Racconti

I bambini mangiano per ultimi

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i bambini hanno fame

 

Di Ilaria Scarpiello

A casa mia, a Natale, i bambini mangiano per ultimi.

C’è una gerarchia da rispettare, una gerarchia di anzianità. Vengono serviti prima gli adulti, dal più maturo al più giovane. Quando tocca ai bambini vengono serviti prima i più piccini e poi via via quelli più grandi, in una specie di vorticosa inversione di tendenza. Essendo la più grande dei bambini venivo sempre servita per ultima. Ultima fra gli ultimi. Non che mi sia mai lamentata, sia ben chiaro. Il cerimoniale delle portate durava al massimo una manciata di minuti, solo nessuno mi ha mai spiegato il perché di tutta questa faccenda e i bambini traggono nutrimento dai perché.

Retaggio di questo innocuo trauma infantile è, probabilmente, il mio scarsissimo spirito natalizio.

 

Stamattina, giorno di antivigilia, mi sono svegliata prestissimo per preparare due dolci alle mele, una crostata e uno strudel. Fin da quando ero bambina ho sempre avuto un problema con le mele, non solo non mi piacevano ma addirittura ne avevo paura, ne ero terrorizzata. Così due anni fa sono stata per qualche tempo da un terapeuta, uno di quelli bravi, che tramite una tecnica psicoterapeutica cognitivista di esposizione diretta allo stimolo mi ha aiutata ad aiutarmi a superare la mia fobia. Ora riesco a comprare le mele, a cucinarle e perfino a ingoiarle, solo che dopo devo subito correre in bagno a vomitare. I dolci alle mele, poi, mi vengono benissimo e proprio per questo motivo mi hanno detto di preparane un paio per la cena di stasera.

Cena natalizia aziendale.

Il direttore ci tiene parecchio, ci considera la sua famiglia, noi dipendenti, ed è per questo motivo che la cena si terrà a casa sua.

 

Parcheggio la mia Smart blu notte tempestata di stelle, vinta con i Baci Perugina, e suono con la fronte il campanello, avendo visibilmente ambedue le mani occupate dalle teglie di dolci.

Mi apre la porta Aurora. Vestita di rosa confetto come al solito.

Dall’interno arriva un gran vociare, risa e, su tutto, la melodia di Last Christmas dei Wham.

“Bianca! È arrivata Bianca!”

Squittisce eccitata.

“Auguri, Bianca, buon Natale! Ma come, sei sola? Non sei venuta con il tuo… ”

“No, sono venuta da sola. Non c’è più nessun mio. Auguri anche a te, Aurora”

Mi fa strada. Vengo subito investita dalle luci accecanti dell’abete secolare decorato a festa che troneggia in tutta la sua maestosità all’ingresso della sala.

Salutati tutti i colleghi, la prima cosa di cui sono costretta a prendere atto è che sono l’unica donna senza accessori. Tutte sfoggiano collane, bracciali, orecchini, diademi. A me stanno male perfino gli anelli, dato che a trent’anni mi rosicchio ancora le unghie. Sorrido pensando che almeno ho indossato tacchi alti e lenti a contatto.

Aurora mi avverte che il cavalier Mangiafuoco, nostro direttore, è stato urgentemente convocato alle Barbados per motivi familiari, ma che ha tanto insistito perché la cena si facesse comunque a casa sua, per esserci vicino con lo spirito. Natalizio.

Mica scemo, penso e questo pensiero lo tengo per me, ho imparato subito e a mie spese che i miei colleghi hanno poco senso dell’umorismo. Odio dover spiegare le battute, lo trovo frustrante.

 

Mi viene incontro Bella. Mi sussurra nell’orecchio che è venuta con il suo nuovo ragazzo e me lo indica con il ditino aggraziato. Non sono sicura che mi stia indicando la persona giusta, in quella direzione c’è solo un energumeno con i basettoni che mangia gli antipasti con le mani ruttando di tanto in tanto. Bella però lo guarda estasiata, giura che è una persona dolcissima.

Hansel mi passa vicino e afferrandomi il braccio mi trascina verso il notebook collegato alle costosissime casse altoparlanti messe a gentile disposizione dal nostro direttore.

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“Bene, e adesso vediamo di togliere queste stronzate natalizie anni Ottanta. Che ne dici?”

Mi strizza l’occhio. Gli sorrido.

Si avvicina le cuffie ad un orecchio e pigia alcuni pulsanti della consolle. Prima di iniziare a timbrare il cartellino, per alcuni anni è stato il deejay del Discolabirinto. È simpatico, carino e ha buoni gusti musicali. Purtroppo ha anche tatuato sul bicipite destro il nome della sorella.

Nell’angolo vicino al buffet c’è Ariel, sulla sedia rotelle per quel problema alle gambe. Mi avvicino e la bacio sulle guance.

“Sai Bianca, poi ha deciso di sposare quell’altra. Se le gambe continuano a squamarsi così sarò costretta a tornare da mio padre”.

Le stringo forte la mano e le raddrizzo la forcina a forma di stella marina che ha fra i capelli.

 

Decido che quello è il momento giusto per una sigaretta. Esco fuori in veranda proprio mentre Aladino, a torso nudo, sta portando in tavola un vassoio di cous-cous fumante, dice, preparato da lui. Sempre a torso nudo, sta sempre a torso nudo, quel pallone gonfiato.

Mi gusto con circospezione la mia Benson blu, faccio tiri rari e prolungati, mi piace vedere il tabacco che brucia lento lento, persa nei miei pensieri mi dimentico della cenere che, inevitabilmente, mi finisce sul vestito attillato.

È proprio mentre cerco di togliere frettolosamente, con la mano libera, la cenere caduta sulla coscia destra che arriva Peter.

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Mi guarda sfrontato, con il suo sorriso irresistibile e con la consapevolezza di averlo, in mano tiene due bicchieri di Martini dry con ghiaccio. Mi saluta, mi sorride ancora, mi porge uno dei bicchieri stracolmi.

“Finalmente ti ho trovata, pensavo mi stessi evitando”.

Ha gli occhi di un verde così scuro come solo il mare in tempesta può essere. E una miriade di efelidi. Lentiggini spruzzate a caso sul naso, sulle guance, sulla fronte. E poi non sbaglia un congiuntivo. Sono sempre stata irrimediabilmente affascinata dagli uomini che sanno coniugare bene i verbi.

“No, Peter, non ti sto evitando affatto”.

La frase mi esce con un tono troppo aspro, risoluto, ma è ormai tardi per rimediare. Sorseggio il mio Martini, tenendo accuratamente gli occhi bassi.

“Ma poi noi?”

Ma poi noi cosa, Peter?”

Non sopporto le frasi ad effetto, lasciano sempre l’amaro in bocca.

“Beh l’altra sera dopo il concerto sei scappata subito via”.

“Mi era parso che la star del gruppo volesse godere del calore dei suoi fan. Senza contare che mi hai lasciata mezz’ora da sola in balia del tecnico del suono, ed era pure ubriaco. Non mi piace fare la figura dell’imbecille senza cervello, se posso evito”.

Ride, lo stupido.

“Scusa. Ho perso la nozione del tempo. Lo sai, non sono bravo in queste cose. Ti piacciono gli uomini con la barba? Dici che mi starebbe bene?”

“La barba cresce agli uomini, per l’appunto. Tu sei un ragazzino senza speranza, che non capisce che non si può giocare col cuore della gente.”

Il viso gli si contorce in una smorfia. Quante volte gli saranno state dette queste parole?

Rincaro la dose.

“Mi fai tenerezza. E la tenerezza è l’ultimo dei sentimenti che dovrei provare nei confronti della persona che mi interessa. Buon Natale”.

Mi alzo, bevo l’ultimo sorso di Martini e, dopo avergli restituito il bicchiere ormai vuoto, rientro in casa.

Mancano solo pochi minuti alla mezzanotte, lo capisco dalla fretta con cui Cinderella infila il soprabito e scappa via.

Mi chiamano a gran voce perché è arrivata l’ora di scartare i regali.

 

Siedo sul divano, vicina a Lucignolo, tutto contento di aver ricevuto dei funghi allucinogeni da parte di Alice.

Aspetto. Mi piace vedere la gente tutta presa a scartare regali. Quella indefinita sensazione di attesa febbrile e poi la gioia o la delusione. La consapevolezza che il tuo momento è già finito, troppo veloce, troppo presto.

Il mio regalo non si trova.

Aurora sta frugando dappertutto. Solleva cuscini, legge etichette, giurando che salterà fuori quanto prima, che è sicurissima di avermelo comprato.

Mi viene da vomitare. Mi alzo e vado in bagno. Ci resto più del necessario, rinfrescandomi le guance con l’acqua del lavandino in costosissima ceramica, perfetta imitazione di una colonna corinzia.

Quando raggiungo gli altri, Aurora mi viene incontro.

“Mmmh mi dispiace, Bianca. Ho, abbiamo dimenticato il tuo regalo. Ma prendi questo lo stesso dai!”

Mi porge un pacchetto traslucido, sull’etichetta c’è scritto Principe Azzurro.

“Tanto non è venuto stasera…”

Tiene a precisare.

Lo scarto con lentezza. Un porta-pillole, con sopra la riproduzione dei putti di Raffaello.

“Non prendo pillole. Perlomeno fino a oggi”

“E allora? Lo puoi usare come posacenere no?”

Il ragionamento non fa una piega.

Ringrazio, ma il mio sorriso pare più un ghigno.

 

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Vicolo Cannery

Vicolo Cannery è un'agenzia letteraria e un progetto culturale, fondati a Roma nel 2011 da Corrado Melluso, Tommaso De Lorenzis, Tommaso Giagni e Martina Giorgi. www.vicolocannery.it

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