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Il baule dei Misteri – L’omicidio di Johnny Stompanato

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Los Angeles, 1955.
Mickey Cohen si affacciò alla finestra della sua magione trasformata in fortezza e puntò lo sguardo verso la villa di Marilyn. Era lei quella che stava per tuffarsi in piscina senza nulla addosso?
Il gangster scosse la testa e sorseggiò lentamente il suo scotch con ghiaccio.
Bussarono alla porta.
“Signor Cohen, ci sono visite.”
“Non voglio vedere nessuno.”
“Si tratta di Frank.”
Mickey sospirò rassegnato.
“Fallo salire.”
Il ragazzo sulla porta nicchiò.
“È armato” aggiunse.
Il Re del gioco d’azzardo tornò a concentrarsi sulla piscina di Marilyn. Sembrava proprio lei…
“Ti ho detto di farlo salire” ripete’ secco.

Sinatra si presentò in abito elegante, come al solito. Fece un paio di battute da copione, accettò un bicchiere di whisky e appoggiò il culo sulla scrivania del gangster.
“C’è una cosa che mi preoccupa” preannunciò sistemandosi la piega dei pantaloni “Riguarda uno dei tuoi uomini.”
Cohen attese paziente senza aprire bocca.
“Stompanato” precisò Frank.
“Che avrebbe combinato il vecchio Johnny?” chiese l’altro senza nascondere un sorriso.
“Ancora niente. Ma gira voce che la sua amicizia nei confronti di Ava si stia facendo, come dire, un po’ troppo intima.”
“Ricordo male o avete divorziato da un pezzo?”
“Ricordi bene, Mickey” Sinatra cercò a sua volta un sorriso senza trovarlo “Ma ho ancora a cuore quella donna. Il rapporto con il tuo uomo non le gioverebbe in alcun modo. A Hollywood cominciano già a storcere il naso, se sai cosa intendo.”
Cohen picchiettò le dita sul piano della scrivania, incerto. Avrebbe voluto sparare nel culo a quel maledetto italiano.
Se solo non avesse avuto così tanti estimatori tra quelli della “famiglia”…
“Proverò a parlare con Johnny” decise infine alzandosi in piedi.

Johnny Stompanato si presentò nel suo ufficio nel tardo pomeriggio.
Capelli scuri pettinati alla moda, abiti di sartoria e sorriso magnetico. Non c’era nulla da eccepire: il vecchio Johnny era un fottuto damerino.
Mickey Cohen gli fece un discorsetto e concluse con lo “Spero di essermi spiegato” di rito.
Stomp si limitò ad accendersi una sigaretta.
Aveva ben altro a cui pensare, in quel momento.

Aveva messo su un bel giro di puttane, il vecchio Johnny. Le gestiva col pugno di ferro e faceva girare il grano. Organizzò qualche rapina in grande stile e si finanziò un’immagine da latin lover altolocato. A Hollywood tutti sapevano di cosa si occupasse in realtà, quasi tutti almeno, ma poco importava. Era bello, aveva la protezione del boss Mickey Cohen e sventolava bigliettoni con disinvoltura. Al diavolo la Gardner, le donne cominciarono a girargli attorno come api e più di un marito si trovò costretto a masticare fiele.
La carriera criminale di Stompanato sembrò destinata a durare a lungo. L’unica incognita riguardava il suo debole per le donne e le sue maniere forti. Un connubio che, alla fine, lo fregò.

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Lana Turner a sinistra, Stompanato e Cheryl Crane (la figlia di Lana) a destra

Avvenne così che, nel 1957, conobbe Lana Turner. Reduce da grandi successi cinematografici come I tre moschettieri e Il postino suona sempre due volte, Lana, si era ritagliata un ruolo di primo piano nell’olimpo delle star cinematografiche.
Molte sue relazioni riempirono le riviste di gossip dell’epoca. Quella con l’attore Tyrone Power, il noto produttore Howard Hughes o il solito Frank Sinatra. Dal matrimonio con il ristoratore Steve Crane, nel 1943, nacque Cheryl.
Quando la bella attrice incrociò Johnny, al termine dell’ennesimo matrimonio fallito, ne rimase stregata. Ci sapeva fare, era un tipo allegro e conosceva tutta la gente che contava.
Nei ristoranti lo trattavano con rispetto, anzi, con timore. Il posto migliore dei locali gli era riservato di diritto e se qualcuno, malauguratamente, lo aveva occupato prima, veniva invitato a levarsi istantaneamente dalle palle.
Stompanato, in principio dispensatore di larghi sorrisi e gioielli alla bella Lana, ci mise poco a rivelare la sua anima nera.
Le discussioni divennero alla svelta litigi. I litigi lanci di piatti e sedie.
Spinte, schiaffi e minacce erano all’ordine del giorno.
Lana avrebbe voluto uscire da quell’incubo. Ma come si poteva dire di no a Johnny Stompanato?
Il 4 Aprile del 1958 i due si ritrovarono nella villa dell’attrice a Beverly Hills.
Lui aveva alzato un po’ troppo il gomito ed era su di giri.
La figlia di Lana, Cheryl, dormiva nella stanza accanto.
Johnny prese ad accusare Lana di tradimento e alzò il volume della voce. Lei prima si difese e poi inveì a sua volta contro il gangster.
Stomp urlò ed estrasse la fidata pistola. La puntò alla nuca di Lana sibilandole in faccia che non era altro che una lurida puttana.
Dalla camera vicina, intanto, Cheryl si era svegliata e seguiva la scena con l’orecchio appoggiato alla porta. Aveva solo quindici anni ma, consapevole di come si stavano mettendo le cose tra lei e quell’uomo, si era preparata per l’occasione.
Proprio per questo aveva nascosto un coltello da cucina sotto il materasso.
Johnny non se ne accorse nemmeno.
Sentì una fitta bruciante in mezzo alla schiena. La pistola tremò nella sua mano e la canna scivolò lentamente sulla tempia di Lana Turner mentre le gambe del gangster si piegavano costringendolo per la prima volta in ginocchio.
Cheryl, alle sue spalle, gridò. Aveva la mano sporca di sangue e il pigiama azzurro intriso di rosso.
Lana riuscì ad allontanare con un piede la pistola e a raccogliere l’ultimo scampolo di vita negli occhi di Stompanato.
“Puttana” tossì forse lui prima di crollare faccia a terra.

I giornali non parlarono d’altro per mesi.
L’inchiesta confermò la versione dell’attrice e il giudice assolse Cheryl per legittima difesa. In parecchi ipotizzarono che l’omicidio di Stompanato fosse avvenuto in tutt’altro modo.
Si ventilò l’ipotesi che Lana, stanca dai continui soprusi del compagno, lo avesse pugnalato a morte convincendo poi la figlia, minorenne, a prendersene la responsabilità.
Nient’atro che congetture e malignità, forse.
Del resto siamo ad Hollywood, dove tutto può accadere.
Persino che un gangster venga ucciso da una ragazzina, in una villa di Beverly Hills, mentre questi punta la pistola alla tempia di sua madre.
Oppure no?

“Zitti, zitti”.

Alex Rebatto

 

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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