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Delitto Luca Varani, la lettera del padre di Marco Prato

Ledo Prato, segretario generale dell’associazione Mecenate90 e padre di Marco Prato, scrive una lettera pubblica sul suo sito, invitando tutti a non emettere giudizi sommari

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C’è chi, per Marco Prato e Manuel Foffo ha già rispolverato l’idea della forca. Naturalmente si tratta di un’idiozia e non torneremo sopra l’argomento, già affrontato in maniera brillante da Alex Rebatto.

Sul delitto di Luca Varani c’è ancora molto da capire. Davvero era arrivato al coca party a casa di Foffo per prostituirsi per 150 euro? Si tratta di un dettaglio che gli inquirenti stanno probabilmente tentando di capire andando in cerca della ragazza bionda di 25 anni che parlava con Luca all’alba di venerdì sul treno Viterbo-Roma. Per sapere se alla giovane avesse detto qualcosa della sua prossima destinazione.

varani4aNon si tratta di una cosa da poco: se Luca era arrivato lì per partecipare ad un’orgia gay a pagamento, la difesa potrebbe un domani sostenere che la tortura e il delitto sono stati fatti quando le droghe (pare ce ne fossero anche di quelle cannibali, capaci di trasformare chiunque in un potenziale assassino) avevano avuto la meglio.

Ma se invece così non fosse, se Luca fosse stato attirato con un tranello e di prostituzione maschile non ne sapeva assolutamente nulla (come sostiene un suo compagno di liceo ad un’intervista a Fanpage), allora è molto più facile che venga contestata la premeditazione, attualmente esclusa dal gip. L’aggravante che porta dritti all’ergastolo.

Luca era fidanzato da nove anni con Marta, che su Facebook ora racconta i loro momenti più belli di una storia così romantica da stridere enormemente con quanto raccontato da Manuel e Marco.

 

Ora i due sono uno contro l’altro. Manuel dice che era la seconda volta che incontrava il pr romano, di essere etero e che si sentiva ricattato da un video girato da quest’ultimo.

varani17pMarco sostiene l’esatto opposto: «Ero infatuato di Manuel e ho cercato di assecondare la sua follia omicida, obbedendo in modo passivo alla sua richiesta di strozzarlo». Marco indossava parrucca e tacchi a spillo. E ricorda che Manuel intervenne «dopo aver leccato i tacchi a spillo ed essersi fatto camminare sul corpo partecipando all’eccitazione sessuale. Era come impazzito mi ha chiesto prima di versare un farmaco nel bicchiere di Luca e poi dopo che questo aveva cominciato a stare male mi ha chiesto di ucciderlo: “Questo stronzo deve morire”, urlava in preda a un improvviso e insensato odio e repulsione verso Varani…in preda a una furia bestiale inizia a colpirlo con il martello in testa, adirandosi sempre di più per non riuscire, nonostante tutti i colpi, a provocarne la morte e chiedendomi ripetutamente di aiutarlo».

 

Il padre di Manuel non è solo addolorato, è sorpreso. Dice che, ovviamente, mai si sarebbe aspettato una cosa del genere. Lo stesso fa il padre di Marco, Ledo Prato, segretario generale dell’associazione Mecenate90, che sul suo sito scrive una lettera aperta. Questa:

 

ledo pratoCare Amiche ed Amici, voglio ringraziarvi pubblicamente per i tanti, tanti messaggi che mi avete mandato, esprimendo vicinanza, affetto, dolore, condivisione per questa tragedia che ha colpito la mia famiglia, i miei parenti. La vita riserva molte sorprese, alcune liete, altre no. Entrambe la connotano, la segnano, le danno colore, forma, sostanza. A volte quel che succede annebbia la speranza, richiama dolore, intacca la fiducia nella bontà delle relazioni umane, ti mette a confronto con subdole malattie che sovrastano le persone più deboli, tende a mortificare una vita intera spesa nel difendere e diffondere valori di tolleranza, di rispetto, di amore per la vita, la vita di tutti. In questi lunghi anni a tanti ho cercato di trasmettere speranza, coraggio, fiducia, di costruire bellezza, di preservare i valori fondamentali della vita, di credere nel buon futuro. Qualche volta ci sono riuscito, altre no, come dimostra questa tragedia. Forse pensiamo di poter avere un ruolo decisivo nei rapporti umani e famigliari ma non è sempre così. Qualche volta ci attribuiamo capacità che non abbiamo e l’esempio di una vita condotta ispirandosi ai valori dell’onestà, del rispetto della vita propria, e di quella altrui, che ci è stata donata e di cui non siamo padroni assoluti, si scontra con contesti difficili, rapporti umani alterati, scelte non sempre condivisibili, disvalori che cancellano valori e sembrano vanificare la missione di una vita a cui hai dato tutto, senza risparmio. In questi giorni in cui la stampa ha fatto a brandelli la vita di tre famiglie colpite, ciascuna in modo drammaticamente diverso, si sono letti giudizi sommari, verità parziali o di comodo, usate espressioni dei tempi più bui della vita civile. Mi sovviene un brano del Vangelo di qualche settimana fa. Il protagonista è un fico che non dà frutti e, per questo, si propone di tagliarlo. Ma poi si decide diversamente, si zappa intorno, si innaffia e si stabilisce un tempo: se entro tre anni non darà frutti, sarà tagliato. Non è solo un atto di misericordia, è un atto di saggezza che suggerisce prudenza, pazienza perché i tempi della ricerca della verità non sono brevi e la giustizia umana ha limiti profondi. Sono quelli che lasciano spazio al perdono che, seppure non cancelli la colpa, preserva la possibilità per le persone, tutte le persone, di non ergersi a giudici esclusivi e onnipotenti. Oggi voi dovete sentirvi liberi di lasciare questa pagina, di ritirare la vostra amicizia se questa nostra tragedia vi procura sofferenza o insofferenza, se non siete più interessati a leggere, condividere qualche riflessione perché avete smarrito la fiducia che avevate nell’autore. Quelli che vorranno ancora seguirmi sappiano che non riuscirò ad essere presente su queste pagine con continuità ma che non rinuncerò a niente delle idee e dei valori in cui credo e, in questa circostanza, sarò ancora più determinato nel rigore con cui viverli ed esprimerli. Metto in conto tutto e devo essere pronto a tutto. Me l’avete scritto in molti. Pensieri bellissimi, parole affettuose che custodirò con cura e a cui farò riferimento tutte le volte che la tristezza e la solitudine cercheranno di prendere il sopravvento. Voglio riportare solo un piccolo brano, fra i tantissimi, che mi ha scritto un amico carissimo, più grande di me in tutti i sensi, che conosco da oltre 20 anni. Ha scritto:..”la tua sconfinata capacità di mettere insieme, mediare, sdrammatizzare, cercare la fessura dove infilare una soluzione o un piccolo dislivello dove collocare un cuneo, ti permetterà di restare fermo nella tua fede, di non cadere nel buco nero, di riconfermarti nel valore delle cose che hai fatto e anche di aiutare Marco. Tu sei una persona capace di rivoltare il male nel bene e questa volta ti tocca dimostrarlo in modo da stupire il mondo”.
Posso farcela, lo devo alla mia famiglia tutta, ai miei parenti, ai miei tanti amici e a questo mio amico che mi ha consegnato un obiettivo tanto faticoso quanto straordinario. Con il vostro aiuto, con quello del Signore che non ci lascia mai soli perché è pronto a mischiarsi con la nostra storia anche di peccatori, ci accingiamo con passo lieve ad attraversare questa tempesta. Che Dio aiuti quanti ne hanno bisogno.

Ledo Prato

 

Resta una domanda: si uccide senza movente, per vedere “l’effetto che fa”? Perché sembrava il testo di una canzone di Enzo Jannacci, comica eppur oggi inquietante, che faceva così: Si potrebbe poi sperare tutti in un mondo migliore / Vengo anch’io? No tu no / Dove ognuno sia già pronto a tagliarti una mano / un bel mondo sol con l’odio ma senza l’amore / e vedere di nascosto l’effetto che fa…

E la canzone era comica e surreale perché sembrava assurdo che uno tagliasse soltanto una mano “per vedere l’effetto che fa”. Invece la cronaca insegna che è successo che si sia ucciso solo per questo, anche di recente, in un caso che presenta sinistre analogie con il delitto Varani.

Il 7 agosto 2014 il professor Adriano Manesco, ex compagno di scuola di Silvio Berlusconi, fu massacrato, fatto a pezzi e messo in valigia da due giovani, Paolo Grassi e Gianluca Civardi.

Per giustificare in qualche maniera il loro gesto, provarono a farsi passare per giustizieri, dicendo che il prof era un pedofilo: denigrare la vittima per alleggerire l’accusa. Poi, in aula, Grassi ammise: «Civardi mi disse che prima di morire voleva provare la sensazione di uccidere una persona, perché le altre esperienze che faceva, anche nella sfera sessuale e amorosa, non gli provocavano emozioni».

Entrambi, in primo grado, hanno preso l’ergastolo.

Edoardo Montolli

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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