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Le Storie di Alex Rebatto – L’inizio della guerra

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Una notte senza stelle, estiva e bollente. Me ne stavo fuori in terrazzo a fumarmi una sigaretta riflettendo sugli affari miei. Il lavoro, le fitte al fegato, il lavoro, le vacanze sempre più vicine, il lavoro, il costo delle vacanze sempre più vicine.
Al Tg avevo sentito qualcosa su una situazione precaria nei rapporti tra Corea, Stati Uniti, Russia e chissà chi altro.
Quando si ha un figlio di una manciata d’anni l’unica disavventura che ti sembra di dover vivere ha sembianze d’orso. Niente di più.
Dicevo, me ne stavo lì a riflettere. Mia moglie stava cercando di far addormentare il piccolo Victor, nella cameretta incasinata come non mai.
Victor. Gran bel nome, mi dissi di nuovo.
Sentii un rumore, come un tuono.
Un aereo, pensai. Prendere casa a due passi dall’aeroporto era stata una mia grande idea. Era costata due spiccioli e tanto valeva.
Però, mi resi conto al volo, non sembrava il solito maledetto aereo di linea che viaggiava implacabile sopra la mia testa. Sembrava quasi un’esplosione.
Riaprii gli occhi. Il tuono replicò.
Fu a quel punto che mi alzai e mi affacciai sulla vastità del campo abbandonato quattro piani di sotto.
In lontananza vidi alzarsi le fiamme.
“Che cazzo sta succedendo” pensai bruciandomi col mozzicone della Marlboro.
Il cielo fu scosso di nuovo e le fiamme nel campo si moltiplicarono. Un fragore e la centrale elettrica al di là della tangenziale divenne un inferno.
Le macchine, puntini colorati lontani, sbandarono. Un incidente, due, poi un lungo serpente strombazzante. Entrai in casa di corsa e raccattai il binocolo nell’armadio, sotto la trapunta da portare in tintoria.
Tornai fuori e ripresi ad osservare la scena.
Le meteore si moltiplicarono. Mia moglie comparve accanto a me con il piccolo in braccio. Era terrorizzato e piangeva.
“Ale, cos’è?” guardava oltre la zanzariera. Poi provò a tranquillizzare Victor stringendolo forte, senza riuscirci.
“Non lo so” presi tempo “Accendi la TV, presto!”
Un attimo dopo udii un’annunciatrice di Sky: “Siamo in guerra”.
“Cristo santo” mi passai una mano tra i capelli.
Era una roba grossa. Non una solita distopica rappresentazione del futuro da leggere su un romanzetto da due soldi. Le fiamme che si alzavano implacabili davanti ai miei occhi e si propagavano troppo veloci erano lì, davanti ai miei occhi.
Spinsi mia moglie in casa.
“Prendi due vestiti, sbrigati.”
Inciampai fino in camera e presi dal cassetto del comodino, nascosta sotto i boxer, una busta con duemila euro all’interno. Il patrimonio di famiglia.
Quando aprimmo la porta di casa mi fermai un istante per gettare uno sguardo verso il letto sotto il quale i nostri due gatti spaventati si erano rifugiati. Dodici anni ciascuno, una vita assieme.
Un altro scoppio a squassare il cielo e le mura tremarono.
Ci scapicollammo lungo le scale. Stavano scappando tutti, dalla vicina odiata con addosso solo una vestaglia e delle ciabatte rosa al vecchio con il suo amato bassotto stretto tra le braccia. Urlavano, si spintonavano per mettersi per primi in salvo.
Di sotto si era già radunato un manipolo di persone. Qualcuno stava cercando di mettere ordine dirigendo la fuga con voce impostata ma rotta dal terrore. S’interrompeva ad ogni esplosione e poi riprendeva, sempre più incerto.
Noi ce ne fregammo. Corremmo verso il parcheggio e misi la mia auto in moto. Per poco il tassista che abitava nel condominio accanto non mi venne addosso. Lo vidi sparire sbandando dietro la prima curva.
“Dove andiamo?” mia moglie balbettava. Il piccolo non la smetteva di strillare.
“Lontano da qui” risposi senza immaginare neppure cosa rappresentasse davvero quella parola.
Mi resi conto dopo un centinaio di metri che non avremmo percorso troppa strada.
Il serpente di auto immobili aveva raggiunto l’ingresso del centro sportivo e si allungava inesorabile oltre la vista. I clacson suonavano incessanti, scalfiti a malapena dalle sirene delle ambulanze e della polizia che si moltiplicavano.
Accostai al lato della strada, lungo uno sterrato che dava su un rigagnolo a secco e spensi il motore.
“Usciamo” sospirai guardandomi attorno.
L’insegna del bar del vecchio Paride era accesa, così come le luci al suo interno.
Feci cenno di seguirmi.
“Non ha senso scappare come topi” presi per mano mia moglie e allungai una carezza al piccolo “E comunque non credo esista un posto dove scappare.”
Il barista, in piedi dietro al bancone a fissare la tv accesa, quando ci vide entrare quasi sobbalzò.
Il locale era deserto. Un tavolino rovesciato riassumeva la fuga repentina di un ultimo occasionale cliente.
“Che ci fate qui?” Paride scosse la testa perplesso “Non vi siete accorti del casino che sta succedendo?”
Ci sedemmo restando in silenzio ad ascoltare la bionda sullo schermo, schiena abbassata e viso struccato sulla telecamera incerta, raccontare in uno spasmo di terrore lo sviluppo degli eventi.
“Ci giunge notizia del crollo anche del Duomo di Milano e della reggia di Caserta” un’esplosione alle sue spalle, delle urla “Il presidente ha chiesto alla popolazione di mantenere la calma” la voce si era rotta, sul baratro delle lacrime “La situazione sta degenerando…”
E con quell’ultima parola strozzata la luce venne a mancare.
Paride, il vecchio zoppicante Paride, imprecò sottovoce e tirò fuori una torcia elettrica.
Fummo colpiti da una fascio di luce, poi udimmo un tintinnare di bicchieri e i suoi passi trascinati avvicinarsi al nostro tavolo.
“Beviamoci sopra” tossì crollando sulla sedia accanto alla mia.
Sentii il vino, o chissà che altro, riempire i bicchieri e cercai il mio pacchetto di sigarette nella tasca dei jeans.
Mia moglie, senza che le dicessi nulla, fece fuoco con un accendino e i nostri visi si scontrarono in un caldo bacio a distanza. Il piccolo smise di piangere e cominciò a canticchiare “tanti auguri a te”, poi soffiò.
Paride gli offrì del succo di frutta e mi allungò una Chesterfield.
“Sarà una lunga notte” sospirò.
Pensai di andare di fuori a osservare la situazione e a fumare ma l’ennesima esplosione, questa volta talmente vicina da far tremare le pareti del bar, mi fece desistere.
“Tanti auguri a te, piccoletto” mormorai allungando una mano per cercare il groviglio di capelli biondi.

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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