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A dieci anni dalla strage di Erba, la ricostruzione “imperfetta” del Corriere della Sera

Essendo stato tirato in ballo dal Corriere della Sera come “difensore” di Olindo e Rosa, ancora una volta mi tocca smentire le leggende narrate dal quotidiano con i fatti

olindorosa-webSTRAGE DI ERBA, LO SPECIALE – GUARDA

 

L’11 dicembre 2006, poco dopo le 20, quattro persone venivano massacrate nella corte di via Diaz. Tra chi ricorda l’eccidio passato alla storia come la strage di Erba c’è il Corriere della Sera, che mi definisce uno dei più grandi “difensori” di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Invece io racconto fatti, che sono sensibilmente diversi da come li mette giù il Corriere. Per non tediare il lettore, mi limiterò ad alcuni punti.

Scrive il quotidiano:

A insospettire gli inquirenti è stato anche il fatto che in quasi un mese dalla tragedia i due, intercettati, non abbiano mai commentato ciò che è accaduto pochi metri sopra le loro teste. Ma anche il silenzio è un indizio e si decide di intervenire quando, giorni dopo, Rosa pronuncia questa frase: «Adesso sì che possiamo dormire».

 

Il fatto, incredibilmente acclarato nella sentenza di primo grado, è falso. Olindo e Rosa furono intercettati da subito. Ma i primi giorni le loro intercettazioni NON sono mai state allegate agli atti. Nessuno l’ha detto e ho dovuto scoprirlo dai brogliacci. Perché i carabinieri non le abbiano allegate e nemmeno lo abbiano specificato, non si sa. Ma dal momento in cui le intercettazioni vengono allegate, Olindo e Rosa parlano eccome della strage e sempre con parole di pietà verso le vittime.

 

Ma c’è di più: si vede che la notte della strage Rosa ha messo in funzione la lavatrice. Proprio lei che mai, come risulta dai tabulati della società elettrica dei precedenti tre anni, ha fatto il bucato dopo le sei del pomeriggio.

 

Il bucato viene prelevato subito. E già tre giorni dopo la strage si viene a sapere che NON c’è alcuna traccia di sangue su quegli indumenti. Il Ris cercherà anche negli scarichi dei lavandini: nemmeno una traccia biologica.

 

Infine gli ultimi due indizi: tracce di sangue femminile su alcuni indumenti dei Romano e una macchiolina di sangue maschile sul tappetino della loro auto. È il sangue del signor Frigerio che nel frattempo, il 15 dicembre, ha aperto gli occhi e ha iniziato a mettere a fuoco l’incubo in cui è piombato.

 

NON c’è alcuna traccia di sangue delle vittime sugli indumenti di Olindo e Rosa. Nessuno ha mai visto la macchia di sangue mista ritrovata sul battitacco del guidatore della Seat di Olindo: nessuno tranne il carabiniere che sostiene di averla repertata, ma non la documenta. Non c’è infatti una foto col luminol, ma una con un cerchietto sopra, all’interno del quale il carabiniere sostiene ci fosse la macchia. Il suo verbale fu rinvenuto senza firma dalla difesa. E, a dire il vero, di quel verbale il carabiniere non sa molto altro: NON sa quante foto furono scattate, NON sa in quale ordine, NON sa a che ora iniziarono le ricerche sull’auto, NON sa che la targa di Olindo era un’altra rispetto a quella del verbale e addirittura NON sa nemmeno che con lui c’era qualcun altro (come documentano le foto degli stessi carabinieri) che a verbale tuttavia NON risulta. Di più. È bizzarra anche la natura di quella macchia, dato che il carabiniere la definì “lavata” tanto da non essere riuscito a individuarla con il Crimescope, mentre il genetista Carlo Previderé, consulente della Procura, la definì “concentrata”. E com’è possibile? Ancora: secondo il verbale di perquisizione su quell’auto, subito dopo la strage entrarono ben 4 carabinieri: gli stessi saliti nel palazzo della Corte e che dunque avrebbero potuto contaminare l’auto con sangue. Ma in aula i carabinieri smentirono il loro stesso verbale che avevano firmato. Il Comandante dei carabinieri Luciano Gallorini precisò che NESSUNO dei quattro a verbale salì sull’auto, ma ci salì un quinto che sul verbale NON c’è e che era l’unico a non essere entrato nel palazzo della strage.

 

Due giorni dopo il fermo, il 10 gennaio 2007, Rosa e Olindo crollano. All’inizio lui cerca di salvare lei prendendosi tutta la responsabilità: «Ho fatto tutto da solo». Poi lentamente si apre: «Ho sbagliato, lo so, devo pagare. Ecco, io vorrei solo vedere mia moglie ogni tanto. Per il resto, pago tutto».

 

Anche questo è falso. A raccontare che il primo a confessare fu Olindo è il primo avvocato d’ufficio della coppia nel libro “Vicini da morire” di Pino Corrias. Solo che la prima a confessare fu Rosa. Forse l’avvocato ricordava male. Di fatto i due confessarono guardando le foto della strage. Lui aveva letto la ricostruzione dell’accusa e nonostante questo commetterà qualcosa come 243 errori. A lei, che non sapeva leggere, i magistrati – come attesta il loro verbale – diedero conto di tutte le dichiarazioni del marito. Dopo diverse ore le due versioni combaciarono.

 

Quello che colpisce subito è il rapporto simbiotico tra i due. Lei lavora come donna delle pulizie e ha avuto un’infanzia difficile; lui è dipendente di una ditta di raccolta e smaltimento rifiuti. Non hanno figli, non hanno amici, non hanno alcuna relazione con parenti, nel loro mondo esistono solo loro due. La casa è il loro regno insieme al camper con cui fanno qualche gita. Sempre insieme, sempre da soli, sempre uniti. Sono una cosa unica come spiega bene il pubblico ministero Massimo Astori con un’immagine potente: «Rosa e Olindo sono un quadrupede».

 

NON è vero che non avessero amici o relazioni coi parenti. Quanto al rapporto simbiotico e al quadrupede è una teoria interessante soprattutto per giustificare il motivo dell’arresto di entrambi che è difficile in realtà da capire: il testimone accusava Olindo, la famosa macchia sull’auto fu trovata sul battitacco del guidatore. Rosa non ha la patente: che prove c’erano per arrestare lei con l’accusa di strage (e non di favoreggiamento) ? La prova la fornirà il testimone solo in aula, un anno e oltre più tardi, dicendo per la prima volta che gli sembrò di vedere anche qualcun altro, che poteva essere Rosa.

 

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All’ultimo piano Valeria Cherubini e il marito Mario Frigerio sentono «un grido di sofferenza mai udito». Stanno per portare il cane a fare una passeggiata e decidono di andare a vedere se Raffaella ha bisogno di aiuto. Purtroppo si imbattono negli assassini. Valeria prova a scappare ma Rosa la insegue e la finisce quando la donna ha quasi raggiunto casa sua. Di Mario si occupa invece Olindo. Quando la missione omicida sembra conclusa, la coppia lascia la scena del crimine.

 

Se Rosa avesse finito Valeria Cherubini “quando la donna ha quasi raggiunto casa sua” la Cassazione non avrebbe mai chiuso la vicenda sostenendo che sul caso si addensano “numerosi dubbi e aporie”, ossia problemi senza soluzioni. Secondo le sentenze infatti Valeria Cherubini fu colpita sul pianerottolo di casa Castagna. E non oltre. A quel punto salì le scale e morì “con le mani come a protezione del capo”. Il motivo è cruciale: se fosse andata diversamente Olindo e Rosa sarebbero SICURAMENTE innocenti e gli assassini sarebbero altri, usciti CERTAMENTE da un’altra parte. Ed ecco perché: quando arrivarono i soccorritori trovarono Mario Frigerio sul pianerottolo e sentirono Valeria Cherubini gridare “aiuto” dalla sua mansarda, dove non riuscirono a salire per via del fumo. Olindo e Rosa, a quel punto, NON potevano più scendere ed entrare in casa loro, perché appunto, lì c’erano i soccorritori. E tutta la ricostruzione e le confessioni risulterebbero balle. Ma c’è un problema insormontabile: l’autopsia – non io – rivelò che Valeria Cherubini era stata colpita 43 volte, otto colpi le avevano fracassato il cranio, aveva la gola e la lingua squarciata. Com’è possibile che una donna colpita a quel modo potesse risalire per una rampa di scale fino in mansarda senza né deglutire né respirare il sangue e gridare “aiuto” con la gola squarciata e la lingua tagliata? Com’è possibile accettare questa versione? Eppure ciò che è impossibile in natura, divenne fattibilissimo, messo nero su bianco nelle sentenze.

 

Dopo una lunga convalescenza, Mario Frigerio esce dall’ospedale: non può più camminare come prima (lui che amava le passeggiate in montagna) e la voce è diventata un basso sibilo. Con tutte le sue forze accusa Olindo in aula: «Lo ripeterò finché campo: è stato Olindo, mi fissava con occhi da assassino, non dimenticherò quello sguardo per tutta la vita, ho come una fotografia». Il racconto del sopravvissuto getta tutta l’aula nel silenzio più assoluto: «Olindo era una belva, mi schiacciava con il suo peso, era a cavalcioni su di me. Ha estratto il coltello mentre mia moglie invocava aiuto. Poi mi ha tagliato la gola, non ho sentito più nulla, solo il sangue che usciva e il fuoco che divampava. Ho pensato: se non muoio per la ferita, muoio tra le fiamme».

 

Mario Frigerio disse in aula che da quando il comandante dei carabinieri di Erba Luciano Gallorini gli aveva fatto il nome di Olindo, lui si sentì sicuro: «Guardi, io non volevo ancora dirlo proprio perché volevo capire ma quando alla fine mi è uscito il nome volevo come liberarmi e gliel’ho detto al comandante Gallorini perché era proprio un peso che avevo, che volevo dirlo. Infatti mi sono liberato e gli ho detto “sì, è lui”». Quell’incontro avvenne il 20 dicembre. Solo che il 21 dicembre suo figlio Andrea, sempre presente al suo fianco, disse all’ufficio della polizia di Stato dell’ospedale, che suo padre NON aveva mai cambiato idea: e cioè che ad aggredirlo era stato un uomo olivastro, più alto e che avrebbe potuto riconoscerlo dalle foto segnaletiche. Il giorno 22, parlando col suo avvocato e intercettato, Frigerio NON ricordava assolutamente nulla dell’aggressore. Il giorno 24 disse ai figli che NON aveva un cazzo da dire ai magistrati: queste intercettazioni furono respinte in appello in quanto giunte “fuori termine”. Frigerio fece ai magistrati il nome di Olindo solo il giorno 26. All’alba della mattina precedente parlò SICURAMENTE coi carabinieri. Di cosa non si sa: agli atti non c’è nulla.

 

Nonostante le condanne, non manca chi sostiene ancora oggi che Olindo e Rosa siano innocenti. Uno dei più grandi «difensori» della coppia è il giornalista-scrittore Edoardo Montolli che sul caso ha scritto due libri.

 

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Io racconto fatti, non faccio l’avvocato. A questo proposito, sul sito del settimanale Oggi è presente uno speciale coi verbali, le foto e i video originali dell’inchiesta (a partire da quanto ho scritto qui sopra), in modo che ognuno possa farsi un’idea di che cosa sia realmente questa storia. Per scremare i fatti dalle leggende. Troverà audio mai sentiti prima, tipo quelli che Mediaset ha mandato in onda come “esclusivi” qualche mese fa e che invece sono sul sito di Oggi da più di cinque anni.

Peraltro, dopo di me, anche altri hanno scritto dei libri innocentisti. Una è Paola D’Amico. Insieme a Stefania Panza ha scritto Una strage imperfetta. Lavora al Corriere della Sera.

Edoardo Montolli

 

Il ritorno de IL BOIA, un classico del thriller, di Edoardo Montolli – GUARDAblank

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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