Quale filo conduttore lega Francesco Demichelis detto il Biondin, famigerato manigoldo, pericoloso brigante diventato leggenda che agisce tra il Piemonte Orientale e la Lombardia e Maria Provera, mondina impegnata in lotte sindacali per rivendicare i diritti delle mondariso e la conquista delle “otto ore di lavoro?”
E’ quanto ci racconta Giorgio Bona nel suo romanzo edito da Bonanno Le cicale cantano nel nostro silenzio. Siamo agli inizi del secolo scorso. Il brigantaggio rappresenta la vera piaga sociale e il Biondin in questa zona è il protagonista assoluto. Elegante, forbito e amante delle belle donne esterna doti da vero viveur cittadino, pur operando nelle campagne, terre di risaie e di mondine. Si distingue per i furti ai treni, ma le sue specialità sono le rapine alle gioiellerie, da cui ricava ori da donare alle sue amanti. Nel frattempo lo scenario di un grande conflitto sociale coinvolge l’universo delle mondariso.
Maria Provera è la portavoce di un mondo in rivolta e organizza con un gruppo di compagne uno sciopero a oltranza per ottenere legalità e diritti che l’ordine costituito cerca di soffocare con una durissima repressione.
La resistenza è tenace e agguerrita perché le mondine non cedono ai soprusi e alle maniere forti e si mobilitano con azioni al limite della legalità per impedire l’arrivo di nuove forze lavoro provenienti dall’Emilia. Una storia a tinte forti che esprime la ribellione, il dissenso e le contraddizioni di quel periodo. Dentro questo contesto si snoda la storia d’amore tra il Biondin e la bella Eleonora, mondina arrabbiata con un mondo crudele e ingiusto.
La vicenda d’amore ha termine il giorno della curmaja, la festa di fine monda presso la Cascina Campisio, dalle parti di Carisio, tra Vercelli e Novara. Mentre si accompagna in un ballo sfrenato con Eleonora, il Biondin viene riconosciuto e ucciso durante un conflitto a fuoco con i carabinieri.
Il romanzo mette in luce la realtà di due storie drammatiche che viaggiano parallele e il tempo cammina accanto ai personaggi, li tocca, li travolge, due storie parallele di passione e di lotta che assumono un carattere nazionale.
Nella postfazione del libro Marco Revelli afferma di aver rivissuto un momento della storia sociale italiana ormai quasi sepolto nel fondo della memoria collettiva. Detto questo senti di aver riportato alla luce costumi, personaggi e caratteri che hanno animato e costruito la storia del paese?
Il romanzo si apre raccontando un fatto realmente accaduto, quando i fittavoli del riso durante uno sciopero a oltranza delle mondine locali cercarono di avvalersi di nuove forze lavoro provenienti dal Veneto e dall’Emilia. E il treno che portava le stagionali a Vercelli venne accolto a sassate da quelle del posto per impedire il loro arrivo.
Accanto a questo grande conflitto sociale e politico per il miglioramento dei salari e per il riconoscimento delle Otto Ore c’era un’altra grave piaga sociale, quella del brigantaggio.
In questo scenario non poteva mancare la figura di Francesco De Michelis detto ‘l Biundin, il brigante delle risaie, figura reale che ha animato l’epopea dei grandi briganti italiani.
Il suo sguardo si posa anche sulle donne riconoscendone valori e diritti tanto da farne anche un elogio sulle conquiste femminili. Vuole dirci qualcosa in merito?
Una delle più grandi conquiste del mondo del lavoro è stata quella sul riconoscimento delle otto ore con il Proclama Cantelli: otto ore di lavoro, otto ore di riposo e otto ore di svago. La ricostruzione di quel grande sciopero del 1906 a Vercelli ha come protagoniste anche quel gruppo di coraggiose con Maria Provera in testa. Una delle più grandi conquiste femminili viene dal mondo del lavoro. Si parte da lì. Tutto ciò ha permesso alla donna non soltanto di essere economicamente indipendente, ma anche di diventare socialmente rilevante.
Il romanzo ha un’ambientazione precisa, terra di risaie tra il Piemonte e la Lombardia. Cosa la lega a quella terra tanto da ispirare un romanzo e questa storia che riscatta un mondo che sarebbe dimenticato?
Ho fatto un viaggio nei luoghi della mia nonna materna, tra il vercellese e la Lomellina. Ho avvertito subito, guardando quelle terre lavorate, la fatica e il sudore che c’era dietro. Ecco. Faccio parte della civiltà del guardare. Osservare dietro il paesaggio, poi raccontare, perché qualcosa è pur accaduto e se siamo qui non è per caso. La nostra società l’hanno costruita generazioni e generazioni con il sacrificio del lavoro e della vita.