Culturesocietà

Frieda, confessioni di un agente letterario

Riscoprire un capolavoro senza tempo nell'era dei social

Frieda, la storia della “riscoperta” di un libro senza tempo. Una vicenda editoriale unica ai tempi di social network e coronavirus raccontata in prima persona da un agente letterario a caccia di scrittori veri

 

Di Gianluca Zanella

Quando le persone mi chiedono che lavoro faccia, ho sempre qualche istante di difficoltà. Non tanto per paura che il mio interlocutore non capisca, quanto per non essere sicuro di riuscire a spiegarmi bene. Dunque alla risposta “Faccio l’agente letterario”, segue sempre la postilla “Vado a caccia di scrittori”. Il termine anglosassone sarebbe talent scout, ma non mi piace il suono della parola, quindi mi affido alla ricchezza del nostro vocabolario per inoltrarmi in definizioni a volte precise e circoscritte, altre volte più elaborate, in base all’umore del giorno.

I miei “terreni di caccia” sono molti: festival letterari, presentazioni di libri, il supermercato dietro casa e, soprattutto, i social. È su portali come Facebook, Twitter e Linkedin che entro molto spesso in contatto con scrittori o aspiranti tali. Specificare la differenza è d’obbligo: Non conosco la tendenza negli altri Paesi, ma posso dire con una discreta dose di sicurezza che in Italia ci sono molti più (pseudo) scrittori che lettori.

Sono tanti i messaggi che mi arrivano ogni giorno. Persone che mi chiedono di leggere le proprie opere, di valutarle, di curarne l’editing, nell’intento di inserirsi nella corrente giusta che li porti al mare magnum dell’industria editoriale italiana, ovviamente puntando sempre al top, sicuri di avere tra le mani il prossimo Premio Strega, quando non il Nobel.

Inutile dire (ma lo dico lo stesso) che un buon 90% delle volte quello che mi arriva è da cestinare dopo aver letto le prime righe. Lo so, vi chiederete come si possa scartare un libro senza nemmeno aver letto le prime dieci pagine. Vi assicuro che è possibile, anzi, se così non fosse sarebbe davvero impensabile poter far fronte all’infinita mole di materiale che si accumula nella mia casella di posta. Senza contare il fatto che, molto spesso, chi mi contatta lo fa senza alcun tatto verso il mio lavoro, pretendendo una valutazione gratuita di un libro che magari supera le 500 pagine, senza rendersi conto che per farlo devo impiegare tempo, concentrazione e, soprattutto, la mia professionalità.

Altre volte, invece, chi mi scrive riesce a cogliere la mia attenzione anche solamente per la gentilezza che traspare sin dalle prime righe del messaggio. Con Christophe Palomar è andata così. Il suo messaggio mi arriva sulla posta di Linkedln in un giorno qualunque. Mi chiede se voglio leggere qualcosa di ciò che ha scritto, rispondo di sì senza troppi convenevoli. Inizia così, grazie all’intermediazione di un social, la storia della mia prima grande scoperta. O meglio, la storia di una riscoperta.

Christophe mi affascina da subito. Mentre mi invia un saggio scritto a sei mani e che vedrà la luce senza la mia intermediazione nel 2019, cerco qualche informazione su di lui, rendendomi conto che si trova veramente poco. Una volta letto il saggio in questione (pubblicato da Pendragon con il titolo Occhi mediterranei), ci sentiamo telefonicamente. Vive a Bologna, ma il suo accento è il risultato di un impasto di lingue, culture e luoghi diversi: Trieste, Parigi, Tunisia, Spagna.

Il saggio che ho letto mi ha convinto, ma non credo di avere contatti con l’editore giusto. Lui mi dice che ha dell’altro materiale, io gli dico che mi piacerebbe leggere qualcosa, lui mi dice che sarebbe bello conoscerci di persona, io prenoto seduta stante un treno per Bologna. Nel giro di pochi giorni siamo faccia a faccia sotto la Fontana del Nettuno.


Niente convenevoli, nessun imbarazzo. Come due vecchi amici per i quali la differenza d’età è un aspetto insignificante, ci abbracciamo (sembrano lontani i tempi in cui si poteva farlo senza temere il contagio!) e, facendoci largo tra i turisti che affollano il centro di Bologna in quella primavera del 2018, troviamo un bar in cui sederci.

Mentre attendiamo che qualcuno venga a prendere le ordinazioni (capiremo solo dopo una buona mezz’ora che non è previsto il servizio al tavolo) cominciamo a parlare. Di cosa, non ricordo. Probabilmente di tutto. Mi colpisce la sua cultura vasta e il modo di non farla pesare sull’interlocutore. Capisco di avere di fronte un uomo di mondo, particolarmente avvezzo nel cogliere le sfumature e le contraddizioni del presente, dei rapporti con le persone, delle dinamiche che regolano la società.

È mentre stiamo parlando del saggio che ho avuto il piacere di leggere che mi parla di un suo romanzo, Frieda. Al di là di quello che mi dice, una cosa mi colpisce sopra tutte: il libro è già stato pubblicato qualche anno prima. Abbastanza per farmi disinteressare seduta stante della faccenda. Un libro già pubblicato è un libro “bruciato”, è stato più o meno quello che ho pensato. Mi spiego meglio: perché perdere tempo a parlare di un libro già uscito per un’altra casa editrice quando io sono venuto qui alla ricerca di qualcosa di inedito?

Christophe capisce il mio ragionamento, ma insiste nel volermi far leggere questo Frieda. Ne parla davvero come se si trattasse del libro di tutta una vita. Gli dico che lo leggerò e cambiamo argomento.

Al termine del nostro incontro, sui binari della stazione sotterranea in attesa del treno che mi porterà a Roma, Christophe torna all’attacco. Mi ha già mandato il Pdf del libro, dice, così lo potrò leggere durante il viaggio di ritorno.

Ammetto di essermi improvvisamente scoperto contrariato. Non tanto nel sentirmi messo con le spalle al muro da un autore che conosco appena, quanto nello scoprire, una volta comodamente seduto al mio posto, che ho dimenticato a casa il romanzo che stavo leggendo e che dunque sono in qualche modo costretto a ingannare il tempo leggendo un libro che – a prescindere – so che non rappresenterò mai presso alcun editore.

Il viaggio da Bologna a Roma sull’alta velocità dura circa tre ore. Tre ore durante le quali ogni mio convincimento riguardo il mio rapporto futuro con Frieda viene implacabilmente sovvertito. Quello che scorre sullo schermo del mio portatile è un romanzo che, pagina dopo pagina, mi lascia senza fiato. Al mio arrivo a Termini sono arrivato a metà, l’altra metà la divorerò il giorno seguente.

Frieda è la storia di una fuga senza fine da sé stessi, quella del conte Joachim von Tilly, ricco rampollo di una famiglia di industriali nella Germania di inizio Novecento. Una fuga che lo porterà in Italia, Austria e, infine, Argentina. Una fuga costellata di incontri, amori travolgenti, tradimenti, amicizie, sullo sfondo del tragico dipanarsi del Secolo breve, tra la fine in agonia della Belle Epoque e l’avvento brutale del nazifascimo. La Frieda che dà il titolo al romanzo è realmente esistita: si tratta di Frieda von Richthofen, figlia di un ufficiale tedesco e cugina del Barone Rosso, destinata a divenire musa e moglie di D.H. Lawrence. Donna dalla personalità eccezionale, è lei la grande fonte d’ispirazione del protagonista e voce narrante del romanzo.

Di quest’opera mi colpisce l’atmosfera di una grande saga d’altri tempi, narrata con un linguaggio e uno stile modernissimo, personale. Una penna, quella di Palomar, capace di sviscerare l’animo dei protagonisti, di coglierne le doppiezze, gli inganni, le falsità ma, soprattutto, la grande umanità, spesso caratterizzata tra una tragica ironia.

Mi rendo conto del grande potenziale di questa storia così trasversale e, improvvisamente, il fatto che il libro sia già stato pubblicato si trasforma in un’opportunità. Telefono a Christophe. Non sembra stupito del fatto che io abbia cambiato idea riguardo Frieda nel giro di 48 ore. Ho bisogno di sapere di più della vecchia pubblicazione. Tutti i dettagli.

Per buona parte della sua vita, Christophe è stato un manager e dirigente d’azienda a grandissimi livelli. Ha viaggiato molto ed è stato proprio nel corso di questi viaggi che ha scritto Frieda. Una gestazione lenta, maturata per lo più nel cuore della notte. Una specie di doppia vita, la sua. Poi, un giorno, avviene quella piccola “svolta”, quell’incontro, quell’improvvisa illuminazione che può mutare il corso degli eventi per ciascuno di noi. Christophe incontra Francesco Morawetz, un letterato prestato al mondo aziendale. È infatti in ambito lavorativo che i due si conoscono e si piacciono, come possono piacersi gli spiriti affini.

Una sera a cena, a margine di discorsi tutti gravitanti attorno all’orbita dell’azienda di turno che li vedeva temporaneamente colleghi, Morawetz chiede a Christophe di fargli leggere qualcosa di suo. Perché è chiaro che tu sia uno scrittore, gli dice. Christophe si sente preso in contropiede. Non si aspettava certo di venire allo scoperto in questo modo. Prima nega, poi ammette. Si, sono uno scrittore. Qualche giorno dopo, Christophe porta il manoscritto di Frieda a quello che, inaspettatamente, si sta profilando come mentore. Ancora non sa che Francesco Morawetz ha un figlio, Lucio Morawetz, noto libraio milanese che ha in progetto di diventare anche editore.

Da questo momento le cose sembrano accelerare il loro corso. L’incontro con Lucio, la proposta di pubblicare con la Libreria Utopia Editrice, il netto rifiuto di Christophe, che non vuole mischiare le sue due vite. Poi la stessa proposta, ancora un rifiuto, stavolta meno netto. Poi il sogno di vedersi pubblicati prende il sopravvento. E sia! Ma poche copie, nessuna distribuzione, nessuna pubblicità. Affare fatto. Frieda viene pubblicato in 500 copie nel 2015. Sarà disponibile solamente all’interno della libreria.

Poi accade qualcosa.

Le prime copie vendute, i primi commenti in rete – tutti positivi, e – assolutamente inaspettate – le prime recensioni da parte di grandi critici del panorama italiano, venuti chissà come a conoscenza di Frieda. “Uno splendido esordio”, scrive Daniele Giglioli sul Corriere della Sera; “Palomar fa il proprio esordio con un romanzo di rara potenza narrativa e letteraria… un capolavoro”, scrive su Il Giornale Gian Paolo Serino.

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Tanto Christophe quando il suo editore sono sconcertati. Ma lo sono ancora di più quando Frieda viene selezionato per il Premio Campiello «Opera Prima». Certo, non stiamo parlando del Festival di Sanremo, ma partecipare a un premio così prestigioso, irrompendo sulla scena letteraria italiana a gamba tesa, sicuramente esporrebbe a una discreta notorietà, almeno in ambito culturale. Questa considerazione, legata alla mancanza fisica di copie cartacee da inviare ai giurati del Premio e dai primi gelidi venti del fallimento che travolgerà la casa editrice di lì a poco tempo, spingono entrambi a tirarsi indietro.

Proprio come “uno stupendo meteorite capitato da chissà dove” (Silvia de Laude sul blog Satisfiction), Frieda si perde da qualche parte nell’universo. Alcune copie circolano sul web, qualcuno nei blog si chiede che fine abbia fatto il misterioso Christophe Palomar, addirittura se sia mai esistito, ma il silenzio dura – più o meno ininterrotto – tre anni.

Tre anni sicuramente cruciali nella vita di Christophe; tre anni durante i quali l’anima dello scrittore prende il sopravvento su quella del dirigente d’azienda. Come nato a nuova vita, Christophe si guarda indietro, forse sente di aver mancato una grande occasione, o forse capisce di averla solamente rimandata a un futuro prossimo. Questo dovremmo chiederlo a lui.

Poi quello che già sapete: un messaggio su Linkedln, un treno preso come un salto nel buio e un caffè che non arrivava. E infine questa chiamata. Da oggi sono il tuo agente, gli dico. Va bene, risponde Christophe. Chiudo la telefonata e prima che arrivi il treno (si, sono alla stazione di Maccarese. Telefonare in attesa di un treno è stata la costante di quel periodo), compongo il numero di Vincenzo Ostuni, l’editor di Ponte alle Grazie. Collaboro da tempo con questa casa editrice che in qualche modo mi ha dato i natali, ma fino a questo momento sempre per libri d’inchiesta, anche molto coraggiosi. Mai per un romanzo.

Parlo con Vincenzo. Le nostre sono chiamate veloci. L’essenziale la fa da padrone. È un libro già pubblicato, gli dico, ma la casa editrice è fallita e l’autore detiene tutti i diritti. Ah, aggiungo, è bellissimo.

Frieda è stato pubblicato da Ponte alle Grazie il 27 febbraio 2020, alla vigilia della pandemia che avrebbe sconvolto le nostre esistenze (in perfetta linea con la sua storia editoriale unica) in una versione in parte differente dalla prima, se possibile migliore. Una parte consistente del lavoro di promozione punta proprio su quello che, inizialmente, mi era parso come un ostacolo insormontabile: la passata pubblicazione e la scomparsa dai radar che, caso davvero più unico che raro, permettono oggi il grande ritorno. Una storia nella storia – in parte ancora da scrivere – dove tutto (o almeno, la tappa finale del viaggio) parte da un social network.

Quel messaggio su Linkedin è stato per me un passaggio cruciale che mi ha portato a prendere decine di treni, passare ore al telefono, correggere bozze, infilarmi nei panni del conte von Tilly, immaginare il volto di Frieda, il suo sorriso, il suo odore. Grazie a Christophe ho viaggiato da Napoli a Buenos Aires insieme a migliaia di migranti italiani sul ponte di un transatlantico; ho assaporato l’atmosfera estiva di una Capri esaltante di inizio Novecento e ho sentito sulla pelle il vento che spazza la Pampa argentina; ho camminato nella Vienna della Belle Epoque tra studenti perdigiorno e artisti suicidi; ho vissuto in prima persona la tormentata parabola di una Germania protagonista indiscussa nella storia del secolo scorso.

Ecco, quando mi chiedono che lavoro faccia, mi piacerebbe sempre poter rispondere: scopro dei capolavori senza tempo.

Gianluca Zanella

Frieda, di Christophe Palomar – GUARDA IL ROMANZO

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Gianluca Zanella

Gianluca Zanella, giornalista, editor e agente letterario. Dal 2015 collabora con alcune tra le maggiori realtà editoriali del panorama italiano. Specializzato in libri d'inchiesta, tra i molti titoli su cui ha lavorato troviamo Nome in codice Siegfried di Adriano Monti e Alessandro Zardetto (Chiarelettere, 2016); Supernova e Il Sistema Casaleggio, di Nicola Biondo e Marco Canestrari (Ponte alle Grazie, 2018); Dietro il mephisto del Comandante Alfa (Longanesi, 2020). Per la narrativa, ha riscoperto il caso letterario Frieda, di Christophe Palomar, già pubblicato da una piccola casa editrice nel 2015 e ripubblicato da Ponte alle Grazie nel 2020. Collabora con Aise (Agenzia internazionale stampa estera) dal 2018. Per Ponte alle Grazie cura l'ufficio stampa del settore inchieste e nel 2018 ha fondato Gianluca Zanella Editing, service per case editrici e privati.

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