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Le Storie di Alex Rebatto – Un piccolo uomo

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Ci traferimmo a Modena ai primi di Novembre. Dopo nemmeno un mese, senza nemmeno troppo sforzo, ero già diventato il bersaglio preferito dei bulletti della scuola.
Del resto essere piuttosto basso, segalino, con un paio di occhiali spessi due dita ed un abbigliamento da boscaiolo di provincia potrebbero apparire dei buoni pretesti per essere preso di mira dai vari Nico, Pablo, Mario, Francesca eccetera, eccetera, eccetera, eccetera…
La vita è dura a quattordici anni, specie per uno come me.
Quando abitavo in provincia accanto alla cascina del vecchio signor Luigi, grande appassionato di donne e carte, le cose non è che andassero tanto meglio, a dirla tutta.
“Oggi hai scopato, ragazzo?” mi gridava ogni pomeriggio quando tornavo da scuola mentre si asciugava con una manica della camicia la fronte sudata.
Io mi giravo, cartella rosa ereditata da mia sorella con un unicorno disegnato sopra, e lo guardavo per un istante.
Lui aspettava in silenzio con un sorrisino sarcastico dipinto sul volto.
“No, signore” rispondevo allora riprendendo il cammino verso casa.
“Sai perché, ragazzo?” gridava lui a quel punto per farsi sentire.
“Perché sono uno sfigato” facevo io aprendo la porta di casa.
“Proprio così, ragazzo!” concludeva lui ogni santissimo giorno “Ma non ti abbattere. Anch’io una volta ero come te, e ora guardami!”
E se ne stava lì sul tetto, a fissarmi dall’alto con le mani sui fianchi e la sigaretta accesa.
Credo di non averlo mai visto al piano di sotto. Sempre e solo sul tetto.
Chissà a fare cosa, poi.
Quando a mio padre offrirono un posto migliore in città si fece una riunione di famiglia.
Mamma disse “E’ una buona occasione.”
Mi sorella, ormai una diciottenne in piena fase di sviluppo, saltellò sul divano entusiasta.
“Si! Papà!” aveva squittito “Si!Si!Si!”
Io avevo mostrato i palmi delle mani.
“Un attimino” ero intervenuto “Ci sono un sacco di cose da considerare. Il cambiamento di clima, prima di tutto. Sapete che l’aria di città mi causa una tremenda asma. E poi la scuola, le amicizie. Io dovrei abbandonare tutti i miei amici, ci avete pensato? Chi glielo dovrebbe dire a loro che ce ne andiamo? Avete idea di cosa provino quei due ragazzi per me?”
Ma non mi ascoltava più nessuno.
Mi madre e mia sorella era già al piano di sopra a decidere cosa mettere in valigia, papà al telefono per sbrigare questioni burocratiche ed il vecchio cane Billy, dodici anni vissuti quasi in letargo, intento a spulciarsi al rallentatore.
“Hai sentito, Billy? Ce ne andiamo da qui. Te la senti?”
Lui mi aveva fissato con i suoi occhi vacui per qualche secondo e poi, con un ultimo sbadiglio, era piombato in terra russando prima ancora di toccare il pavimento.

Ed ecco com’è che mi sono ritrovato al liceo classico Einaudi di Modena. Ottenni, in cambio del mio benestare al trasferimento, la sostituzione della cartella rosa in cambio di un trolley beige “casalinga al mercato style” e un computer portatile di seconda mano che girava ancora con una delle prime versioni di Windows. Era straordinario. Dopo averlo acceso, prima di poterlo utilizzare, potevo farmi tranquillamente una vita.
Mio padre rispose alle mie lamentele con un “Le cose belle bisogna capirle prima di poterle apprezzare appieno.”
Mio nonno ci raggiunse al nuovo appartamento dieci giorni dopo.
Era un vecchietto pittoresco. Dopo la morte della nonna, un anno e mezzo prima, si era completamente rimbambito. Spesso si metteva a raccontare aneddoti su guerre che non aveva mai combattuto o episodi di grande importanza storica avvenuti grazie al suo contributo.
La storia di come inventò la radio, quasi per sbaglio, mentre era intento a preparare la cena per Napoleone era una delle più fantasiose.
Mio padre l’aveva persino portato a fare dei controlli medici.
“Che lo porta a fare?” aveva domandato mia madre “Ha ottantatré anni. E’ solo rincitrullito.”
In effetti il medico aveva confermato la diagnosi: rincitrullimento acuto.
Il nonno si piazzò nella mi stanza, la arredò con poster di Che Guevara e delle Spice Girls e sentenziò che, d’ora in poi, quella stanza sarebbe stata una repubblica a sé stante.
Passò notti intere a redigere seduto alla scrivania una nuova costituzione e pretese che ci fosse un pedaggio da pagare per chiunque intendesse entrare nella camera, famigliari inclusi.
Io, naturalmente, venni insignito del ruolo di vice sindaco ottenendo in tal modo molteplici privilegi.
Ad esempio quello di non dover pagare il pedaggio per poter entrare nella mia camera.

 

Alex Rebatto (foto e testo)

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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