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Spagna 2016: il labirinto iberico

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tribunal palma mallorca

C’è chi ha paragonato l’attuale situazione politica in Spagna a un thriller di Hitchcock. Qualcuno, invece, alla celebre scena della sovraffollata cabina dei fratelli Marx in Una notte all’opera. Ciò che sta capitando a Madrid è un’esperienza nuova per gli spagnoli. Da più di un mese e mezzo non hanno un governo se non quello uscente, dai poteri limitati. Intanto sono cresciute nuove forze politiche e si susseguono gli scandali: molti riguardano la prima forza politica del paese, uno tocca persino la famiglia reale. E, proprio mentre cerca di riconsolidare l’economia dopo la stagione più dura della crisi, la Spagna rischia di andare letteralmente in pezzi.

Per comprendere cosa stia capitando, occorre riassumerne la storia recente. Nel 1975 la morte del dittatore Francisco Franco – unico superstite dell’era nazi-fascista ancora al potere in Europa – restituisce il potere alla monarchia dei Borbone, nella persona di re Juan Carlos I, il quale si adegua ai tempi e guida la Spagna alla democrazia. Si avvia il processo che sarà chiamato Transición e nasce una variegata coalizione di centro-destra, la Unión de Centro Démocratico, il cui leader Adolfo Suárez è capo del governo (1976-1981). Viene legalizzato il Partido Comunista Español i cui esponenti, così come tutti gli oppositori del regime di ogni tendenza politica, sono in esilio del 1939.

Nel dicembre 1978 viene promulgata la Costituzione, che definisce la Spagna come uno stato formato da varie comunità autonome, cui sono restituite anche le rispettive lingue ufficiali: oltre allo spagnolo (o castigliano, lingua tra le più parlate nel mondo), il catalano, il basco e il galiziano. Tale evoluzione non frena però l’irredentismo basco rivoluzionario il cui braccio armato, l’ETA, nato nel 1958, continua a colpire fino al 2009. Ma c’è pure, dal 1978 al 1991, una formazione terrorista catalana di estrema sinistra, Terra Lliure,

Nel 1981 la Spagna soffre un tentato golpe, con l’occupazione militare del Parlamento; ma re e popolazione si rifiutano di tornare al franchismo e il paese ne esce indenne. Dopo lo scioglimento dell’UCD, al governo si alternano i due partiti principali, Partido Popular a destra e Partido Socialista Obrero Español a sinistra. Dopo Felipe González (PSOE, 1982-1995) viene José María Aznár (PP, 1996-2004), cui succede José Luis Rodriguez Zapatero (PSOE, 1996-2011). Durante il suo governo viene finalmente stabilita una tregua con l’ETA, portando la pace nei Paesi Baschi e non solo. Con la democrazia e le autonomie politico-culturali, l’indipendentismo ha perso molto del suo significato originario, anche se non è del tutto tramontato.

Ma nel frattempo è arrivata la crisi globale e Zapatero ne diviene il capo espiatorio. Gli indignados occupano le piazze, protestando da sinistra, criticando il bipartitismo e inducendo il presidente del governo alle dimissioni. È un movimento contrario alla vecchia classe politica, da cui sorgerà nel 2014 il partito chiamato Podemos; non è difficile trovarne un equivalente italiano. Ma in realtà, scacciando lo PSOE dal governo, nel 2011 gli indignados fanno un grande favore al PP, che sale al potere con Mariano Rajoy (2012-2016) e procede inevitabilmente a inasprire le misure anticrisi, sull’esempio di altri paesi europei. Senza contare altre riforme, come quella sull’aborto che riporta la legislazione indietro di almeno un decennio.

Ci sono altri due fattori in gioco. Primo, la corruzione: se per lungo tempo era stata associata ai socialisti, ultimamente i casi più clamorosi hanno toccato i popolari. È di questi giorni la notizia di una nuova indagine su presunti fondi neri a Valencia. ieri l’ex-tesoriere del partito, Luis Bárcenas, dopo anni di inchiesta ha ammesso che certi dischi rigidi distrutti impunemente a Madrid contenevano dati compromettenti sulla contabilità segreta del PP; a dare l’ordine sarebbe stata la segretaria generale Maria Dolores de Cospedal. Un rappresentante del PP dovrà presentarsi in tribunale il 12 febbraio. Intanto, se non da accuse dirette, Rajoy è bersagliato da critiche per ciò che è avvenuto sotto il suo naso nel partito.

Le inchieste anticorruzione non risparmiano nessuno: dal presidente della Generalitat (il governo autonomo catalano) Artur Mas, poche settimane prima delle elezioni locali del settembre 2015 che, come vedremo tra poco, hanno un forte significato politico; al suo predecessore alla Generalitat, Jordi Pujol; fino alla stessa famiglia reale. Nel 2014 re Juan Carlos I abdica in favore del figlio, Felipe VI; nel 2015 questi revoca il titolo di duchessa di Palma alla sorella Cristina, che proprio a Maiorca è sotto indagine per possibile complicità in reati fiscali attribuiti al marito Iñaki Urdangarín. Il processo riprenderà il 9 febbraio 2016 a (nella foto: il palazzo di giustizia di Palma); ma intanto, malgrado la serietà del sovrano che intende lasciare che la giustizia faccia il suo corso senza favoritismi, qualche freccia viene fornita all’arco di chi ritiene sia il momento di tornare alla Repubblica, come prima della Guerra Civile del 1936.

Secondo fattore, il separatismo catalano. Il presidente della Generalitat Artur Mas, in carica dal 2010, raggruppa nella coalizione Junts pel Sí vari partiti locali favorevoli a lasciare la Spagna, trasformando la Catalogna in uno stato indipendente: il cosiddetto Próces, che qualcuno chiama ironicamente catalexit. Alle elezioni autonome del 27 settembre 2015, Junts pel Sí è il gruppo più votato e punta a un referendum sull’indipendenza catalana (gesto che andrebbe contro la Costituzione spagnola). Il 10 gennaio 2016 diviene president Carles Puigdemont, sulla stessa linea politica di Mas: è il primo, all’atto della nomina, a non giurare fedeltà anche al re di Spagna. Il 31 gennaio manifestano a Barcellona i sostenitori dell’unità nazionale, mentre la Generalitat continua implacabile con la sfifa separatista.

Forse molti elettori catalani vedono l’indipendenza come un proseguimento delle partite di calcio Barça-Real Madrid con altri mezzi e non pensano alle conseguenze. Ma la Catalogna diverrebbe un paese extra-comunitario, uscirebbe dall’euro e dall’area Schengen: anche solo transitare dal punto nodale internazionale costituito dall’aeroporto di Barcellona sarebbe un problema. La regione non verserebbe più tasse al governo centrale, ma non riceverebbe nemmeno più i cospicui finanziamenti da Madrid. Per giunta qualcuno da Barcellona ha già manifestato l’intenzione di estendere il dominio anche alle comunità vicine (Valencia, Aragón, Baleares), di cui da decenni è in atto una colonizzazione forzata, con l’imposizione della lingua catalana anche in contesti che non sono affatto catalani. Contrari al separatismo sono il PP, il PSOE e una nuova formazione di centro, Ciudadanos, il cui stesso leader Albert Rivera è catalano. È a favore invece Podemos, il partito che ha raccolto l’eredità degli indignados e si propone come formazione di sinistra.

E veniamo alle elezioni del 20 dicembre 2015. Durante la campagna in certe zone si vedono persino paradossali manifesti con la faccia di Mariano Rajoy e promesse in catalano, nella speranza di sedurre la popolazione locale. Ma è la figura più anziana, il che può influenzare la scelta degli elettori. Il PSOE ha da un anno e mezzo alla testa il volto nuovo di Pedro Sánchez. Ciudadanos si presenta con un altro giovane, Albert Rivera. Podemos sfoggia il pizzetto e la coda di cavallo di Pablo Iglesias.

Oltre sette milioni di spagnoli votano PP, che vince le elezioni ma non ottiene la maggioranza assoluta. Perché in realtà a dominare è il rifiuto del PP, manifestato però sotto forme contrastanti. Il PSOE è al secondo posto. Al terzo, con lieve scarto, Podemos, che di certo gli ha rubato voti. Al quarto Ciudadanos, che presumibilmente ha sottratto elettori al PP. Risultato: i numeri non rendono facile una proposta di governo e oltretutto le consultazioni devono attendere la fine dell’intervallo natalizio.

Nel frattempo, Rajoy propone una grande coalizione da lui presieduta con PP, PSOE e Ciudadanos; lascia fuori, s’intende, Podemos, che sostiene ed è sostenuto dagli indipendentisti. Ciudadanos accetterebbe un governo del PP, anche se non vede Rajoy troppo di buon occhio. Ma i socialisti ribadiscono il rifiuto al PP in generale e a Rajoy in particolare. Dal canto suo Iglesias di Podemos non intende sostenere neanche indirettamente Rajoy e propone un governo di cambiamento e progresso con il PSOE, in cui vede Sánchez come presidente e se stesso come vicepresidente; prospetta inoltre l’istituzione di un Ministero per la Plurinazionalità, che – si presume – dovrebbe sovrintendere all’uscita della Catalogna, un punto su cui PSOE e Podemos sono in completo disaccordo.

Alla fine del primo giro di consultazioni, il capo di stato re Felipe VI affida l’incarico, come logico, a Mariano Rajoy, il quale non lo accetta, evento senza precedenti nei quarant’anni della Spagna democratica. Il 2 febbraio 2016, finito il secondo giro e constatato che Rajoy è sempre dubbioso, il sovrano investe dell’impegno Pedro Sánchez. Anche questo è un fatto inedito: la prima volta che a essere incaricato non è il partito vincitore. Il leader dei socialisti si dichiara ottimista, ma chiede da tre a quattro settimane per formare un governo, naturalmente senza l’aiuto del PP. È passato un mese e mezzo dal voto e la Spagna rischia di doverne aspettare un altro prima di sfuggire al rischio di nuove elezioni, che dilaterebbero ancora di più i tempi di soluzione di problemi urgenti, quali disoccupazione e precariato.

Si parla di una seconda Transición, ma non è facile uscire dal labirinto iberico: per trovare la strada, Sánchez deve fare i conti con Podemos, che gli si propone come principale alleato da sinistra, ma appoggia l’indipendenza catalana. Se mai questa ipotesi diventasse realtà, sarebbe l’anticamera della dissoluzione della Spagna in tre o quattro stati, destabilizzando l’area e generando tensioni etniche da ex-Jugoslavia. Ma non è proprio il caso di ricordare gli ottant’anni dallo scoppio della sanguinosa Guerra di Spagna scatenandone una nuova.

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Andrea Carlo Cappi

Andrea Carlo Cappi, nato a Milano nel 1964, vive da anni tra l'Italia e la Spagna. È uno dei più attivi scrittori italiani di letteratura di genere, spaziando fra thriller, avventura e fantastico. Dal 1993 ha pubblicato cinquanta titoli fra narrativa e saggistica e più di un centinaio di racconti. È anche traduttore di numerosi bestseller dall'inglese e dallo spagnolo e ha curato varie edizioni italiane dell'agente 007. Ha scritto i racconti e romanzi del "Kverse", l'universo thriller che riunisce le serie "Nightshade" (da Segretissimo Mondadori, firmata a volte con lo pseudonimo François Torrent), "Medina" (Il Giallo Mondadori, Segretissimo Mondadori) e "Black" (Cordero Editore). Sono riapparsi di recente in libreria "Medina-Milano da morire" (Cordero), "Nightshade-Obiettivo Sickrose" (Cento Autori), cui si aggiungono le novità "Black and Blue" e "Back to Black" (Cordero). Algama Editore (www.algama.it) sta pubblicando in ebook parecchi titoli editi e inediti di questo ciclo: "Malagueña", "Dossier Contreras", il serial "Missione Cuba", "Black Zero", "Black and Blue". Cappi ha dato vita anche a una saga horror-erotica con il romanzo "Danse Macabre-Le vampire di Praga" (Anordest). Ha collaborato al serial di RadioRAI "Mata Hari" e ai fumetti di "Martin Mystère", personaggio cui ha dedicato racconti e romanzi originali, tra cui "L'ultima legione di Atlantide" (Cento Autori). Ha scritto poi quattro romanzi originali con protagonisti Diabolik ed Eva Kant, ora ripubblicati da Excalibur/Il Cerchio Giallo. Per Algama è autore dell'ebook "Fenomenologia di Diabolik", saggio autorizzato sul Re del Terrore e il suo mondo in tutte le loro declinazioni, ora riproposto in un volume illustrato a colori da Edizioni NPE. Sono disponibili in ebook anche il saggio "Le grandi spie" (Vallardi), il mystery "Il gioco della dama" (dbooks.it), le storie erotiche de "La perfezione dell'amore" (Eroscultura) e il racconto fanta-erotico "Nuova carne" scritto a quattro mani con Ermione (Eroscultura); con lei Cappi ha pubblicato inoltre per Algama gli ebook "Tutto il ghiaccio del mondo" e "Cosplay". Gestisce con Giancarlo Narciso il webmagazine Borderfiction.com e con Fabio Viganò il blog "Il Rifugio dei Peccatori".

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