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ESCLUSIVO/ Un capitolo de “Il denaro degli altri”, il nuovo romanzo di Paolo Brera

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Güldil Zekikadın prende in mano le indagini sul morto del parco Giovanni Riva. Tratto da Il denaro degli altri, la seconda indagine del colonnello De Valera nell’ultimo noir di Paolo Brera.

 

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«Signora Zekikadin – c’è un cadavere nel Giovanni Riva. Un uomo, un europeo. Vada a vedere.»

Tu, Güldil Zekikadın, commissario della polizia cantonale ticinese, non hai avuto spesso occasione di avere a che fare con indagini su morti violente, perché il Ticino è un cantone tranquillo, non si incontra certo la criminalità della vicina Italia. Per questo ti sei sorpresa quando l’ispettore ti ha affidato l’indagine. Era una novità – una brutta novità. L’ultimo morto risaliva a tre anni prima.

Il parco Giovanni Riva era un parco relativamente nuovo, alla periferia della conurbazione luganese. Di giorno ci giocavano i bambini, di notte si riempiva di fumatori di hashish e altri marginali. Lo si tollerava perché intervenire sarebbe stato molto complicato: il parco era grande e con molte uscite in ogni direzione, quindi era difficile da circondare. Meno male che era fuori mano e non turbava poi molto né i residenti, distanti almeno una cinquantina di metri, né i turisti che fino a lì, di regola, non arrivavano proprio. All’occasionale ubriacone molesto si provvedeva alla spicciola. Nell’insieme, un accettabile modus vivendi fra la maestà della Legge e la sua violazione spicciola, come poteva sorgere perfino nell’ordinata, legalitaria, perfino un po’ noiosa ma tutt’altro che stupida Svizzera.

Adesso però in quel parco qualcuno, volontariamente o meno, aveva fatto in modo di morirci. E questo non era più uno scherzo.

La macchina della polizia su cui ti trovavi ha lasciato la strada asfaltata ed è avanzata ancora un pezzo sull’erba, lasciando sul prato due solchi marroni da carrareccia. Kistler e Balestra erano già all’imbocco del sentiero che portava giù al ruscello, e tenevano a fatica lontani i curiosi. Probabilmente, hai pensato, i curiosi si sarebbero subito addensati anche se un evento del genere fosse accaduto nel bel mezzo del Sahara. Erano i curiosi come quelli che avevano fatto venire a quello che scriveva Star Trek l’idea del teletrasporto. Hai disceso il sentiero per una ventina di metri e sei arrivata al microscopico spiazzo dove giaceva il cadavere.

«Questo non è un suicidio, e nemmeno un incidente» hai detto, a beneficio di Stadera e Castaldi che stavano effettuando le prime misurazioni. Il morto era nudo e molto pallido, il che si spiegava facilmente con la quantità di sangue che si vedeva per terra. Ma la carnagione era abbastanza scura. Abbronzata: tranne nella zona lombare, dove la pelle mostrava il segno degli slip, e qui era ovvio che il morto era un europeo, uno del sud più che uno del nord.

«Ci sono tracce di attività sessuali?» hai domandato. Castaldi ha risposto brevemente di no. «Mettetegli sopra un telo» hai ordinato, vagamente imbarazzata dalla nudità del morto. Aveva il pene più grosso che tu avessi mai visto.

«Escludo il suicidio come causa della morte» hai ribadito, perché sentissero tutti i presenti. «Uno che si suicida non si spoglia nudo, né prima né dopo.» Hai guardato più da vicino: la causa della morte era evidente, e non si conciliava affatto con l’ipotesi di un incidente. «Questo è un omicidio.»

L’ispettore Regazzoni si è avvicinato: «Ciao Güldil. Senti, i vestiti della vittima non si trovano, sarebbe il caso di bloccare la raccolta dei rifiuti per vedere se li hanno buttati». Hai guardato l’orologio: le 10:20: «Grüezi, Carlo! A quest’ora sarà già tardi, ma proviamoci comunque, non si sa mai». Avendo studiato per tre anni a Zurigo prima di lasciar perdere l’università, ogni tanto facevi cadere nel discorso una o due parole in Schwyzertüütsch, il dialetto della Svizzera interna. I colleghi dapprima si erano irritati, in nome dell’italianità del Ticino, ma dopo un po’ si erano rassegnati e avevano smesso di esprimere il loro disappunto per quella contaminazione linguistica.

Hai guardato in giro per vedere di trovare l’arma del delitto ma non ce n’era traccia, come del resto era da aspettarsi visto che l’assassino, o qualcun altro (o qualcun altro? sì, o qualcun altro, non si poteva affatto escluderlo), era stato così metodico da spogliare nuda la vittima. «L’hanno sbiottato prima o dopo la morte?» hai domandato a Regazzoni. «Dopo. Non c’è sangue sul corpo, nemmeno un po’.» C’era moltissimo sangue, invece, sul terreno, misto con la vegetazione del sottobosco e il fango dell’acquazzone del giorno prima. «Quindi dev’essere finito tutto sui vestiti.» «E i vestiti dove saranno finiti?» Nessuna risposta.

Una rapida occhiata al corpo ti ha indotto a una rapida conclusione. «Anche se la causa della morte è evidente, dobbiamo egualmente far procedere all’autopsia e avere i risultati in fretta.» Un momento di riflessione. «Bisogna verificare se nel Cantone è scomparso da casa qualcuno nei giorni scorsi.» Regazzoni, un tipo basso e tarchiato, ti ha guardata un attimo, poi ha fatto un sorrisino vagamente irridente: «Tèh, questa è roba di stranieri!». Hai pensato che sapeva benissimo che eri straniera anche tu, almeno di origine. «Merci villmool! Davvero grazie tante! Infatti nel Ticino ce n’è un sacco, di stranieri, ci tolgono i nostri posti di lavoro e la tranquillità. Anche loro però hanno una mamma, e se spariscono da un giorno all’altro qualcuno ce lo verrà bene a dire» «Äbä, genau» ti ha risposto ancora irridente Regazzoni, col quale non è che tu andassi molto d’accordo. Dice va bene e pensa che sono una stupida di una ottomana, ti è venuto in mente. Gliel’avresti fatta vedere. «Ich zäig der wo dä Bartli dä moscht hollt!» ti sei detta: gli avresti fatto vedere chi comandava. Una donna doveva sgomitare la sua parte per non essere messa in un angolino, e se poi era nata fuori della Confederazione, il doppio del doppio.

Le case vicine erano una serie di ville a una cinquantina di metri, e da nessuna si riusciva a vedere la valletta del ruscello. Il luogo del delitto sembrava progettato apposta per impedire che ci fossero testimoni. L’assassino non l’aveva scelto a caso. «È uno che conosce bene Lugano» ti sei detta.

La villa più prossima, lussuosa, recava sulla casella postale il nome Hochdörfer e in una scritta sul muro dichiarava pomposamente di chiamarsi Villa Sans Souci. Ma al campanello, quando hai suonato, non ha risposto nessuno. Evidentemente i proprietari erano andati a preoccuparsi da qualche altra parte. Hai detto a Balestra, che ti aveva accompagnato, di convocare gli abitanti per il giorno successivo. La villa successiva era della famiglia Salvadé. La signora Salvadé era una cinquantenne abbastanza in forma ma indossava abiti da brivido, pantaloni a pelliccia di leopardo e camicia di un giallo dorato. Ti sei qualificata, ottenendo subito l’attenzione rispettosa che tanto spesso gli svizzeri riservano alla polizia.

«Ha notato qualcosa ieri sera nel parco, signora Salvadé?»

«Ah, scusi, ma io non mi chiamo mica Salvadé. Salvadé è mio figlio, porta il cognome del mio ex marito. Io sono divorziata.»

«Va  bene. Mi dica allora il suo nome e cognome. Balestra, hai il registratore?»

«Certamente, signora Zekikadin.»

«Procediamo, allora.»

«Sì che ho visto qualcosa, commissario. Ogni lunedì c’è il Sabba, nel parco. Dalle otto a mezzanotte è pieno di drogati e di beoni, ragazzi che non hanno di meglio da fare che passare le ore a far nient’altro che chiasso e confusione. La mattina bisogna vedere quante lattine di birra e quante siringhe! E voi della polizia non intervenite mai!»

«Non mi ha ancora detto il suo nome, signora.»

«Ah, scusi. Mi chiamo Maria Chiara Sarti. Nata a Melide il 3 agosto del 1954, di mestiere donna di casa. Come le dicevo, qui ogni lunedì è un Sabba.»

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«Ha notato niente di particolare ieri sera?»

No, non aveva notato proprio niente di particolare. Hai fatto in fretta a capire che la signora Sarti era solo ansiosa di mettere in mostra il suo atteggiamento rispettoso e ordinato e di lamentarsi un po’ di come Dio aveva organizzato il mondo e poi gliel’aveva messo intorno.

La casa seguente, l’ultima in cui valesse la pena di fare domande visto che era già abbastanza lontana dal parco, apparteneva ai signori Scaccabarozzi. C’era solo la domestica, una bosniaca di nome Jasminka Mustafić che però la sera non dormiva lì e quindi non poteva essere di nessuna utilità. Anche i signori Scaccabarozzi, padre madre e figlia diciottenne, sono finiti sulla lista di quelli da convocare.

Sei tornata indietro fino all’inizio del sentiero che portava giù al ruscello. Effettivamente, qualche lattina di birra c’era, ma poche, e siringhe poi niente del tutto. Forse i festaioli sapevano che se avessero lasciato siringhe usate prima o poi sarebbe venuto qualcuno a far finire la festa. O forse lì di ero non ne girava proprio, nonostante l’opinione della signora Sarti. Ma poteva anche darsi che fosse, semplicemente, la buona educazione che rimaneva testardamente aggrappata alle maniere degli svizzeri anche quando si trasformavano in drogati. Le siringhe usate magari finivano nei cestini della spazzatura.

E se il morto fosse stato uno spacciatore? Gli spinellatori e tossici duri della sera prima non avrebbero di certo testimoniato: come minimo, avrebbero avuto troppa paura di essere lasciati a secco da quello che l’aveva ucciso, se era un concorrente del morto. L’idea che il delitto fosse da ascriversi al giro della droga non pareva campata per aria. Le modalità dell’uccisione, e sopra tutto la cura con cui erano stati cancellati gli indizi, portavano a escludere il delitto passionale. La premeditazione sembrava pacifica. Il morto doveva essere qualcuno la cui assenza non sarebbe stata notata… o almeno, non in Svizzera. Qualcuno che veniva dall’estero, magari.

Hai dato ancora un’occhiata in giro, poi sei rientrata in ufficio e hai cercato di mettere giù ordinatamente quanto risultava fino a quel momento. Era ben poco. Il cadavere apparteneva a un europeo maschio fra i trenta e i quarant’anni. Era stato ucciso negli immediati dintorni di un party di drogati. Drogato anche lui? Questo te l’avrebbe detto la Scientifica. Come tante altre cose: Scossa-Baggi non perdeva un colpo.

Era davvero poco. Avevi dimenticato niente?

Non avevi annotato l’arma del delitto.

Come se non contasse.

Ma in qualche modo misterioso sapevi, sapevi davvero, che l’arma non contava.

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Paolo Brera

Tratto da Il denaro degli altri, la seconda indagine del colonnello De Valera nell’ultimo noir di Paolo Brera.

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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

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