direttore scientifico del Mario Negri, di un protocollo per la terapia domiciliare a base di antinfiammatori, attualmente all’attenzione dell’Aifa (GUARDA).
Un protocollo che sarebbe in grado di diminuire le ospedalizzazioni del 90%. La pubblicazione risale al giugno 2021 (QUI sul sito dell’Istituto Mario Negri – QUI la pubblicazione scientifica).

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Ma già oltre un anno prima erano noti i risultati di un precedente lavoro degli stessi autori sulla prima ondata, pubblicato su Clinical and Medical Investigations e dal titolo “A recurrent question from a primary care physician: How should I treat my COVID-19 patients at home?”. (GUARDA)

In esso veniva fin da allora evidenziato come il paracetamolo (ovvero il principio attivo della notissima Tachipirina) fornito ai primi sintomi fosse “meno preferibile” rispetto agli antinfiammatori (i fans) “data la sua attività antinfiammatoria relativamente blanda”:

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Ma nell’ultimo studio, di ben otto mesi fa, c’è addirittura un avvertimento sul possibile effetto controproducente della Tachipirina, che potrebbe “esacerbare” il Covid, ovvero letteralmente aggravarlo poiché “il paracetamolo riduce i livelli di glutatione plasmatico e tissutale quando somministrato a dosi relativamente basse… come recentemente ipotizzato”:

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Possibile che per due anni i medici di famiglia, orientati da raccomandazioni governative, abbiano prescritto un farmaco capace di inasprire, piuttosto che curare, i sintomi della malattia?

 

Suter, nell’intervista a Report, fornisce risposte che il cronista definisce “diplomatiche”, anche perché se la cosa fosse confermata ci trovremmo di fronte ad un disastro sanitario senza precedenti.
Sicchè, in punta di piedi, si sta semplicemente virando la rotta.
Ma da dove arriva l’ipotesi del paracetamolo come fattore di rischio?

Lo studio di Suter e Remuzzi sul rischioso consumo di glutatione della Tachipirina fa perno su una pubblicazione molto citata a livello internazionale, di altri due italiani, Carmela Fimognari, del Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita all’Università degli Studi di Bologna e Piero Sestili, del Dipartimento di Scienze Biomolecolari all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo ed intitolata: “Consumo di glutatione indotto da paracetamolo: esiste un legame con una grave malattia da COVID-19?” (GUARDA)

Dopo una lunga analisi critica, la ricerca si concludeva così: “L’uso preferenziale del paracetamolo nel COVID-19 come alternativa più sicura ai FANS dovrebbe essere attentamente riconsiderato”:

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Tale studio risale all’ottobre 2020, quasi un anno e mezzo e decine di migliaia di morti fa. Raggiunto telefonicamente, il professor Sestili mi dice: «Quell’articolo ha avuto effettivamente una ricaduta importante perché in quasi tutti i Paesi l’indicazione primaria di uso del paracetamolo è caduta ed è stata sostituita da quella dei fans. Se lei segue ad esempio alcune associazioni mediche statunitensi e il corrispettivo dell’ordine dei farmacisti statunitensi, troverà che dall’anno scorso l’uso del paracetamolo rispetto ai fans, e in particolare l’aspirina, era già stato messo in dubbio e sostituito da fans. La stessa cosa è avvenuta in Spagna e in linea di massima la letteratura scientifica, che suggeriva nei primi dieci mesi l’uso esclusivo di paracetamolo, ha subito una correzione di rotta. Tenga conto però di questo: lavori sperimentali non ne sono usciti, le mie erano ipotesi, che sono state raccolte come principio di cautela. È un’ipotesi fondata, basata su presupposti farmacologici noti, perché è noto che il paracetamolo abbassa i livelli di glutatione e il glutatione è importante per la severità di alcune patologie polmonari. L’ipotesi era che si potesse innescare un mix pericoloso. Esplosivo. E tale ipotesi è stata accettata dalla comunità scientifica».

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Ma com’è nata allora l’idea della Tachipirina come unico farmaco da prescrivere?

«Chi aveva propugnato l’idea del paracetamolo contro i fans è forse il nocciolo della questione. In Francia c’è un gruppo di ricercatori di Marsiglia che negli anni passati aveva fatto degli studi con cui dimostravano che l’uso di ibuprofene nella terapia di alcune patologie respiratorie, tra cui l’influenza, era in grado di peggiorare il decorso della malattia». È il gruppo del professor Joelle Micallef. E non appena la pandemia si è diffusa «hanno fatto quindi una segnalazione al ministro della salute francese Olivier Veran, che è un medico e che senza batter ciglio ha emanato un warning sugli antinfiammatori. Ma senza pezze d’appoggio, solo basandosi sui lavori sull’influenza. Il giorno dopo l’Inghilterra lo ha fatto proprio, due giorni dopo l’Italia e poi tutta l’Europa e quindi tutto il mondo. Con buona pace di tutti il 23 marzo 2020 la Francia decreta che il paracetamolo è meglio dei fans. Quest’idea rimane lì e prima di smuoverla c’è voluto tempo».

Sicchè le indicazioni perentorie per usare esclusivamente paracetamolo ai primi sintomi della malattia vennero date, dai governi, senza evidenze scientifiche sul Covid, ma solo sull’influenza.

 

Il professore tiene a ribadire che lavori sperimentali su paracetamolo e Covid non sono stati fatti: «Ripeto, la mia era un’ipotesi. Dimostrazioni sul campo che il paracetamolo produca un peggioramento del Covid non ci sono. Ed è molto difficile farlo. Una dimostrazione clinica ancora non l’ho vista».

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La sua ipotesi però non è di oggi. Risale all’ottobre 2020, quasi un anno e mezzo fa. Solo su Frontiers in Pharmacology è stato visto quasi 60mila volte. E non è stata citata solo da Remuzzi e Suter, ma è pluricitata a livello internazionale.

E pure in un’accorata lettera a Journal of Virology di un pool di scienziati italiani delle università di Pavia e Verona (Sergio Pandolfi,Vincenzo Simonetti, Giovanni Ricevuti, Salvatore Chirumbolo) dal titolo emblematico: “Paracetamol in the home treatment of early COVID-19 symptoms: A possible foe rather than a friend for elderly patients?” Ovvero: “Il paracetamolo nel trattamento domiciliare dei primi sintomi del COVID-19: un possibile nemico piuttosto che un amico per i pazienti anziani?” (QUI IL DOCUMENTO)

L’accertamento di un fatto del genere, ossia l’indicazione di un farmaco dannoso nella cura del Covid, potrebbe da una parte smentire due anni di raccomandazioni ai medici, dall’altra, soprattutto, mettere in luce responsabilità gravissime dei governi europei.

Infine, di conseguenza, aprirebbe la strada a milioni di cause di risarcimento in tutta Europa nei confronti dei governi che intrapresero per mesi il paracetamolo come unica via senza evidenze scientifiche d’appoggio sul Covid.

Però, per accertare l’ipotesi del rischio da Tachipirina e certificare eventuali errori e responsabilità servirebbe, per quanto difficile, uno studio sul campo.

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Ecco, il problema è che, a telecamere apparentemente spente, Report ha chiesto al professor Suter di uno studio sul campo del paracetamolo: «La vostra idea inziale era quella di fare Tachipirina contro antinfiammatori, però le hanno consigliato “evitiamo di fare tachipirina” perchè andiamo in scontro diretto?». E la risposta del medico è stata: «Mi sembra che fosse un po’ così».

Di seguito, il video del servizio di Report sul punto. La parte più importante che riguarda lo studio sul campo della Tachipirina e le frasi appena citate a telecamere apparentemente spente, parte dal minuto 3.45:

 

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Edoardo Montolli

(nota: questa è la versione ampliata e documentale dell’articolo apparso su Il Giornale, a firma Felice Manti ed Edoardo Montolli, il 2 febbraio 2022)

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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