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Coronavirus, in un mese la letalità in Lombardia si è sestuplicata. E in Regione hanno perso il senso della realtà

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Il tasso di letalità in Lombardia è aumentato del 3% ogni settimana dal 2 marzo. Ma se il virus non è mutato, cosa condiziona i decessi? Ecco cos’è successo

 

Di Edoardo Montolli

Anche ieri la Lombardia ha registrato 345 decessi per coronavirus, più della metà di quelli avvenuti in tutta Italia (681). Ci sono molti modi di comunicare la morte. Quello scelto dalla Regione per parlare di una devastante strage quotidiana fa ribollire il sangue. Imbarazza. Indigna. Fa vergognare di appartenere a questa comunità. Nelle sue consuete dirette quotidiane, l’assessore alla sanità Giulio Gallera, tratta infatti il dato il più rapidamente possibile, senza soffermarsi mai un minimo sul perché, in Lombardia, stia accadendo tutto ciò.

Prendiamo il collegamento del 4 aprile. L’assessore tiene anzitutto a smentire una fake news sul Paziente 1. Ci parla poi della «grandezza della Regione Lombardia» e della bravura nel fronteggiare l’emergenza, perché «guarda avanti» e costruisce ospedali. Cosa che fa «al meglio». Ci dice che il numero dei positivi è costante. Ci racconta il numero dei ricoverati. E ancora il fatto che le terapie intensive segnino un -55, segno di un «allentamento». Quindi si esalta per i dimessi. E solo dopo 15, infiniti minuti, dedica una manciata di secondi a quante persone siano morte nelle ultime 24 ore, la mostruosa cifra di 345. Limitandosi ad aggiungere che sarà il «dato» che diminuirà per ultimo. E facendoci in sostanza intuire, ma solo intuire, che se la pressione sulle terapie intensive si allenta è perché i pazienti muoiono. Fine. Si volta immediatamente pagina. Eppure parliamo di persone. Centinaia di morti. Al giorno. E si tratta di persone che da quando sono entrate in ospedale non hanno più potuto nemmeno vedere i propri cari. E che la famiglia non ha potuto rivedere nemmeno una volta spirati. Guardare per credere:


È evidente che in Regione abbiano completamente perso il senso della realtà. La stessa considerazione che ho dovuto fare quando mi sono dovuto scontrare su Radio Padania con il governatore della Lombardia Attilio Fontana, il quale ha continuato a sostenere che il sistema sanitario lombardo sia il migliore al mondo nonostante abbia il tasso di letalità più alto del pianeta, ovvero, per uscire dal gergo tecnico, la mortalità più alta: il 17,6%, che in alcune zone come Bergamo supera ampiamente il 22%. Il tutto con meno di 50mila casi. Si pensi che gli Stati Uniti, che di casi ne hanno 311mila, contano più o meno gli stessi decessi della Lombardia, con un tasso di letalità del 2,7%. La Germania ha meno di 1500 morti su 97mila casi. Lo stesso Iran, che ha 9mila malati in più della Lombardia, conta quasi un terzo dei decessi.

LE MASCHERINE

Abbiamo raccontato a lungo i motivi che possono aver portato all’ecatombe: dai demenziali provvedimenti governativi fino al 9 marzo, ai rimpalli di responsabilità sulla mai attuata zona rossa nei focolai di Alzano e Nembro. Abbiamo ricordato la ridicola cintura di qualche ettaro nei comuni del lodigiano a fronte della chiusura in Cina di 9mila chilometri quadrati (la superficie di Wuhan) prima e di 185mila chilometri quadrati poi (la superficie della provincia di Hubei, pari quasi al doppio dell’estensione delle sei regioni del nord a più alta mortalità). – QUI LE INCHIESTE

Sono stati necessari quaranta giorni e quasi 9mila morti perché il presidente Fontana obbligasse tutti ad uscire con la mascherina, o comunque con il volto coperto da foulard o sciarpa, per limitare i contagi, quando raccontavamo già il 22 febbraio (il giorno dopo Codogno!) come i cinesi avessero limitato la diffusione del coronavirus imponendo l’uso delle mascherine e come i loro studi del 24 febbraio le considerasse indispensabili. Una decisione, dunque, anche questa, gravemente tardiva per la salute dei cittadini. Perché quei dati e quegli studi cinesi erano pubblici.

In compenso in Regione ci hanno proposto una ridicola app di nessun aiuto al paziente, ma solo ai loro studi, con cui comunicare in maniera anonima i sintomi attraverso un questionario.

Il segno, ancora una volta, di come ormai la confusione e l’assenza di rispetto per malati e morti regni incontrastata in Regione. Tutti trattati come numeri, morti e malati, rigorosamente anonimi.

I TAMPONI

Ma come si è arrivati a tanto? Guardiamo i dati del 4 aprile.

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Il tasso di letalità italiano (quanti sono i morti sul numero di contagi) è del 12,3%. La Lombardia lo ha al 17,6%. Guardiamo ora nella colonna di destra il numero dei tamponi rispetto ai contagiati di ogni regione. Possiamo notare come la Lombardia abbia il numero minore di tamponi effettuati in rapporto ai malati:

Lombardia 17,6%  tamponi 2,8 volte numero dei contagiati

Emilia 11,9%              4  volte

Piemonte 9,6%           3,1 volte

Veneto 5,6%             12,3 volte

Toscana 5,4%             8,4 volte

Marche            13,2%  3,3 volte

Liguria                        12,8%  3,3 volte

Lazio               5,6%    11,8 volte

Campania        6,5%    7,6 volte

Trento             9,4%    4,4 volte

Puglia              7,7%    8,4 volte

Friuli               7,3%    10,6 volte

Sicilia              5,7%    10,2 volte

Abruzzo          9,3%    7,8 volte

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Bolzano          9,1%    9,4 volte

Umbria            3,3%    9,7 volte

Sardegna         4,6%    7,7 volte

Calabria          6,6%    16,6 volte

Valle d’Aosta 10,9%  3 volte

Basilicata        4,1%    10,4 volte

Molise             5,3%    7,3 volte

 

Si può osservare come Calabria, Lazio, Friuli e Sicilia stiano tentando di svolgere il medesimo lavoro fatto dal Veneto, aumentando il numero dei tamponi di molte volte rispetto a quello dei malati, per andare a cercare gli asintomatici, e cioè i veri superdiffusori. Ma, se questo è sufficiente a spiegare una concausa della limitazione dei contagi, questo non spiega certamente il numero dei decessi tanto alto in Lombardia.

I NUMERI

Per cercare di capirci qualcosa, torniamo allora ai primi dati nazionali disponibili dal ministero della salute.

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Il 2 marzo la Lombardia contava 1254 casi e 38 morti: il tasso di letalità era al 3% e i tamponi costituivano 6,3 volte il numero dei contagiati.

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Il 9 marzo la Lombardia contava 5469 casi e 333 morti (gli stessi numeri che contava  più o meno la Toscana il 4 aprile, con 5671 casi e 307 morti): il tasso di letalità era raddoppiato, al 6%, ma i tamponi diminuivano a 3,6 volte il numero dei contagiati.

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Il 16 marzo la Lombardia aveva 1420 morti su 14649 casi: il tasso di letalità era al 9,6%. Più o meno come al primo aprile l’Emilia, che aveva 14787 casi e 1732 morti, con mortalità al 11,7%. Ma alla stessa data la Lombardia aveva già più malati di quanti ne conta oggi il Veneto. Con un tasso di letalità però assai più alto, ovvero circa il doppio.

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Di settimana in settimana, in Lombardia, il tasso di letalità è salito in sostanza di 3 punti percentuali, arrivando a sestuplicarsi con l’aumentare dei contagi. E cioè, fino a quando i pazienti non sono stati tantissimi, il tasso di letalità restava in linea con quello delle altre regioni italiane. Poi, l’aumento dei malati è risultato proporzionale a quello dei morti. Come se non si fosse riusciti a gestire più l’emergenza e a guarire le persone. Come se qualcosa non avesse funzionato proprio nel modo di affrontare il virus.

Anche se il coronavirus fosse mutato, cosa che peraltro più fonti smentiscono, sarebbe assurdo pensare a stretti confini regionali rispettati dal covid-19 nel non allargarsi al Veneto, dove il tasso di letalità è rimasto in linea con quello del focolaio di Wuahn (il 5,6 veneto contro il 5,8 di Wuhan).

Il problema in Lombardia dunque non sono i contagi. Sono i morti. A parità di virus e quando i contagiati erano gli stessi di una regione come il Veneto, i morti in Lombardia erano decisamente di più.

Fuori dalla retorica sul «sistema sanitario migliore del mondo», frasi che suonano in questo momento delirio fuori controllo senza alcun rispetto delle vittime, sarà il caso di analizzare a fondo l’approccio lombardo all’emergenza. E a cambiarlo in corsa, subito. Almeno per limitare ulteriori stragi.

Edoardo Montolli

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

ommenti

  1. Sono un medico di Pavia, i morti in Lombardia sono molto alti in percentuale perchè i contagiati dal coronavirus sono molti di più di quelli risultanti dai dati ufficiali. Paradossalmente se si eseguissero i tamponi solo ai malati gravissimi, avremmo una percentuale di deceduti ancora più alta del 17%, ma potremmo arrivare anche all’ 80%. Quindi tutto ritorna al famoso dilemma: ma quanti contagiati ci sono veramente in un determinato territorio. A mio modesto avviso si dovrebbe partire dal numero dei deceduti, ma non quello ufficiale. Paradossalmente, se i pazienti che hanno chiari sintomi da coronavirus, si lasciano morire a casa senza eseguire il tampone, non saranno mai conteggiati. In ultima analisi si potrebbe non avere nessun deceduto per coronavirus. Secondo me, si dovrebbero prendere i dati dei deceduti negli ultimi anni dal primo di gennaio al 31 marzo in un determinato territorio, fare una media, e poi vedere quanti morti ci sono stati nello stesso periodo del 2020. Tutti i deceduti in più probabilmente hanno avuto come causa il coronavirus. Visto che i dati a nostra disposizione indicano un 3% di decessi sul totale degli infettati, sintomatici e asintomatici, il conto delle dimensioni del fenomeno è presto fatto. Cordiali saluti.

  2. Il problema è che i numero dei morti di Wuhan sono totalmente falsateicome quelli iraniani in China non pare che i morti siano più di 100.000 per non parlare di quei 21 000 000 di cellulari spenti 🙂 quindi evitiamo di confrontare i dati nostri con quelli cinesi o iraniani (i quali sono stati visti dai satelliti usa fare fosse comuni)

    1. Salve, guardi che se i morti cinesi fossero di più, il fatto di aver sottovalutato gli studi cinesi su Wuhan (che trova su questo sito) sarebbe ancora più grave. Ovvero: se le istituzioni hanno preso sottogamba gli studi che parlavano di una mortalità al 5,8% e della necessità per questo di cinturare un’area vastissima per prevenire la diffusione del contagio (cosa che gli italiani non hanno fatto) figuriamoci quale responsabilità avrebbero per aver ignorato una mortalità assai più alta.
      Saluti.

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