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“Paziente zero” un romanzo breve di Edoardo Rosati

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Mettetevi comodi e prendetevi una mezzora. In esclusiva su Fronte del Blog ecco un romanzo breve del batmanofilo Edoardo Rosati, autore con Danilo Arona del medical thriller  “La croce sulle labbra” (Anordest edizioni). 

paziente zero

 

 

 

PAZIENTE ZERO

 

Lo spazzolino infarcito di detergente germicida scorreva come una lima puntigliosa. Levigò la cute. Tra le dita, sotto le unghie. Poi passò a lucidare le mani. Prima il palmo. Quindi il dorso. Adesso entrambi, rigorose traiettorie a spirale. Il lavaggio si spostò all’avambraccio, dal polso fino al gomito, con gesti ripetuti per l’intera superficie.

Gli occhi del professor Jacopo Pietrangeli seguivano i ghirigori schiumosi, restando ogni volta ipnotizzati dal valzer di bolle. Per una qualche ragione, il suo sguardo pareva più vitreo del solito. Risciacquò le parti insaponate sotto il getto d’acqua calda corrente. Le lasciò sgocciolare tenendo gli avambracci piegati e ben lontani dal corpo, dita bene erette.

Un asciugamano sterile completò il rito.

«Professore, due minuti», una voce all’esterno, un colpo di nocche sulla porta.

Dal piano in marmo azzurro sulla filiera dei lavabi, Pietrangeli afferrò una piccola busta trasparente sigillata e sterilizzata. Un strappo energico alla confezione. Estrasse un auricolare ergonomico, quasi del tutto occultabile all’interno del padiglione auricolare, e un microfono lavalier “da cravatta”. Lo applicò sul girocollo della casacca a maniche corte. Con delicatezza prese poi il berretto e se lo calò sulla capigliatura brizzolata, rigorosamente a spazzola. Lo stirò con premura sulle tempie, che nessuna piega del tessuto potesse offuscare la microcamera digitale incorporata. Lisciò con una mano i due cavetti di segnale, inserì i mini-jack nel trasmettitore alla cintura.

Solo a questo punto Pietrangeli indossò il camice.

Si voltò verso l’imponente specchio della sala per la preparazione dell’équipe chirurgica. Parlò alla propria immagine riflessa.

«Chicca.»

«In linea, gran pezzo di maschio. Son et lumiére!» Una voce femminile pastosa, dritta nel padiglione auricolare di Pietrangeli. “Forte e chiaro.”

Chicca Robles passò il dorso di un dito sul monitor, accarezzando l’immagine il viso squadrato di Pietrangeli, immortalato sullo specchio dalla microcamera. Poche luci nell’unità di regia mobile, un furgone piazzato nel parcheggio dell’ospedale, molte ombre cibernetiche.

 

«Chicca, mia dolce Chicca… Ho una sorpresina, per te.»

«Professore, 30 secondi», ancora le nocche all’esterno.

«Tipregotipregotiprego…», Chicca sembrava una bimbetta che fa i capricci. “Dimmeladimmeladimmela!”

Countdown agli sgoccioli. Il professor Pietrangeli si limitò a una strizzata d’occhio allo specchio, da vero marpione. Coprì con la maschera antisettica la sua barbea sale e pepe, scientemente di tre giorni. Girò i tacchi.

Da quel preciso istante e da quel momento Chicca si ritrovò dentro i globi oculari di Pietrangeli. Accadeva ormai da quindici puntate settimanali, ognuna baciata da share stellari. A vivere in soggettiva ugualmente stellari performances operatorie.

 

«Navigherete oltre i confini dell’epidermide. Conoscerete le meraviglie dell’unico, vero Pianeta Rosso: il Corpo Umano. Vivrete in soggettiva l’arte del bisturi. Perché se il demiurgo è l’intelligenza che progetta il mondo, il chirurgo è il genio che lo cura. Pronti a salpare. Sul filo del…»

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Sulle parole del teaser, le note di James Newton Howard, main title del film L’Acchiappasogni. Sulle note, un groviglio di dissolvenze incrociate. L’Uomo Vitruviano, la “Lezione di anatomia del dottor Tulp” di Rembrandt, dettagli di guanti in lattice che inglobano mani, corpi mutilati dei reduci dall’Iraq. Un denso rivolo di emoglobina. Che diventa una vermiglia linea retta. Che poi si tramuta in un sinuoso filo di sutura. Che alla fine assume il profilo di una lama lanceolata. Un bisturi, che seziona a metà lettere metalliche: THE LANCET.

«E adesso regalami un orgasmo», sussurrò Chicca nell’orecchio di quel gran pezzo di maschio. Dopo la sigla, Chicca sollevò in aria tre dita, divennero due. All’indice che andava abbassandosi, Francesco, il giovane assistente alla regia, mandò in onda la voce preregistrata di uno speaker.

«Benvenuti, signore e signori. Eccoci ancora insieme per spingerci là dove il vostro sguardo non è mai giunto prima. Le mani del grande Jacopo Pietrangeli ci offriranno una nuova pagina di alta arte chirurgica, illustrandoci i prodigi di un intervento in laparoscopia».

Punto di vista della telecamera nel berretto del professore, lo scorrere di un corridoio dalle tinte matalliche.

Chicca strinse gli occhi. «Gioia mia, dov’è che stai andando?», Non era affatto quella la strada da imboccare. «E’ nella sala A che ti aspettano.»

«E’ la mia sorpresa, tortorella. Tu pensa a reggerti forte.»

«Mi farai impazzire…»

Chicca era visibilmente eccitata. Frangetta corvina e curve pericolose, si riposizionò gli occhiali griffati. Appoggiò più o meno inconsapevolmente una mano sul monte di Venere, strizzato dai jeans rosa cuciti addosso. Francesco non nascose un sorriso maligno.

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«Negli anni Sessanta» proseguiva la voce fuori campo «i chirurghi commisuravano la personale bravura ai virtuosismi invasivi del bisturi. Il sommo motto che regnava a quei tempi in sala operatoria era: “Grande taglio, grande chirurgo!”. Oggi una certa schiera di camici verdi preferisce guardare, per così dire… dal buco della serratura. Proprio così: il Professor Pietrangeli ci dimostrerà come rimuovere una cistifellea intasata dai calcoli praticando soltanto tre, al massimo quattro brecce sulla parete addominale. Il diametro di ciascuna? Pensate: soltanto nove millimetri! Attraverso una di quelle porte verrà introdotta una sonda che…»

«Signore e signori, vogliate perdonarmi.»

Il professore. Invase vocalmente il commento on the air. Soggettiva di fronte alle porte scorrevoli della sala C. Due severe ante blu elettrico.

A gesti frenetici, Chicca ordinò a Francesco di stoppare al volo l’introduzione dello speaker.

Soggettiva. Le ante si aprirono sibilando. Pietrangeli solcò lo spazio della nuova location. Verso il fondo, le silhouette immobili di tre camici verdi. Ingrandirono sul monitor con l’avanzare del professore.

Sul tavolo operatorio, un addome scoperchiato.

«Macheccazz…» Francesco. Le cui labbra non riuscirono a trattenere un secondo sorriso.

«Non ho avuto modo d’informare la produzione per tempo” riprese Pietrangeli. “Ma questa sera i nostri palinsesti subiranno un piccolo fuori programma: dobbiamo affrontare un’urgenza.» Pietrangeli si voltò verso l’assistente chirurgo.

Primo piano, l’altro medico visibilmente impacciato. «Sì… Uno schianto in auto. E’ stato trasportato qui in condizioni disperate. Ciò che abbiamo…»

«Provate a immaginare la scena…»

Il Professor Pietrangeli si reimpossessò subito della parola, non molto professoralmente, in verità. La sua testa si protese. Anche la microcamera si protese. Zoom a ingrandire i tessuti purpurei, slabbrati del corpo.

«Lo scontro. L’urlo delle lamiere. L’addome di questo giovane che s’infossa con violenza contro il volante. Sempre nel rispetto della privacy, chiameremo questo sventurato Paziente Zero. Il collega ha già provveduto ad asportare la milza. Ma durante l’intervento ha notato uno scolo sanguigno nella cavità addominale, proveniente dall’area epatica. E’ stata praticata un’incisione a destra, sotto le coste e… adesso guardate.»

Senza troppi complimenti, Pietrangeli tolse di mezzo una risma di garze infarcite di sangue grumoso. Si chinò per inquadrare la cupola del fegato.

«Il gioco si fa duro, Francè», Chicca si elettrizzò ancora di più. «Perché Pietro non è ancora lì con la telecamera? ‘Fanculo, digli di fiondarsi nella Sala C on the double! Qui facciamo la storia della tivvì, eccheccazzo!»

La mano guantata di Pietrangeli frugò ad agganciare la faccia superiore del fegato del Paziente Zero. La forzò verso il basso.

«Pro-Professore…» la voce dell’assistente, ingolfata da preoccupato imbarazzo.

«Mi lasci fare» risposta piccata. «I nostri telespettatori devono vedere.»

Le sue dita infilate sotto le coste del paziente generarono un rutilante geyser di sangue. Schizzi obliqui volarono sulla manica del camice.

«Ecco il disastro provocato dall’incidente.» Pietrangeli mollò la presa. Tamponare l’emorragia con abbondanti garze. «Sono state tranciate le vene sovraepatiche, i vasi che il sangue – uscendo dal fegato – percorre per raggiungere il cuore. E’ danneggiata anche la cava inferiore, il grande collettore venoso che raccoglie il fiume sanguigno dall’ombelico in giù e sbocca…»

Le ante metalliche della porta della sala operatoria si spalancarono.

Irruppe Pietro, il cameraman, auricolare innestato, steady-cam imbracciata. Si fottesse l’asportazione laparoscopica della colecisti nella Sala B. Era qui, nella C, lo show vero.

«Alla buon’ora, Pietro.»

Chicca, che adesso poteva disporre di un diverso occhio. E, soprattutto, del profilo fascinoso del suo cinquantunenne Pietrangeli.

«… e sbocca, dicevo, in alto, nell’atrio destro del muscolo cardiaco. E’ come se strappaste una manciata di gerani dal vostro vaso sul davanzale. I gambi dei fiori sono le vene sovraepatiche. Il vaso è il fegato. Il piccolo cratere che resta sul terriccio è la falla sulla cupola epatica di questo paziente.»

Il silenzio, calcolato col bilancino del farmacista, avvolse il quartetto. E strangolò l’invisibile platea nelle case.

Pietrangeli, voce fuori campo. «A questo punto, signore e signori dobbiamo giocoforza procedere con un intervento…

Soggettiva, i tratti tirati dei tre camici verdi

Pietrangeli diede la stoccata. “… di Chirurgia sperimentale.”

Soggettiva, il ventre aperto del Paziente Zero.

“Si tratta di un intervento che meditavo da tempo. Il destino ha voluto accelerare i miei progetti. Tecnicamente, si tratta di un’anastomosi epato-atriale destra. In estrema sintesi: avvinghieremo per sempre cuore e fegato in un amplesso vitale».

La voce istrionica di Pietrangeli era filtro tentatore.

«Ecco il nostro piano d’azione.»

Tono didascalico adesso. Amava sentirsi addosso le pupille dilatate, invisibili di quei milioni di spettatori.

«Per accedere al muscolo cardiaco del Paziente Zero, sarà necessario ricorrere alla circolazione extracorporea. Collegheremo il cuore a una macchina composta da un ossigenatore…” Pietrangeli mosse la testa per consentire alla microcamera d’inquadrare la macchina cuore-polmone “… una pompa che assicura la progressione del sangue all’interno del circuito e uno scambiatore di calore. Ma dovremo anche attuare un arresto di circolo».

Pausa teatrale. Un arresto di circolo. Significava che…

«Nel corpo del nostro Paziente Zero non scorrerà più una goccia di sangue.»

Pietrangeli pronunciò quelle parole con intento rodato dieci sadiche frustate alla sua platea. Rincarò la dose. «Difatti: per celebrare degnamente il matrimonio tra cuore e fegato, occorrerà operare su organi esangui. Completamente vuoti. Ma per ottenere ciò, sarà anche necessario congelare il metabolismo del Paziente Zero. Portando la sua temperatura corporea al di sotto dei diciotto gradi centigradi.»

Il cameraman, ora bardato con camice e guanti sterili, stava appiccicato a Pietrangeli come un salvelox. Primi piani degli occhi grigio-cerulei. Con un cenno della destra, il professore invitò Pietro a inquadrare il display dell’orologio elettronico su una parete della sala.

«Avrò a disposizione trenta minuti» lapidario. «Quando la temperatura corporea del Paziente Zero si sarà abbassata, ebbene, da quel momento dovrò riuscire a fondere i due organi, cuore e fegato, dicevo per l’appunto, nel giro di mezz’ora».

 

Francesco a Chicca: «E… se non ci riesce, minchia?»

Gli sembrò che Pietrangeli avesse captato la domanda.

«Oltrepassato quel limite” concluse il professore, per il cervello del Paziente Zero sarà la fine».

Dita d’ansia titillarono il palato di Francesco. A stento trattenne un conato di vomito.

Chicca, seduta sulla ergonomica Stokke, ginocchia in moto perenne, tornò sulla soggettiva di Pietrangeli. I visi dei tre individui di fronte –chirurgo, anestesista, strumentista –  erano tutto un programma. Stavano maledicendo in silenzio quella diretta televisiva. E il demente esibizionista che la orchestrava.

 

 

«Signori medici, inclito pubblico” Pietrangeli allargò la mano destra inguainata dal lattice. “rock & roll!»

Il ferrista rispose meccanicamente, quasi un riflesso pavloviano. Gli passò all’istante il bisturi a lama più adeguato per incidere la cute della parete toracica.

Pietrangeli si posizionò, andò in linea retta per tutta la lunghezza del petto. «Approccio tradizionale standard…” Scostò le due pagine di carne e la telecamera inquadrò il biancore dello sterno. “Sternotomia longitudinale mediana. E adesso… »

Soggettiva: breve panoramica laterale.

Il collega chirurgo si attrezzò di sega oscillante.

“Entriamo dunque nella cassa toracica!»

Denti d’acciaio al molibdeno digrignarono sul piastrone osseo. Due tre, interminabili minuti. Unico soundtrack, il gemito dello sterno del Paziente Zero che andava sbriciolandosi. Pietro sentì i peli rizzarsi sulla nuca come la lama di un coltello a scatto.

Pietrangeli osservava il lavoro del collega. Wrong, all wrong. Troppo certosino, troppo scolastico, troppo… scialbo. Lo scostò d’autorità.

«Può bastare così.» Il taglio non aveva ancora prodotto la rottura completa dell’osso. «Non possiamo, non dobbiamo permetterci estreme finezze, in circostanze urgenti come questa.»

Pietrangeli puntellò le dita di entrambe le mani sul solco osseo scavato dalla sega. Si issò sui sandali sanitari avvolti dai copriscarpe.

Pietro, steady-cam: dinamico primo piano ai piedi.

Pietrangeli caricò con tutto il peso corporeo. Crrraaaccckkk! Pietro sballò l’inquadratura.

«Nessun problema. Cinque, sei fili d’acciaio ben piazzati, e questo sterno tornerà a saldarsi egregiamente. E’ una promessa, signore e signori! Lo voilà!”

 

«Il brivido in diretta? Ha un solo nome: Jacopo Pietrangeli» Chicca sghignazzò. «Evvai, Jacopo! Ja-co-po, Ja-co-co-co…».

Quel tifo da stadio per dopati le si spense in gola.

Chicca era avvezza a ideare, a sciorinare trucerie televisive. Ma qui si stava andando un minimo sopra il rigo.

Campo medio: Pietrangeli con i polpastrelli affondati nella spaccatura ossea. Comincia ad allargare le due metà della cassa toracica con le mani. Niente ausilio del divaricatore, stava spiazzando persino il suo stomaco.

«Ma cos’è diventato, il tuo amichetto…” Francesco era basito. “Il Dottor Mengele?”

«Ecchissenefrega!», Chicca sembrava sul punto di svelare il quarto segreto di Fatima. «Lui sì che sa perfettamente come e quando masturbare lo share!»

 

«Ecco che cosa veramente adoro di un atto chirurgico.”

Pietrangeli fece forza sui legamenti che articolavano posteriormente le coste con le vertebre.

Primissimo piano: dita guantate di lattice immerse nel sangue.

“La sua etimologia.»

L’équipe chirurgica era inchiodata. Pietro continuava a riprendere.

«Si, voglio dire: chirurgia. Dal greco keir. Che significa mano. Pietrangeli diede un ultimo strattone. “L’arte della manualità.”

Primissimo piano: un tendine si trancia. Clack! Produsse lo schiocco di un ramo spezzato.

«Quella che ho appena praticato si chiama manovra di Pietrangeli: qualche innocente sub-lussazione costo-vertebrale, regredibile in quarantotto ore, ma… volete mettere la bellezza di questo campo operatorio! Nessun divaricatore è in grado di ottenere una visuale così ampia.»

Si rivolse a Pietro, dito indice che lo invitava ad avvicinarsi, a chinarsi su quel torace esposto al cielo.

Primissimo piano: la superficie dei polmoni.

«Guardate», un assorto Pietrangeli, «osservate bene queste trame nerastre. Qui… e poi qui.» Spessi filamenti e frastagliati isolotti di colore piceo. «Fumo. Questo signore è un patito del tabacco all’ultimo stadio. Per non parlare poi di come se ne frega delle cinture di sicurezza, visto il danno che gli ha provocato il volante dell’auto. E allora io mi chiedo e vi domando: nel profondo, chi è più pazzo? Lui che detesta la vita? O io che cerco di salvargliela?»

 

«Pietrangeli-filosofo, quanto m’arrapa» Chicca rise, puntò il dito sul monitor. «Bingo! Il cuore, finalmente! Pietro» intimò nell’auricolare «non osare schiodarti da lì!»

 

«Ci siamo» Pietrangeli agli astanti ammutoliti. «Via il soprabito del muscolo cardiaco. Zac!»

Primissimo piano: l’elettrobisturi saettò sulle fibre del pericardio.

«Pronti ad avviare la circolazione extra-corporea del Paziente Zero

Pietrangeli si staccò del letto operatorio. L’assistente gli lanciò un’occhiata timoroso, quasi a chiedere il permesso d’intervenire.

Il professore alzò a mezz’aria i palmi inguantati, lordi di liquidi biologici. «Ma prego!»

Il secondo chirurgo inserì una cannula nell’aorta, un’altra nell’atrio destro. La macchina prese il sopravvento sulla circolazione sanguigna.

«E adesso, signore e signori, una sana pausa» Pietrangeli, the ultimate showman. «Grazie agli scambiatori di calore, raffredderemo il sangue e porteremo il livello termico di questo corpo sotto la soglia dei diciotto gradi. Ci vorrà… una sessantina di secondi. Poi spegnerò la macchina e da quel momento, come vi dicevo, avrò a disposizione trenta minuti al massimo per archiviare la faccenda. A quella temperatura il corpo riduce le sue esigenze metaboliche. La sua sete di sangue, per capirci.»

Diresse lo sguardo intenso verso la tente anamorfica.

 

“Muoviti, Pietro!” Chicca, dalla regia. «Dai, zooma su quegli occhi!» Soltanto due iridi ipnotiche sullo schermo.

«Siate con me, gentili spettatori” raccomandò Pietrangeli. “Tra esattamente un minuto.»

 

Stacco pubblicitario. Sessanta-secondi-sessanta di cruciali consigli per gli acquisti. “Virgigel”, colla genitale per lei, con un nuovissimo polimero biodegradabile e biocompatibile, una sorta di imene a presa rapida, “perché ogni volta”, recitava il jingle, “sia sempre la prima volta.” Quindi un set di guanti in lattice monouso, profumati e a disegni multicolori, per l’autoesame della prostata. Infine un “fornetto” a microonde per cremare i pet casalinghi defunti di piccola taglia, dai pesciolini rossi ai criceti. Magari anche qualche gattino.

«Molto bene” cinquantanove secondi, di nuovo Pietrangeli. “Preparatelo».

 

«Ci sei nuovamente, grande uomo!» Chicca riaprì la diretta.

Primissimo piano: microcamera digitale di Pietrangeli, immagine a tutto schermo, il cuore immobile del Paziente Zero. L’abbassamento della temperatura corporea ne aveva sospeso spettacolarmente i battiti.

 

«Ben ritrovati, cari telespettatori: ora X. Scattano da questo momento i trenta minuti.»

L’assistente chirurgo si sentì mordere il colon da zanne di odio itterico.

“Se mi avete seguito fin qui, sapete già qual è la mia missione.» Pietrangeli affondò il dito. La massa cardiaca s’infossò gommosamente.

«Cuciremo questo cuore con lui

Indicòl il grosso budino violaceo sotto le coste. Agguantò l’elettrobisturi.

«Eccolo lì, il diaframma. Per tanti colleghi è una barriera che tiene troppo lontani l’atrio destro e il fegato. Ma non è affatto vero. E’ solo una barriera mentale».

Primissimo piano: il bisturi elettrico fece breccia sul muscolo diaframmatico, consentendo all’atrio destro del cuore di toccare la ghiandola epatica.

«Visto? Basta davvero poco perché questi due inquilini possono baciarsi e stringere una santa alleanza.»

Per il Professor Pietrangeli l’anatomia umana era più che una poesia: era una mistica.

 

Chicca si tirò su dalla Stokke. Da una minidispensa estrasse un sacchetto di salatini al formaggio e cumino. Mise una manciata nervosa tra i denti.

L’immagine indugiava sui tessuti slabbrati del diaframma. Un’occhiata all’orologio: erano già trascorsi sette minuti. «Diosantissimo» ruminando, Chicca si appollaiò di nuovo sulla sedia, «non ditemi che questo splendido bastardo mi regala una morte in diretta… Mi ci faccio la carriera, Francè, con una puntata così!»

 

L’anestesista valutò la temperatura interna del Paziente Zero con una sonda timpanica.

«Non c’è bisogno di misurazioni maniacali» lo bacchettò Pietrangeli. «So già che l’ipotermia non sta subendo oscillazioni di rilievo. Se ne stia lì calmo e non m’interrompa». L’anestesista restò surgelato. Si acquattò nel suo angolo e lasciò che l’assolo di Pietrangeli proseguisse.

Primissimo piano: vene sovrapatiche e vena cava inferiore. Vessilli sfilacciati.

«Vedete? Questa è la strada che convoglia al muscolo cardiaco la massa di sangue che proviene dal basso. Una strada…»

Con un ferro operatorio, Pietrangeli sollevò i tessuti venosi. Rovine organiche dal brutale colpo del volante sopra la cintura.

«… Che non possiamo più riasfaltare. Ergo: se la montagna non va da Maometto… Maometto va dalla montagna. Il fegato è incapace di trasferire al cuore il suo oro rosso? Il cuore dovrà allora cingere il fegato con un affettuoso abbraccio.»

Primissimo piano: colpi di bisturi elettrico, pulitura dei bordi dei tubi venosi. Emulsione rossa sull’anamorfica.

 

«Ma tu sentilo: non l’ho mai visto così… così su di giri!» Chicca a Francesco.

Lui muto. E tachicardico, polso che ruotava a ripetizione per sorvegliare lo scorrere dei minuti sul quadrante del suo Swatch.

Già sedici erano volati via.

«Daidaidaidaidaidai…» Francesco ondeggiava con la schiena in una sorta di scaramantica litania. Ridacchiare da Chicca.

 

Pietro fece scivolare lentamente la telecamera dal profilo del professore alla sua mano guantata.

Primissimo piano: l’elettrobisturi verso la parete esposta dell’atrio cardiaco. Un’onda di corrente elettrica. Nei tessuti s’aprì un sorriso di 7-8 centimetri.

«Bene: ecco confezionata la nostra bella busta aperta. Che ora andremo ad abboccare sul fegato.»

Le componenti anatomiche erano state finalmente allestite. Attendevano che un filamento da sutura le assemblasse.

Il ferrista cominciò ad attrezzare il porta-aghi e a montare il filo. Le dita gli tremavano.

Ventitrè minuti.

Ipotermia profonda. Con un circolo sanguigno cristallizzato. E un cervello prossimo a spappolarsi.

«Professore», l’anestesista, quasi un fruscio vocale, «la temperatura corporea sta salendo. Dobbiamo ricorrere alle borse del ghiaccio sulla testa».

«Assolutamente no! Ecco» Pietrangeli afferrò ago e filo serviti dal ferrista, «una robusta cucitura e sarà finita.»

 

«… Seeee, finita per chi?» Francè caustico, Chicca che continuava a masticare bovinamente.

 

«Adesso bisogna stabilizzare le varie parti in causa: la parete dell’atrio.»

Pietrangeli forò il muscolo cardiaco abboccato sul cratere esangue del fegato

«Poi il tessuto epatico…»

L’assistente, corroso dall’ansia, serrò i pugni in tasca, unghie piantate nei palmi di lattice.

Ventisette minuti.

«… e di nuovo il muscolo cardiaco. Vedete, i punti devono risultare simmetrici, adeguatamente distanziati e annodati in modo… »

Pietrangeli tese il filo, in modo da saggiare la tenuta del nodo.

«… da non consentire allentam…»

Primissimo piano: rrriiippp! Vistoso distacco di un pezzo di parenchima del fegato, come la zolla di un manto erboso.

Ventotto minuti.

Le dita di Pietrangeli, senza scomporsi, scansarono il livido cencio carnoso.

«E che sarà mai», Pietrangeli, controllata disinvoltura. «Apporre punti su un fegato danneggiato, reduce dall’impatto di un volante, può comportare simili conseguenze operatorie. Ma provvederemo subito a sanarle. Allargheremo il nostro rosone di punti e stireremo le pareti dell’atrio destro.»

Ventinove minuti.

 

«Dai Pietro, inquadramelo in macro quel fegato sbrindellato, cazzo!», Chicca, bocca piena.

 

«Professore» il flebile lamento dell’anestesista, «la temperatura corporea aumenta… Irreversibilmente. Quest’uomo… lo stiamo perdendo.»

«Dobbiamo semplicemente allargare il giro dei punti.» La mano di Pietrangeli piroettava con un ricamo da standing ovation. Ci tenne a dire: «Questo è il frutto di ben cinque anni di militanza nelle sale dell’ospedale Primero de Octubre di Madrid

 

«Diosanto, Francè, ma hai visto che roba?” Chicca mollò sulle cosce la confezione degli snack e si esibì in un personale applauso. Ma tu trovamelo un altro chirurgo capace di cucire in quel modo!»

Francesco aveva in bocca la sabbia del Sahara.

 

«… Ed è chiaro che su un fegato come questo…»

Pietrangeli, imperterrito, sguardo severo verso l’obiettivo di Pietro, di cui aveva colto con la coda dell’occhio un tremore che tradiva un’imminente lipotimia

«… Un organo traumatizzato, difficilmente in grado, come s’è visto, di tenere la sutura, dovremo impiegare del teflon di rinforzo.»

Trenta minuti.

Pietrangeli esercitò ancora una tensione sui nuovi nodi.

Primissimo piano: il tessuto epatico allo stremo si lacerò ancora. L’iniziale piccolo cratere, che le pareti del cuore dovevano abbracciare come una tendina canadese, era diventato un’orrida forra.

Le dita di Pietrangeli annaspavano nei trucioli di tessuto del Paziente Zero, rottami viscerali avevano insozzato del tutto la visuale del campo operatorio.

Trentuno minuti.

Trentacinque.

Quaranta.

Quarantacinque.

 

Come un’oscena comunione, Chicca deglutì il bolo di salatini che le era rimasto inchiodato sulla lingua. Francè strizzò le palpebre, con entrambe le mani che serravano i braccioli della sedia. Nell’interminabile apnea televisiva, un tonfo metallico: Pietro, le gambe fiaccate dalla salva di extrasistoli, aveva mollato la telecamera, accasciandosi a terra. Anestesista, ferrista, secondo chirurgo, tre statue di sale che fissavano Pietrangeli.

Il professore mosse la testa in lenta progressione, così da carrellare in soggettiva su quel corpo profanato.

Sterno sezionato, ventre aperto fino al pube, il Paziente Zero era un wurstel sezionato per tutta la sua lunghezza. E rosso di generoso ketchup.

«Ecco… Ecco che cosa siamo… dentro. Una perfetta architettura palpitante. Un mirabile equilibrio di forme e funzioni. Però accade spesso… sì, accade spesso che la vita si comporti col nostro corpo come un terrorista. S’imbottisce dell’esplosivo più ripugnante – tumori, ictus, infezioni, traumi… Bussa alla tua porta e un bel giorno ti dice: Adios, motherfucker, sei morto!».

 

Un vago eppure inequivocabile piacere agitò le labbra di Chicca. Francesco ascoltava inebetito quella voce da giudizio universale.

 

«E noi? Noi chirurghi? I nostri cateteri, le sonde, le protesi…»

Pietrangeli, guanto imperlato di umidi frustoli di fegato, cominciò a sollevare divaricatori, forbici e pinze emostatiche. Li piazzò dinanzi all’occhio della microcamera.

«Sono gli scudi e le lance che abbiamo fabbricato per respingere il destino. A volte si perde. Ma…».

 

Una lingua di libidine mediatica solleticò le vertebre di Chicca, nella cui testa era esplosa una consapevolezza: quella che il professore non stesse parlando a braccio.

«Occhio, Francè» si sistemò tutta mossette sul trespolo. «Io lo conosco, quel figlio di puttana». Pareva la squinzia con gli ormoni a mille che scalpita per la sua rockstar in meta-amfetamina. «Stasera sbanchiamo».

 

«Ma a tutti viene offerta una seconda chance.»

Pietro, sbracato sul pavimento, sollevò lo sguardo terreo, fulminò con le pupille il professore che stava abbandonando la scena.

I tre medici erano inchiodati.

«Sì: una seconda chance»

Pietrangeli puntò dritto verso le porte scorrevoli della sala operatoria. I due portelloni sbuffarono.

Camminanava il chirurgo gonfiando d’attesa ogni parola. «Quest’intervento, l’anastomosi epato-atriale destra, può grandi cose. Io lo so

Lungo il corridoio, arrestò il passo. Sollevò il mento verso il soffitto a specchio. Per rendersi visibile al pubblico. E da quel punto di vista aereo, silurò la platea. Colpo di grazia.

«… perché è l’intervento elettivo anche per chi nasce senza vene sovraepatiche. Come Marco. Il bambino che ho già fatto anestetizzare e ci aspetta nella sala F. Signore e signori, io sono pronto. E voi?»

 

 

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Edoardo Rosati

Edoardo Rosati (Pescara, 1959), giornalista specializzato nella comunicazione medico-scientifica ha dato vita al Corriere Salute, il supplemento di Medicina del Corriere della Sera. Dal 2003 è responsabile delle pagine dedicate alla Salute e alla Medicina del settimanale OGGI. Ha partecipato, come autore e consulente, alla realizzazione delle due Enciclopedie SALUTE (nel 2005) e PREVENZIONE (nel 2009), promosse dalla Fondazione Umberto Veronesi (e allegate al Corriere della Sera). Ha scritto numerosi libri di saggistica medica (per Sonzogno, Rizzoli, Fabbri e Sperling&Kupfer). È anche autore di narrativa medical horror-thriller per Oscar Mondadori e Giallo Mondadori. Per Sperling&Kupfer ha scritto Kuru - Il morbo del nuovo millennio, ricostruzione drammatizzata dell’allarme “mucca pazza”. Con Danilo Arona ha pubblicato "La croce sulle labbra", medical thriller di Anordest Edizioni.

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