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The signal, di William Eubank: fantascientifico non significa irrazionale

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C’è uno scrittore tedesco del 700 di letteratura fantastica, molto originale e moderno, che rappresenta la mia croce e delizia.

Si tratta di Ernst Theodor Hoffman, autore di storie immaginifiche e affascinanti, prive tuttavia di un rigoroso filo logico, che non si preoccupano di rispettare le normali coordinate spazio-temporali della narrazione.

Sfido chiunque a leggere il romanzo più famoso di Hoffman, Gli Elisir del Diavolo, e capirci qualcosa.

Naturalmente lo scrittore tedesco vuole esprimere una profonda visione artistico/filosofica ( la realtà è molto più sbagliata e inautentica di ciò che la libera fantasia del narratore immagina) ma serve come esempio della reazione che suscitano in me film, come The signal, che puntano tutto sulla suggestione e sulla spettacolarità delle immagini, disinteressandosi della coerenza della storia: una piacevole fascinazione unita a un profondo fastidio.

Questa volta il fastidio prevale.

La pellicola firmata dal regista statunitense, conosciuto fino ad oggi soprattutto come pregevole “direttore della fotografia”, incomincia come una commedia sentimentale in agrodolce, che tratteggia i rapporti sentimentali e affettivi di un anomalo terzetto di amici, di cui uno gravemente disabile, poi parte per la tangente, trasformandosi in una caleidoscopica e piuttosto sconclusionata avventura che ha per sfondo l’enigmatica quanto abusatissima Area 51 nel deserto del Nevada, dove si nasconderebbe il segreto di un contatto tra la civiltà umana e quelle extraterrestri.

Gli effetti speciali, alcuni notevoli, si sprecano, senza preoccuparsi di lasciar dietro molti interrogativi sul senso e la coerenza di quello che sta accadendo.

Qualcuno dirà che, trattandosi di un film di fantascienza, questo è del tutto giustificabile; in realtà, è vero l’esatto contrario. Il cinema fantascientifico, come anche la narrativa dello stesso genere, proprio perché ci sbalzano in mondi del tutto slegati dall’esperienza comune hanno il dovere di mantenere un’ossatura logica.

Confezionare una storia fantascientifica aperta, che alla fine non sia in grado di riannodare tutti i fili, come avviene in The signal, lascia lo spettatore insoddisfatto, anche se gli fa trascorrere un’ora buona fra serrate e mirabolanti trovate visive.

Rino Casazza

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La logica del Burattinaio, nella mente del serial killer
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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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