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Svelato il mistero della scomparsa di Ettore Majorana: ecco la sua seconda vita in Venezuela

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Majorana sparì nel nulla nel 1938. Per decenni su di lui sono state raccontate leggende di ogni tipo. Tre giovani cronisti hanno ora ricostruito la sua vita in Argentina prima e in Venezuela più tardi. Che fine ha fatto l’agenda con gli appunti del genio italiano?  

 

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Morto per suicidio, gettatosi da un piroscafo della Tirrenia tra Palermo e Napoli. Aspirante religioso al Convento di S. Pasquale di Portici. Nascosto in un misterioso ritiro alla chiesa del Gesù Nuovo di Napoli. Fuggiasco nei boschi del cilento, rifornito di cibo e innumerevoli sigarette dai pastori della zona. Collaboratore del Terzo Reich, scappato in Argentina all’indomani della caduta di Berlino. E ancora, rifugiato in un non precisato monastero del sud Italia, dove avrebbe inventato il raggio della morte, capace di annichilire la materia grazie ai positroni. Si rivelarono tutti vicoli ciechi. Mussolini lo fece cercare ovunque. E perfino Paolo Borsellino, mezzo secolo più tardi, fu costretto ad indagare sul caso di un tale Tommaso Lipari, vecchio clochard di Mazara del Vallo appassionato di matematica e proveniente dall’Africa, detto “l’uomo cane” e che un uomo giurò essere in realtà Ettore Majorana.

Invece no, nemmeno lui risolse il mistero: nemmeno Lipari era il grande fisico teorico svanito nel nulla. Dal giorno della sua scomparsa, la notte tra il 27 e il 28 marzo 1938, nessuno ne seppe più nulla. Né dove fosse finito, né perché fosse sparito. Si sa solo che poco prima aveva ritirato i suoi stipendi arretrati, che aveva con sé il passaporto e che aveva annunciato la sua scomparsa con lettere alla famiglia e all’università di Napoli, dove era da poco entrato come docente. C’è chi immagina che la mente più brillante dei ragazzi di via Panisperna volesse defilarsi per aver intuito le conseguenze devastanti della bomba atomica e il mare di ipotesi che ne seguì ha riempito articoli, libri e documentari. A quattro anni faceva conti impossibili, spiazzava a scacchi chiunque provasse a batterlo. Introverso, timido, scontroso, brutto, ma di una genialità fuori da qualsiasi ordinario. Enrico Fermi, il suo maestro, lo paragonava a Galileo e a Newton. Rifiutò le cattedre di Cambridge, Yale e Carnegie Foundation, preferendo rintanarsi in casa, barba e capelli lunghi. Fumava una sigaretta dietro l’altra, segnava le sue formule sui pacchetti e su pezzi di carta volanti. L’anno prima di sparire ipotizzò l’esistenza dei fermioni, la cui prova scientifica sarebbe arrivata solo nel secolo successivo, nel 2012. Aveva 30 anni.

 

Il signor Bini

Il giallo sulla sua fine sarebbe durato in eterno se un giorno un ex emigrato italiano non si fosse presentato a Chi l’ha visto? con una vecchia foto del 1955: l’immagine ritraeva lui, Francesco Fasani, allora ventenne, ed un cinquantunenne, tale signor Bini. La foto, inviata ai famigliari di Fasani da Valencia, Venezuela, era accompagnata da una didascalia: “Valencia, 12.6.55, Venezuela. Bini-Majorana. Tanti saluti, Checchino”. La Procura di Roma, che sentì Fasani tre volte, ha archiviato l’inchiesta a febbraio 2015 sostenendo che non vi fosse più nessuno da cercare: Bini era Ettore Majorana. Lo avevano stabilito i Ris nel comparare l’immagine con quelle a disposizione del fisico, del padre e di un fratello: dieci punti in comune. Significa che, mentre tutti lo davano per morto, Majorana, tra il 1955 e il 1958 era sicuramente vivo dall’altra parte del mondo. Possibile?

E se si trattasse solo di una somiglianza clamorosa? E se fosse tutto solo un’invenzione di Fasani?

In fondo, l’uomo raccontò che a presentargli Bini era stato un fantomatico Ciro e che a rivelargli la vera identità di Bini era stato tale signor Carlo, amico di un ingegnere di cui non ricordava nemmeno il nome: solo il nomignolo, Nardin, forse di cognome Buzzi o Guzzi. Un po’ poco per prendere tutto per buono. Ma è partendo da questi pochissimi dati che tre giovanissimi cronisti italiani, Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini – tutti tra i 30 e i 33 anni – sono partiti alla volta del Venezuela sulle tracce del fisico catanese scomparso, lavorando come segugi nello sfruttare al meglio le indicazioni di un misterioso Signor C., che ha fornito loro le prime informazioni su come e dove muoversi. Una caccia che non era solo geografica, ma soprattutto storica, tra vecchissimi testimoni e figli e nipoti di quelli ormai morti. Sfrugugliando negli archivi dell’anagrafe e pure in quelli dei cimiteri, confrontando centinaia di nomi, voci, chiamando dall’altra parte del pianeta, intuendo, trovando foto e documenti, scremando mitomani e false piste. E in poco più di un mese hanno incredibilmente dato un volto a tutti i personaggi citati da Fasani, deceduto nel frattempo anche lui: Ciro era Ciro Grasso, impiegato al Banco italo-venezolano. Nardin era al secolo Leonardo Cuzzi, uno capace di gestire un importante complesso industriale alle porte di Valencia. E il signor Carlo, Carlo Venturi, imprenditore.

L’eccezionale documento, che conferma appieno e amplia il racconto del testimone Fasani è pubblicato ne La seconda vita di Majorana, edito da Chiarelettere. Un volume di 200 pagine in cui il lettore respira l’aria del Codice Da Vinci, impegnato com’è insieme ai cronisti-protagonisti nel cercare di risolvere gli enigmi che pagina dopo pagina si presentano. Solo che qui è tutto vero, compresa la sparatoria cui sono sfuggiti, compresi i viaggi tra alberghi assediati da scarafaggi e pidocchi, negli ospizi alla ricerca di testimoni e nelle comunità italiane, “intrappolate”, come raccontano, in un Venezuela dove furti, scippi, rapine e omicidi rappresentano la quotidianità. Il resoconto lascia senza fiato.

La seconda vita

Ettore Majorana viveva a San Agustín, nel comune di Guacara, insieme ad una donna più giovane di lui, muovendosi su una Studebaker gialla. I documenti che lo attestavano come Bini erano falsi e se li era procurati quando era partito dall’Argentina insieme a Carlo Venturi. Evitava le comunità italiane e conduceva un’esistenza riservata. Lì, andando a ritroso e scovando ulteriori testimoni, i tre segugi riannodano i fili di una vecchissima storia pubblicata da Oggi il 14 ottobre 1978, quando Gino Gullace aveva raccolto le parole del fisico cileno Carlos Rivera sulla presenza a Buenos Aires di Majorana, dove viveva ed era conosciuto da altre persone col suo vero nome. «Le nostre ricerche – dice Sceresini – si sono fermate al golpe che rovesciò il regime di Marcos Pérez Jiménez, quando Majorana si rifugiò nel convento dei cappuccini di plaza Sucre, a Valencia. È probabile che fu tra i collaboratori al primo reattore nucleare dell’America Latina, realizzato dal professor Humerto Fernandez-Moràn. Di certo Majorana abbandonò il convento nella primavera del 1958. Lo abbiamo cercato nel vecchio cimitero di Guacara, un luogo devastato dai tombaroli, con ossa a cielo aperto e foto ormai scomparse. Impossibile trovarlo». Come impossibile, di fatto, comprendere le vere ragioni della sua fuga dall’Italia. I tre ragazzi che hanno risolto la storia della scomparsa del secolo sperano però che la Procura riapra il caso. Di Bini-Majorana esisteva un’agendina con le sue formule: l’aveva a Terracina Claudio Fasani, fratello minore di Francesco.

Ma, decenni più tardi, non si trova più. Chissà cosa c’era scritto. In fondo, il sogno del nipote del fisico catanese, Salvatore Majorana, che ha scritto la prefazione, è quello che sotto sotto, hanno avuto tutti coloro – scienziati, storici, scrittori come Leonardo Sciascia – che sono rimasti affascinati dall’enigma. Scrive infatti Salvatore: «Chissà se allora quell’incontenibile mente non abbia lasciato i suoi appunti di lavoro in qualche luogo. Forse potremmo trovarci le risposte a molte domande della scienza rimaste aperte». Già, chissà.

Edoardo Montolli per Oggi
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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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